Ho conosciuto ...

Pare di capire che la bella sorella uscì dalla vasca del tutto nuda. Andò così?
Se interessa ... con un asciugamano troppo piccolo e mal tenuto :D. Continuando la storia, questa sorella era in coppia con un dirigente di una grossa multinazionale americana, non ricordo se sposato o meno, Fatto sta che questa multinazionale, che allora possedeva la Barilla, gli intimò di lasciarla, pena la perdita del posto. In certo senso la ragazza non si rimise più da questo abbandono, mentre io già allora mi resi conto in che cavolo di mondo viviamo.
 
Cesare Misserotti fondò a Mestre, credo con Silvio Capra, la Galleria dell'Elefante, all'ultimo piano di una palazzina. La galleria esponeva un'arte di avanguardia, per allora (anni '60), come per esempio Tancredi, che la sonnacchiosa cittadina, pur a 10 km dalla Venezia delle Biennali rivoluzionarie, non sembrava destinata ad apprezzare. Come sempre accade varie furono le vicende, finché Cesare si stabilì a Treviso con l'Elefante, ormai tutto suo e di Perla, che dopo la sua recente dipartita continua l'attività. Cesare era un po' avventuriero, tipo alto che giocava a rugby e allenava i ragazzi di una squadra.
Una volta trovai a Mestre due quadri soggetto veneziano nientemeno che di Emile Bernard. Li acquistai, anche per passione, ma non avevo certo a chi rivenderli. Per questo si sarebbe dovuto portarli in Francia, con tutte le rogne doganali del caso. Pertanto li cedetti a lui con un guadagno relativamente modesto. Dopo alcuni mesi apparve che erano stati venduti all'asta in Francia per più del triplo di quanto mi aveva dato. L'avventuriero aveva rischiato e vinto.
 
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Arrivai secondo al primo concorso di pittura cui partecipai. Quel quadro ora giace nascosto in soffitta e mi vergognerei a mostrarlo in giro. Comunque il vincitore era Gianfranco Quaresimin, ( Burano VE 22 febbraio 1945) e fu così che lo conobbi. Creava quadri grandi ed aspri, con una concezione michelangiolesca e ferma del corpo umano, cui si aggiungeva una spruzzata di surrealismo post-baconiano. Girava con i capelli lunghi sino alle spalle e mostrava di sentirsi artista e istrione a tutto tondo, diciamo che faceva un po' il profeta proletario. Con lui apparve ben presto Marica Kucerkovà, slovacca di Nitra (Topolciani), anch'essa pittrice, più orientata verso quel certo intimismo slavo un po' da casa di bambole. Non avendo un cane, girava strascinando a guinzaglio una ciabatta, questo dà un po' l'idea dell'ambiente sessantottino che si viveva (certo, loro in pieno dal punto di vista sociale, artisti maledetti e poveri, io piccolo borghese problematico ed irrisolto, con troppe idee). Delle loro opere darò esempio più avanti.
Sposatisi, andarono a vivere in campagna con un gatto rosso poderoso e strambo, ricordo che ogni 15 giorni esatti cambiava il suo giaciglio per la notte preferito, da cui non si riusciva poi a smuoverlo, fino appunto alla scadenza del mezzo mese.
Vissero anche in Cecoslovacchia 2 anni, dove lui insegnò arte. In seguito divorziarono, Marika venne a mancare già alcuni anni fa e lui si sistemò definitivamente con un incarico di insegnante all'Accademia di Venezia. Mi pare insegnasse incisione: infatti ha creato numerose grafiche, solitamente fin troppo lavorate e scurite, sempre comunque assai "drammatiche" nel tono.

Opere di Quaresimin

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Imparai la tecnica della serigrafia a Parigi sotto la guida di René Laubiès: era incaricato a questo dalla Galleria Des Saintes Pères, proprietà di un religioso, che usava fornire materiali e istruzione ai giovani artisti in cambio di una piccola parte delle tirature che ne sarebbero derivate. Laubiès fu estremamente corretto verso di me, che pure ero un giovane biondo e desiderabile dal suo punto di vista, e come insegnante fu efficace e scrupoloso. Dopo un paio di prove di piccolo formato, già potei produrre la prima grande serigrafia a colori. Magari il problema fu che per l'inesperienza non riuscii a stendere i colori come li intendevo io, e il lavoro riuscì un po' greve, ma, fosse che all'epoca tutto lo sperimentale veniva facilmente accettato, fosse che verso di me si usò una notevole dose di pazienza e diplomazia, non ci furono problemi, e la galleria espose il foglio e, probabilmente, ne vendette alcune copie.
La cosa più impressionante di Laubiès la vissi quando fui invitato a casa sua (forse nell'eventualità immaginata di un possibile approccio, chissà): nella camera il letto era tutto ricoperto da lenzuola e coperte nere, nerissime, ben stese, e agli angoli dello stesso quattro alti candelieri dorati delimitavano lugubremente lo spazio. Aggiungi che aveva una calva magrezza ed un portamento ieratici quanto impressionanti: con tale severo stile il quasi cinquantenne trangugiò anche la mia estraneità ai suoi passatempi.
Delle sue opere, vicine a certo calligrafismo, sinceramente non posso dire che mi interessassero, troppo raffinate e rarefatte sino a risultare evanescenti, a mio parere. Sicuramente influenzate da una visione di tipo orientale (era nato in Vietnam), rispettabile, ma insomma ...

RENé LAUBIèS (1924-2006).
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Qualche opera (di lui conservo ancora la serigrafia che mi regalò)

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(quest'ultima è stata venduta l'anno scorso in asta a 520 euro)

 
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