I debiti ci sono e il popolo italiano ne deve prendere atto facendosene carico....

allora ricominciamo da qui il diskorso:


1)negli ultimi 15 anni i salari medi tedeski sono saliti meno della loro produttività

2)negli ultimi 15 anni i salari medi italiani sono saliti più della nostra produttività

3)la germania produce a minor costo e con più efficienza rispetto all' italia....


punto di partenza...potrei anke ampliare ma karne al fuoko ce n'è :mumble:
 
allora ricominciamo da qui il diskorso:


1)negli ultimi 15 anni i salari medi tedeski sono saliti meno della loro produttività

2)negli ultimi 15 anni i salari medi italiani sono saliti più della nostra produttività

3)la germania produce a minor costo e con più efficienza rispetto all' italia....


punto di partenza...potrei anke ampliare ma karne al fuoko ce n'è :mumble:

si vabbe ma loro hanno 10 milioni di turchi (a montare mercedes e bmw) e non si sa bene quanti milioni di altri stranieri

sai che casino con tutta quella gente se c'e' crisi economica come in italia?
 
Dopo attenta lettura di questo thread, ho deciso di investire in società della new-economy che sviluppano quei software che generano frasi casuali: ho scoperto che è un business in grande crescita. :up:
 
allora ricominciamo da qui il diskorso:


1)negli ultimi 15 anni i salari medi tedeski sono saliti meno della loro produttività

2)negli ultimi 15 anni i salari medi italiani sono saliti più della nostra produttività

3)la germania produce a minor costo e con più efficienza rispetto all' italia....


punto di partenza...potrei anke ampliare ma karne al fuoko ce n'è :mumble:


se argomenti anche i vari punti è meglio :D
 
giovakkino dorme :D

un po' di grafici :D
 

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fatta 100 la media Ue per ora lavorata, dal 2000 al 2010 l’Italia passa da 116,8 punti a 101,5, mentre Germania e Francia, nello stesso lasso di tempo, sono rimaste costanti. Costante anche il divario, tra 14 e 15mila euro, tra la retribuzione media di Berlino e quella di Roma, a parità di incidenza delle tasse sul costo del lavoro. Per l’Istat inglese, comunque, a lavorare più di tutti in Europa sono i greci.

Gli italiani, nel 2010, hanno lavorato mediamente 359 ore più dei tedeschi. In termini assoluti, significa il 25% in più. Un dato quantitativo elaborato dall’Ufficio statistico del Dipartimento del Lavoro Usa, che non tiene però conto della produttività. Alcuni lettori ci hanno giustamente suggerito di analizzare anche quest’ultimo aspetto. Per misurarlo si parte dalla cosiddetta “unità di lavoro a tempo pieno (Ula)”, misura standard definita dai criteri contabili europei Esa95 sommando alle posizioni lavorative a tempo pieno le posizioni lavorative a tempo ridotto ricondotte a tempo pieno e la cassa integrazione, anche questa ricondotta al tempo pieno. L’Eurostat rapporta poi l’Ula al prodotto interno lordo medio europeo, e il valore viene successivamente portato a 100 per ogni ora lavorata.

Come indica l’infografica, gli italiani passano sul posto di lavoro più ore dei colleghi tedeschi, ma producono meno – e hanno prodotto sempre meno negli ultimi dieci anni – mentre Berlino come Parigi è rimasta costante nel tempo. Traducendo in cifre: nel 2000, fatta 100 la media Ue, l’Italia si piazzava a quota 116, 8 punti, meno di Francia (137) e Germania (124) ma più della Spagna (102,7) e della Grecia (75,7). Due lustri dopo la produttività di Roma è scesa a 101,5 punti, mentre per Francia (132,7) e Germania (123,7) il livello non ha subito grossi scostamenti. La Spagna è moderatamente salita (107,9) così come la Grecia (76,3). Quantificando il passo di gambero italiano, si tratta di una contrazione pari a 15,3 punti di produttività dal duemila all’anno scorso.

Stesso discorso sul fronte delle retribuzioni. Oggi la Banca d’Italia nel suo consueto supplemento al bollettino statistico ha evidenziato che dal 2007 a oggi la ricchezza delle famiglie italiane è scesa di 3,2 punti percentuali, per effetto della crisi. Nel 2006, la paga media lorda annua (nelle imprese private con più di 10 dipendenti, escluso il pubblico e l’agricoltura) a Roma si fermava a quota 23.406 euro, rispetto ai 31.369 euro della Francia e ai 39.364 euro della Germania. Nel 2010, l’unico ufficio di statistica che ha comunicato i dati all’Europa è stato quello tedesco, che evidenzia una retribuzione lorda di 42.400 euro, mentre gli ultimi numeri diffusi dall’Istat si riferiscono al 2008 ed evidenziano una crescita a quota 28.364 euro. Lo scarto medio con i tedeschi è di oltre 14mila euro. Una precisazione: si tratta di numeri tratti dalla dichiarazione dei redditi, che vanno presi con le pinze ed escludono il lavoro in nero, sul quale le stime abbondano ma il cui calcolo è oggettivamente indimostrabile.

Quantificabili, invece, le imposte statali sul lavoro, in linea con i big come Germania e Francia. Il peso delle imposte sul costo del lavoro (dati 2009) è del 44% a Roma, del 45% a Berlino e del 46% a Parigi. Inferiore l’incidenza per Grecia (34%) e Spagna (36%). Istat, nella sua ultima analisi (dati 2008), calcola che la retribuzione lorda per ora lavorata, pari a 18,41 euro, «rappresenta il 73% del costo del lavoro orario in senso ampio (quindi incluso il pubblico impiego, ndr)».

Un dato curioso riguarda infine le disparità tra la forchetta tra il salario medio minimo e il salario medio nei Paesi europei, non così pronunciata in Italia e Francia, meno del 15%, ma ben più alta in Germania e Spagna, intorno al 20 per cento.
 

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Il Paese più virtuoso sul fronte del debito nell’eurozona? É l’Italia, molto migliore della Germania. Non è uno scherzo, ma il frutto di un serissimo studio della fondazione tedesca Stiftung Marktwirtschaft (“Economia di mercato”), presieduta dall’economista Bernd Raffelhüschen, professore di Scienze finanziarie presso l’Università di Friburgo, in Germania, ed esperto di evoluzione demografica. Due giorni fa il professore, elogiando l’Italia, ha accusato il governo tedesco di seguire un percorso di indebitamente insostenibile a colpi di «regali» nel campo dello Stato sociale.

Lo studio della Fondazione – pubblicato a fine 2011 ma passato, curiosamente, piuttosto inosservato, almeno dalle nostre parti – stila una vera e propria classifica della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche (sulla base dei dati 2010) dei 12 Stati fondatori dell’euro (esclusi sono dunque i cinque “ultimi arrivati”: Slovenia, Slovacchia, Estonia, Cipro e Malta). Il titolo del relativo comunicato stampa la dice lunga: «Italia urrà, Lussemburgo puah». La classifica tiene conto non solo di quello che la fondazione chiama «esplicito» (il «classico» debito pubblico, pari a circa il 120% del pil per l’Italia), ma anche il debito implicito legato soprattutto all’invecchiamento: pensioni in maturazione nei prossimi anni, la spesa sanitaria, il saldo primario e quant’altro.
 

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