Italia, un mercato maturo fatto di consumatori che non conoscono il vino

patatina 77

Creatore di UGC
Si discute su come conquistare nuovi mercati e intanto non si fa niente per i nuovi consumatori italiani. Lo sostengono Riccardo Ricci Curbastro di Federdoc, Antonio Capaldo della Feudi di San Gregorio, la giornalista Veronika Crecelius, Giancarlo Vettorello del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene e Marco Selmo di Carrefour nella quarta intervista di Vinitaly


“Vi preoccupate tanto di come avvicinare i consumatori degli altri Paesi al vino, ma avete dimenticato che il cambio generazionale a casa richiede lo stesso sforzo”. Per Veronika Crecelius, giornalista tedesca corrispondente in Italia della rivista Weinwirtschaft il mercato italiano è stato “semplicemente trascurato”.
Meno diretti forse, ma sulla stessa linea di pensiero gli altri protagonisti della quarta serie di interviste a istituzioni di categoria, produttori, comunicatori, operatori della distribuzione, pubblicitari/esperti di costume realizzate da Vinitaly (7-11 aprile 2011). Il dibattito sul calo dei consumi interni proposto dal più importante Salone internazionale dedicato al vino coinvolge questa settimana, oltre a Veronika Crecelius, Riccardo Ricci Curbastro presidente di Federdoc, Antonio Capaldo presidente della Feudi di San Gregorio, Giancarlo Vettorello direttore del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene e Marco Selmo responsabile liquidi del gruppo Carrefour.
Il confronto, pubblicato sul sito www.vinitaly.com è aperto ai commenti e verte su tre domande.
Può il Paese primo produttore vivere di solo export, con i rischi rappresentati dalle fluttuazioni monetarie e dalle agguerrite politiche di marketing e distribuzione dei competitori dei cosiddetti Nuovi Mondi?
Il gap del mercato italiano è di natura economica, culturale o è un problema di comunicazione?
Perché al contrario il trend dell'export è in crescita?
“Il vino italiano di qualità gode di corsie preferenziali sui mercati esteri - dice Ricci Curbastro – ma il mercato italiano non va trascurato, perché la crescita dell’export non compensa affatto le perdite dei consumi interni”. Per questo, a fronte di una società che sta cambiando, servono programmi di comunicazione sulla corretta assunzione del vino e di promozione del legame con il territorio e le tradizioni culturali e culinarie.
“Occorre riscoprire l’attività di degustazione come propedeutica alla vendita – dice Capaldo - come si fa in tantissimi mercati considerati a torto meno evoluti, perché se il cliente non degusta non acquista”, mentre per Vettorello “molto possono fare la ristorazione e la distribuzione, anche emarginando i troppi vini generici che vediamo sulle tavole”.
Individuate le strategie, non manca la nota dolente, rappresentata dalla mancanza di coordinamento della filiera. Responsabilità anche, ma non solo, della frammentazione del sistema vitivinicolo italiano, rappresentato, secondo Selmo, da una “miriade di piccole aziende a volte tra loro concorrenti, che non riescono a dare un messaggio univoco che migliori l’immagine del vino agli occhi del consumatore”.


fonte agricolturaonweb
 
:) interessante :up::up:


mancanza di coordinamento della filiera

ho più volte pensato ad un investimento nel settore agricolo
e sempre ho visto che la resa è bassissima
il gap , l'utile, il margine folle ( del 300% a giro, su base annua è di più) mi hanno detto che lo mangia la distribuzione
e che in Spagna, pur avendo minor qualità ( uso di pesticidi più aggressivi, ad esempio) ha miglior organizzazione del settore , in grosse aziende che si interfacciano bene con la grande distribuzione

siccome sono opinioni raccolte qua e là, posso chiedere la tua idea?
grazie :)
 
Ultima modifica:
Io se bevo 2 bicchieri di buon vino a 12 gradi non posso poi guidare l'auto , se no sono un pericoloso criminale. Se mangio un piattazzo di pastasciutta , una pizza e un gelato , mi viene un abbiocco , mal di stomaco e sonnolenza pero' posso guidare l'auto. Il vino in italia è troppo criminalizzato.
 
Io se bevo 2 bicchieri di buon vino a 12 gradi non posso poi guidare l'auto , se no sono un pericoloso criminale. Se mangio un piattazzo di pastasciutta , una pizza e un gelato , mi viene un abbiocco , mal di stomaco e sonnolenza pero' posso guidare l'auto. Il vino in italia è troppo criminalizzato.

Non è una questione di criminalizzare ma semplicemente di strumenti di misura.
Non appena sarà disponibile uno strumento in grado di misurare il sonno vedrai che saremo soggetti anche a questa restrizione e a relative restrizioni.
Di fatto attualmente i camionisti sono soggetti a pause di riposo. E se questi non riposano nelle pause?

-Insomma, si va lentamente verso il grande fratello orwelliano.

Il problema della criminalizzazione dell'alcool è un grossissimo problema. Si è agito con il metodo "nota di classe" ovvero per colpa di qualcuno pagano tutti.
Un problema per cui nessuno lotta.
 
:) interessante :up::up:


mancanza di coordinamento della filiera

ho più volte pensato ad un investimento nel settore agricolo
e sempre ho visto che la resa è bassissima
il gap , l'utile, il margine folle ( del 300% a giro, su base annua è di più) mi hanno detto che lo mangia la distribuzione
e che in Spagna, pur avendo minor qualità ( uso di pesticidi più aggressivi, ad esempio) ha miglior organizzazione del settore , in grosse aziende che si interfacciano bene con la grande distribuzione

siccome sono opinioni raccolte qua e là, posso chiedere la tua idea?
grazie :)

Le basi elementari dell'economia insegnano che basse rese sono sinonimo anche di basso rischio e stabilità remunerativa.
Discorso vero in parte in campo agricolo, ovvero fin che si investe in immobili agricoli ma tutto al contrario se si parla di strutture (impianti vinicoli, serre,stalle,attrezzature ... )
Fare agricoltura senza strutture è oggi impensabile o molto limitativo.
Attualmente gli agricoltori si dividono in:

-chi ha tirato i remi in barca: chi non fa della terra una professione e quindi si limita a mantenere i capitali magari puntando ad una lieve remuneratività.

-chi ha lauti proventi da altre attività e investe i immobili.

-chi ipotizzando un futuro pessimo è convinto che oggi sia meno peggio di domani e investe adesso cercando di espandersi, non per ambizione ma per paura di venir schiacciato dal sistema.

Cosa voglio dire quindi, che il problema non sta solo nella bassa remuneratività ma nei sempre più alti costi per partire con un'attività.

Insomma, i grossi saranno sempre più grossi ed i piccoli sempre più piccoli.

Ti faccio un esempio. Il comparto ortofrutticolo si sta orientando verso il packaging di cartone ondulato (per alcuni prodotti). A differenza delle plastica questo è meno diffuso e la fornitura minima è di 1000 pz per una capienza di 6000 Kg (di zucchine es.) .
Chi produce meno quindi verrà tagliato fuori anche perchè ormai un produttore medio di zucchine ne produce almeno 300 quintali. Per produttore intendo anche cooperative, molto diffuse al centro sud (ed incentivate.
L'agricoltura ha due direzioni l'agroindustria, o il folcloristico del "c'era una volta".
 
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mancanza di coordinamento della filiera

ho più volte pensato ad un investimento nel settore agricolo
e sempre ho visto che la resa è bassissima
il gap , l'utile, il margine folle ( del 300% a giro, su base annua è di più) mi hanno detto che lo mangia la distribuzione

margine folle non direi , il guadagno medio del commerciante ultimo anello
della catena distributiva è del 40%
parlo per esperienza diretta, se vi sembra tanto :wall:
 
margine folle non direi , il guadagno medio del commerciante ultimo anello
della catena distributiva è del 40%
parlo per esperienza diretta, se vi sembra tanto :wall:


il 300% ( e, ripeto, vado a memoria) è della intera filiera, non di un anello
insomma, in soldoni:
il contadino a quanto vende 1q di pomodori?
 

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