Quanto ci costa lo shock petrolifero
EUGENIO OCCORSIO
A Fiumicino la "sagra del pesce" l’hanno voluta fare lo stesso, ma nei pentoloni hanno dovuto cuocere le salsicce perché i pescatori sono in sciopero, un’agitazione costata finora 100 milioni di euro. Per le vie di Milano giovedì hanno sfilato gli allevatori, con tanto di mucche frisone al guinzaglio, per protestare contro il fatto che i mangimi sono rincarati del 21,3% in pochi mesi e loro non ce la fanno più a stare nei prezzi concordati con gli industriali (0,37 euro al litro di latte). Intanto la protesta dei camionisti dilaga in tutta Europa: Spagna e Francia sono al collasso, anche in Italia c’è la minaccia costante di blocchi. Il governo si muove, e ha garantito uno sconto fra il 3 e l’11% dei pedaggi autostradali, ma il settore resta in agitazione e definisce "interlocutorio" l’atteggiamento fin qui tenuto dall’esecutivo. Non è finita: le immatricolazioni di auto sono crollate del 20% nel primo trimestre, e l’Alitalia, dopo aver già perso il 25% dei passeggeri nello stesso periodo, per reggere ai mancati introiti della stagione estiva dovrà intaccare pesantemente il maxiprestito da 300 milioni appena ricevuto.
Le diaboliche conseguenze a catena dei rincari derivanti dall’impennata del petrolio si intensificano, e assumono aspetti da incubo. Il vero problema è che potremmo essere appena all’inizio: guardando per esempio al rapporto fra tariffe elettriche e petrolio (vedere grafico in pagina) emerge che in effetti la crescita è stata contenuta (+10,3% negli ultimi dodici mesi contro il +114 del petrolio). La tariffa è salita insomma più lentamente pur costituendo il combustibile il 69% dei costi di produzione, ma solo perché l'Autorità per l’energia è riuscita a ridurre le altre voci (trasporto, distribuzione e via dicendo) costringendo gli operatori a fare efficienza e tagliando sussidi, un meccanismo che però non potrà essere infinito. In ogni caso, su qualsiasi tipo di prezzi, i tentativi degli operatori di contenimento hanno necessariamente il respiro breve. «A meno di crolli alquanto improbabili delle quotazioni, anche ammettendo che il petrolio si fermi qui, le ricadute sui prezzi le avvertiremo ancora per 912 mesi», spiega Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi Confindustria. Il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, è ancora più pessimista: «Ci vorranno due anni a smaltire gli effetti di uno shock di queste proporzioni». E aggiunge subito: «Voglia il cielo che questa batosta ci imponga, a tutti, un cambiamento di stili di vita, meno consumi, meno sprechi, uso più intelligente dell’energia». Veramente anche senza sprechi, in tantissimi casi rischiamo l’indigenza...«Certo: come in tutte le crisi il conto più salato lo pagano le classi meno abbienti. Ma qualcosa per loro si può fare: l’Autorità per l’energia, tanto per fare un esempio, da sette anni ha la facoltà di dettare ai Comuni l’obbligo di agevolare le tariffe del gas o della nettezza urbana per i più bisognosi. Perché non lo fa?»
Da un comparto economico all’altro, tutto il mondo dell’industria sta cercando di attrezzarsi per sopravvivere nel nuovo scenario. La Buzzi Unicem, secondo gruppo italiano del cemento, settore assai "energivoro", sta per esempio accelerando l’utilizzo delle biomasse nei suoi impianti. La base sono le best practice già adottate nei paesi nordici anche dagli stabilimenti dello stesso gruppo. In Germania, paese tradizionalmente sensibile all’ecosostenibilità, già il 40% del combustibile è stato sostituito, in Italia è partita la sperimentazione a Cuneo con il 30%. Proprio come in un termovalorizzatore, in questi casi, i rifiuti sostituiscono perfettamente il petrolio come fonte di energia. Un investimento che si ammortizza di solito in 45 anni ma che diventa ogni giorno più conveniente visti i costi del greggio.
Su tutt’altro fronte ma per identici motivi, la Coldiretti ha lanciato l’iniziativa "chilometri zero": «Vogliamo valorizzare le produzioni locali per ridurre l’effettotrasporti sui prezzi», afferma il presidente Sergio Marini. «Abbiamo calcolato che un pasto medio percorre l’incredibile numero di 1.900 chilometri in camion, aereo e nave». Codice rosso allora per le prugne cilene (che devono coprire con mezzi vari 12mila chilometri prima di approdare finalmente in tavola), i fagioli argentini (11mila), i meloni dei Caraibi (7.750 chilometri), le pere del Sudafrica (8.500). La Coldiretti stima in 250 milioni di euro all’anno il maggior costo per le imprese agricole dovuto al carogasolio. «Il tasso di aumento tendenziale del gasolio del 26,2%, è comunque superiore a quello della pasta del 20,4», puntualizza Marini. L’incidenza media diretta del fattoregasolio sul lavoro nei campi è di circa il 20%: la Confagricoltura, che alza a 300 milioni la stima dell’incidenza per il settore del caropetrolio in un anno, chiede che venga estesa a tutti i tipi di coltivazione l’agevolazione oggi esistente solo per chi ha delle serre, dove l’incidenza energetica supera il 25% per la necessità di riscaldamento per molti mesi. L’incidenza è forte, per esempio, anche nell’essiccazione dei cereali oltre che ovviamente nella conduzione dei trattori, settori dove l’abbattimento dell’accisa si è fermato al 22%.
Il settore alimentare è particolarmente flagellato dal caropetrolio: la Banca Centrale Europea prevede rincari addirittura del 44% nel 2008. Gli effetti sugli alimenti sono amplificati dai rialzi di tutte le commodity, dovuti a loro volta ad una serie complessa di motivi di cui però il petrolio è quello centrale, che si intrecciano con il greggio a causare i rialzi di oggi. Tecnicamente si chiamano "regressioni" appunto le concatenazioni fra prezzi del petrolio e delle derrate alimentari, e ad esse ha dedicato il rapporto "Più produttività meno povertà" il Centro studi Confindustria, che lo presenterà il 26 giugno. «Particolarmente complessa e spinosa è la questione del biofuel», ci anticipa Ciro Rapacciuolo, l’economista del CsC che ha redatto lo studio. «Abbiamo calcolato un rapporto pari a 0,72 fra frumento e greggio. Significa che ad ogni dollaro di rialzo del petrolio corrispondono 72 centesimi di rialzo del grano. E questo accade sistematicamente, inevitabilmente. Prima del boom del biodiesel, cioè fino al 2004, questo rapporto era di 0,11». Non salgono solo le commodity alimentari direttamente interessate al business del combustibile (grano e mais) ma anche tutte le altre perché le prime due coprono sempre maggiori spazi sottraendoli ad altre coltivazioni dove quindi si riduce l’offerta.
Per tutte, si è scatenata una speculazione finanziaria identica a quella sul petrolio, «tranne che per le cipolle, oggetto di una norma specifica voluta da Gerald Ford quando era funzionario dell’Agricoltura americana nel 1956, che vieta di costruire contratti future su di esse. Non a caso sono le uniche che non salgono», puntualizza Tabarelli di Nomisma. «Questo per dire che la componente finanziaria è prevalente nella fase attuale. Il costo industriale del greggio non supera i 1520 dollari al barile». A conferma, quest’anno per la prima volta i trader petroliferi noncommerciali autorizzati sul Chicago Board of Trade, cioè che dichiaratamente non sono interessati alla distribuzione fisica del greggio, sono di più di quelli commerciali, 91 contro 76. Fino al 2001, erano dodici. «Tutto questo genera incertezze e tensioni sul mercato di cui fanno le spese anche le industrie petrolifere stesse, che non riescono per esempio ad impostare programmi per aumentare la capacità di raffinazione. Eppure con le tecnologie esistenti si potrebbe migliorare non di poco la resa in benzine del greggio».
Ma probabilmente il segnale più clamoroso è la diminuzione del 9,1% dei consumi di benzina, e del 3,5% di gasolio, dato quest’ultimo inquietante ai fini della crescita perché implica una ridotta attività degli autotrasportatori. «E’ il momento giusto perché il governo abbassi l’accisa da 403 euro per mille litri fino a 330, come consente una direttiva comunitaria», attacca Paolo Uggè, presidente della Federazione degli autotrasportatori di Confcommercio, che calcola nel 3540% dei costi l’incidenza del fattoregasolio sul settore. «Ed è anche tempo che il governo metta mano al piano di aiuti per cui ci risulta che abbia accantonato 220 milioni di euro».
E dire che l’Europa beneficia, se non altro, del fattoreeuro, che vale però non più del 20% secondo calcoli della Confindustria, che ha predisposto una simulazione di cosa sarebbe se dal 2002 i rapporti di cambio fossero stati più regolari: il risultato è uno "sconto" di circa 25 dollari, tutto sommato neanche una somma astronomica. Ma quanto dureranno i rialzi? «Probabilmente siamo ad un punto di svolta», azzarda Manouchehr Takin, capo analista del Center for Global Energy Studies dello sceicco Yamani (con cui lavora insieme dai tempi dell’Opec). «Entro l’estate finirà lo stoccaggio dei quantitativi che servono alle industrie a fronteggiare la driving season in America e anche i picchi da aria condizionata. La domanda quindi conoscerà un allentamento di fronte al quale la speculazione abbasserà le armi». Se andrà così, il mondo potrà dire di essere stato «ad un passo da una nuova crisi energetica identica a quella del 1973<\->74», spiega Takin. Però, nell’attesa, l’allarme non è disinnescato.