L' angolo didattico by La mò: la guerra dello zucchero (1 Viewer)

sharnin

Forumer attivo
La distruzione alimentare e sociale del Terzomondo

Nel 2000 le multinazionali con capacità di ricatto mondiale nel commercio di cereali, Cina compresa, sono cinque: (ben minore è la sesta, l'italiana Ferruzzi), chiamate, in analogia con le compagnie petrolifere, “le sorelle del grano”
Nell'ordine:
1) Cargill di Minneapolis, della famiglia amero-scozzese Mc Millan, socio il bielorusso Julius Hendel. Prima delle cento imprese multinazionali agroalimentari elencate da Margherita Scoppola, fatturato totale 1997 di 56.000 milioni di dollari (oltre 100.000 miliardi di lire), con le altre quattro più la Ferruzzi la Cargill oligopolizza l'80% del mercato mondiale dei cereali e, con Continental Grain, Dreyfus e Bunge y Born, l'80% di quello dei semi oleosi. Nel 1978 essa acquista il secondo più grosso produttore statunitense di carne, la MBPXL Corporation di Wichita/Kansas, mutandone il nome in Excel e trasferendo gli impianti a Dodge City.
Scrive Jeremy Rifkin: “La decisione di Cargill di aggiungere al proprio portafoglio aziendale attività di lavorazione delle carni bovine rifletteva la tendenza all'integrazione verticale che caratterizzava la scena imprenditoriale degli anni Settanta; segnalava anche il consolidamento finale dell'industria della carne, con il raggruppamento di cerealicoltura, allevamento e macellazione e trasformazione della carne in un unico, grande complesso bovino ...... Oggi, i tre grandi dell'industria della carne esercitano un significativo controllo su quasi tutte le fasi del processo produttivo della carne: posseggono le aziende che producono le sementi utilizzate per le colture di cereali destinati all'alimentazione bovina; producono i fertilizzanti e i prodotti chimici utilizzati sui terreni e sulle colture; sono proprietari di stalle intensive e di mandrie bovine sempre più numerose” (20)
2) Continental Grain di New York, della famiglia americana Fribourg. Il capo-casata è Michel, nato ad Anversa nel 1913. Cento anni prima il bis-bisnonno Simon riforniva di granaglie gli eserciti napoleonici. La prima filiale oltreoceano viene aperta a New York nel 1922; nel maggio 1940, all'arrivo in Belgio dei tedeschi, Michel si porta negli USA con tutti i suoi beni liquidi. Il commercio con Mosca si apre nel 1963 con la vendita di 800.000 tonnellate di grano; nel novembre 1971 viene contrattata la vendita di 2,9 milioni di tonnellate di cereali, soprattutto grano, orzo e avena; nel luglio 1972 la cessione all'URSS al prezzo “politico” di 1,68 dollari a Bush del porta ad un rialzo dei prezzi sul mercato americano che giunge a 5,24 dollari, mentre il mais triplica e la soia quadruplica per compensare il basso prezzo applicato all'URSS. Nel 1999 la CG si fonde con la Cargill a formare il supercolosso del settore alimentare.
3) Dreyfus di Stanford e Parigi, della famiglia francese Louis-Dreyfus.
4) Bunge y Born di Buenos Aires, della famiglia argentina Hirsh (tredicesima nell'elenco Scoppola con fatturato 1997 di 12.000 milioni di dollari).
5) Garnac di Chicago e Losanna, fondata nel 1877 dalla famiglia svizzera André, la quale, in difficoltà negli ultimi anni Novanta, nel marzo 2001 alza bandiera bianca davanti a 43 banche creditrici, affidandosi a una procedura prefallimentare. Come scrive Giovanni Cesare Bianco, tale pentacipite superlobby economico-politica, mai quotata in Borsa e che non pubblica bilanci, è “molto aggressiva e determinata verso potenziali rischi e concorrenti, spregiudicata e rapace nei rapporti con contraenti, produttori ed acquirenti, quanto illuminata nei rapporti internazionali, votata al superamento della guerra fredda, alla composizione pacifica di ogni tensione locale o mondiale, alla massima apertura dei mercati e ad una politica internazionale molto avanzata e democratica, specie col blocco dei paesi comunisti ed asiatici ....... L' espansione innesca un nuovo cielo di lotta oligopolistica nello schieramento ricordato, violenta e senza esclusione di colpi, quindi con costi elevati ed esiti incerti, e ciò pur in presenza di una situazione configurabile come oligopolio collusivo su scala mondiale. Conseguenti ripercussioni sono l'esaltazione dei corsi sui mercati, relativa inefficienza e sottoutilizzazione delle capacità produttive, possibilità di operare in termini fortemente speculativi”. Similmente Tony Spybey”.
Le operazioni di queste società sono talmente estese che, considerata l'importanza del grano nella dieta umana, nel loro complesso esse formano il nucleo centrale del sistema alimentare globale.
La portata delle loro operazioni è talmente vasta che esse impiegano la tecnologia satellitare per stimare l'offerta globale quando i cereali stanno ancora crescendo nelle praterie e nelle steppe dei vari continenti. Morgan [in Merchants of Grain, Viking Press, 1979] le presenta in questi termini: “Le società dei cereali furono coinvolte nel caso delle tanto controverse e pubblicizzare vendite di grano americano all'Unione Sovietica nel 1972. Fu solo però nell'anno successivo che, con il quadruplicarsi del prezzo del petrolio, si approfondi la consapevolezza dell'opinione pubblica sull'importanza strategica delle risorse fondamentali”. Come già accennato, infatti, la crisi del petrolio del 1973 portò lo scompiglio nei prezzi delle merci intemazionali. Il grano, essendo un alimento di prima necessità, è anche un bene essenziale e strategico a tutti i livelli, eppure il corso delle azioni di queste società non viene quotato in Borsa, esse non pubblicano rendiconti e nel complesso sono controllate da un'oligarchia di sette famiglie. Si tratta di società che esercitano un impatto certamente transnazionale su una rete integrata di domanda e offerta, che comprende agricoltori, intermediari, spedizionieri, mugnai, fornai, supermercati e consumatori in tutti e cinque i continenti”.
Della potenza delle Cinque Sorelle relaziona anche la Scoppola: “Pur svolgendo un ruolo centrale nel funzionamento dei mercati di alcune commodities [derrate] di base, le sei multinazionali sono rimaste nell'ombra per alcuni decenni. Questo alone di riservatezza, e perfino di segretezza, è stato anche favorito dalla struttura proprietaria delle imprese: una sola famiglia, infatti, controlla le quote di maggioranza della casa madre e di quasi tutte le filiali; inoltre i manager del gruppo provengono frequentemente dalla stessa famiglia o sono comunque legati ad essa attraverso rapporti di parentela. La concentrazione della proprietà e del management nelle mani di una sola famiglia ha consentito alle multinazionali di operare in un clima di estrema riservatezza, non dovendo rendere conto all'esterno delle strategie di impresa”. La potenza delle Cinque Sorelle si esplica anche in politiche aziendali volte alla diversificazione in sempre nuove attività, tendenzialmente tutte a rischio contenuto, nei settori bancario, assicurativo, immobiliare e industriale. Di converso, confrères attivi in altri campi prendono sotto tutela altri settori alimentari strategici: vedi il superspeculatore ex ungherese George Soros, che dopo avere investito miliardi di dollari in giganteschi complessi alberghieri e per uffici a Città del Messico, partecipato ai venezuelani Banco Provincial e Fondo de Valores Immobiliarios, a Bogotà al Banco de Colombia, in Brasile a ditte immobiliari e alla telefonica Telebras, a ditte immobiliari guatemalteche e, quanto all'Argentina, ad imprese di costruzione, catene alberghiere, centri sportivi, centri commerciali e primarie ditte immobiliari, prende sotto controllo il più vasto dei parchi-bestiame argentini, comprendente a fine 1997 oltre 160.000 capi. E a fine secolo tutti i settori affaristici sono talmente intricati che il mondo assiste, impotente, ai più impensati, ma sempre remunerativi, sconfinamenti. Nessuna sorpresa, quindi, se Arianna Dagnino ci avverte - oltre che delle consimili imprese della Virgin dell' inglese Richard Branson e della Monsanto del superamericano Robert Shapiro, che acquista terreni in Africa per sperimentare, indisturbata, le nuove, redditizie culture transgeniche approvate dal confratello Gary Goldberg, capo dell'America Corn Growers Association, “Associazione dei coltivatori americani di grano” (nel 1999 negli USA sono transgenici il 40% del raccolto di mais e il 60% della soia) - che Soros, “il genio delle speculazioni finanziarie”, punta ora “sull'Africa, sull'agricoltura, sulla natura e su un bene che è destinato a scarseggiare: lo spazio” “Saremo pure all'economia delle idee e alla ricchezza impalpabile dei flussi di informazione, ma la terra, bene fisico per eccellenza, rimane un asset [risorsa finanziaria]. E George Soros l'ha capito.
Mentre i più fanno a gara per salire sul vascello dell'information technology, alcuni grandi investitori intemazionali stanno puntando su ciò che l'Occidente pensava già di dover gettare fuori bordo: la terra. Terra come fornitrice di materie prime, di beni agro-industriali o minerali; terra su cui costruire case e complessi turistici; terra semplicemente come spazio (un bene che, a differenza delle idee, è limitato e tende sempre più a scarseggiare). “Ma dove stanno acquistando i finanzieri delle City di New York e Londra? Soprattutto nel continente dimenticato, l'Africa. E' questa la prospettiva strategica di società di investimenti come la londinese Blakeney Management - specializzata in mercati emergenti e unica, nel suo genere, a focalizzare i propri interessi esclusivamente in Africa e nei Paesi Arabi - che oltre a investire in azioni sulle Borse locali ha cominciato ad acquisire società proprietarie di tenute e piantagioni. Dietro Blakeney Management ha fatto spesso capolino George Soros [... ] Il Soros Fund Management, infatti, fa parte del consorzio di investitori stranieri che, capeggiato da Blakeney Management, nel 1997 divenne il maggior azionista di African Lakes Corporation, una trading company [da to trade “commerciare/trafficare/approfittare/speculare”, e quindi: compagnia di commercio/speculazione] quotata a Londra e da oltre un secolo attiva nell'Africa subequatoriale, dove è proprietaria, soprattutto in Malawi e Zimbabwe, di piantagioni e foreste. La stessa African Lakes ha ora acquisito Automotive Export Supplies, distributore di Land Rover e BMW in dodici paesi africani”. Inoltre, “la presenza invisibile di George Soros si fece sentire anche quando nel 1998 Blakeney Management - il cui fondo d'investimenti per l'Africa include una coppia di banche newyorkesi e due fra i maggiori fondi pensione inglesi - divenne insieme ad African Lakes il maggior azionista di Lonrho Africa, una delle più importanti trading company del continente, quotata sia a Londra che a Johannesburg. Con sede a Nairobi, Lonrho Africa è proprietaria di grandi piantagioni di cotone, tè, canna da zucchero, enormi fattorie per l'allevamento di bestiame e immense foreste da taglio. I suoi interessi, radicati anche nel turismo e nella distribuzione di auto e macchinari industriali, toccano Ghana, Kenia, Uganda, Mozambico, Sudafrica, Mauritius, Zambia e Malawi. Sempre fra le società con un interesse in Lonrho Africa si trova un altro dei protagonisti di questo nuovo scramble for Africa [lotta per l'Africa].E' African Plantations, anch'essa associata a Soros. African Plantations Corporation è costituita da un gruppo di finanziatori lungimiranti, “convinti che le grandi piantagioni del continente abbiano di fronte a sé un futuro promettente, alla luce della crescente domanda di prodotti agro-industriali sui mercati internazionali e della concomitante riduzione di terre arabili nel resto del mondo”, come recita il profilo aziendale. Ha acquistato grandi piantagioni di tè e caffè in Malawi, Tanzania, Zambia e Zimbabwe e vuole costruire la più importante società di produzione di tè e caffè di tutta l'Africa, con ramificazioni anche nelle foreste da taglio e nelle piantagioni di alberi della gomma [... ] D'altronde persino un avveduto e ascoltato international investor come Jim Rogers, da un anno in giro per il pianeta per analizzare di persona i vari mercati, consiglia di puntare sulle materie prime: riso, cotone, lana, prodotti minerari. Tutta ricchezza che si può ancora toccare con mano”.
A causa della politica agricola condotta dall'Occidente, in testa gli USA, nei confronti del Terzomondo, le gigantesche holding multi-transnazionali, in ispecie le Cinque Sorelle dei cereali, sono le responsabili prime di tutta una serie di fenomeni innescati 1) dal mutamento delle colture e dalla sostituzione dei cereali locali - in Africa, ad esempio, miglio e sorgo - con monocolture più redditizie per gli acquirenti ma ipersfruttatrici del suolo: caffè, arachidi, banane, ananas, soia e altri legumi, zucchero, vaniglia, gamberetti, juta, tabacco, albero della gomma o perfino erba alfalfa, prodotta in Etiopia per il bestiame giapponese mentre i contadini etiopici muoiono di fame, così come in Centroamerica alla fine degli anni Settanta due terzi della terra arabile sono occupati da bestiame per lo più destinato al Nordamerica (osceno ed irresponsabile gioco, dato che il 90% dei nuovi allevamenti in Amazzonia sospende l'attività entro otto anni dall'avvio, causa l'impoverimento del suolo dovuto all'eccesso di pascolo) o ancor più direttamente dannose per gli indigeni: coltivazione di stupefacenti come Cannabis sativa, coca e papavero d'oppio, con formazione di strutture criminali anche a livello statuale e ulteriore inserimento di tali economie nel circuito mondialista... il “vantaggio comparativo” inneggiato da Adam Smith!: 2) [fenomeni innescati], il più immediato dei quali è la vendita a tali paesi del surplus di cereali prodotti dall'agricoltore statunitense, il quale, per mantenere tale produzione, 3) viene a dipendere sempre più dai prestiti bancari e dagli acquirenti/commercianti del prodotto, e 4) impoverisce il suolo in modo sempre più aggressivo, 5) suolo che richiede quantità sempre maggiori di pesticidi e fertilizzanti come, d'altra parte, il Terzo Mondo per le monoculture (per quanto concerne i cereali, nel quarantennio 1950-90 il consumo mondiale dei fertilizzanti è praticamente decuplicato), 6) con una ricaduta negativa, diretta e indiretta, sulla salute non solo degli States, ma dell'intera popolazione mondiale, 7) progressiva dipendenza alimentare dagli USA del Terzomondo (e con istruttivi risvolti: quando nel 1972 il Sahel viene devastato dalla siccità e dalla morte per fame, Washington paga ai propri agricoltori tre miliardi di dollari affinché lascino incolti cinquanta milioni di ettari che, se coltivati, sfamerebbero quelle popolazioni africane, e ciò per provocare un rialzo dei prezzi e trarre maggiore profitto sui grandi mercati: “I morti di fame del Sahel non avevano invece i quattrini sufficienti per comprare il grano a un prezzo interessante per i produttori americani”, commenta Massimo Fini), 8) sfruttamento intensivo di campi, foreste e materie prime per fronteggiare non solo le esigenze di una popolazione in rapida irresponsabile crescita, ma anche il deficit della bilancia commerciale, 9) maggiore impulso, attraverso la commercializzazione di legname e minerali, alla capacità trasformativo-produttiva dei paesi industrializzati, 10) conseguente ulteriore accelerazione dell'inquinamento ambientale e del tasso di malattie infettive e degenerative in tali paesi, 11) abbandono, da parte dei Governi locali, di ogni volontà di sviluppare le residue colture terzomondiali mediante costruzione, ad esempio, di difese arboree naturali o serbatoi e canali d'irrigazione, 12) desertificazione e abbandono dei campi (oltre alla Cina, vedi l'Africa subsahariana), 13) urbanizzazione accelerata, con formazione di megalopoli-cloaca composte da agglomerati di bidonville e favele, come ben riassume Giorgio Morpurgo: “Potrebbe a prima vista sembrare che l'esportazione dei ritrovati della nostra società non abbia portato che bene: disgraziatamente è proprio il contrario. Se la popolazione è aumentata, non per questo è aumentata la superficie delle terre coltivate e tutte le risorse che assicurano ad una popolazione una vita decente. Anzi, come vedremo in seguito, la superficie coltivata va gradualmente diminuendo. Fino ad un certo punto l'aumento della popolazione è stato compensato dall'aumento della produttività agricola dato dall'introduzione di varietà di cereali più produttive, un rimedio non privo di controindicazioni poiché le nuove varietà necessitano di maggiori quantità di costosi concimi, generalmente non prodotti nei paesi del Terzo Mondo. Una soluzione di questo genere, in assenza di un declino nel ritmo di accrescimento della popolazione, che si è verificato ma non è stato sufficiente, non può costituire che un palliativo. Dopo una breve pausa il male ritornerà più intenso di prima. La popolazione è aumentata più delle risorse e il risultato è stato il collasso economico e il completo degrado sociale delle popolazioni di ciò che siamo abituati a chiamare Terzo Mondo.
“Si vive (per ora) un po' di più, ma a quale prezzo?... al prezzo di una vita a un livello subumano, della desertificazione del territorio, dell'abolizione di ogni valore culturale. La vecchia cultura è morta, la nuova non esiste. Lasciati a se stessi, questi paesi che avevano una loro propria vita, miserabile ma dignitosa, potevano riuscire ad evolvere verso qualcosa di meglio. O anche potevano restare com'erano, poiché certamente lo scopo primario degli uomini non è allungare la speranza di vita alla nascita ma, per quelli che sopravvivono, vivere una vita che abbia un senso. Adesso questi popoli non hanno speranza: l'aumento della popolazione fa sì che ogni possibile risorsa sia dedicata unicamente alla sopravvivenza, rendendo al tempo stesso impossibile sia il cambiamento delle condizioni economiche che lo sviluppo di una qualsiasi cultura. In tutti questi paesi si è poi verificato un altro fenomeno che nel giro di pochissimi anni ha assunto proporzioni mostruose. Spinta dalla fame ricorrente (è impossibile nelle campagne in assenza di uno Stato organizzato evitare le carestie dovute ad eventi climatici, malattie, etc.) la popolazione si riversa nelle città sperando di trovare qualcosa da mangiare. Nel giro di trent'anni Città del Messico è passata da 2 a 18-20 milioni di abitanti, Lima in Perù da 5 a 10 milioni (circa la metà della popolazione del paese), il Cairo da 3 a circa 16 milioni, quanto alla nigeriana Lagos, passa da 1 milione a 10 milioni etc. In tutti i casi le città hanno un centro con l'aspetto di una città come noi la concepiamo, relativamente piccolo, che raccoglie meno di un decimo degli abitanti, contornato da un agglomerato di catapecchie fatiscenti in cui non esistono fognature, acqua potabile, elettricità, etc.”,
14) esasperazione della dicotomia classi ricche/povere, che già caratterizza il Terzomondo, con la fondazione e l'imposizione, ancor più che nell'Europa del dopoguerra, di cricche dominanti prone al Potere. Scrivono Jeffrey Mander ed Edward Goldsmith: “Il modo più efficace per aprire i mercati è quello di occidentalizzare i quadri dirigenti locali e trasformarli in ardenti sostenitori dello sviluppo economico, che deve essere perseguito anche a danno della maggioranza dei concittadini [... ] Oggi questo è uno degli obiettivi principali dei cosiddetti programmi di sviluppo, che comprendono l'addestramento militare, la fomitura di armi e il sostegno economico ai governi filoamericani. Rientrano in questa logica anche gli aiuti alimentari forniti dagli Stati Uniti, che sono divisi in due categorie. La prima si compone essenzialmente di prestiti a interesse ridotto che vengono erogati ai governi del Terzo Mondo. Questi soldi, come scrive Danaher, “servono a comprare prodotti alimentari americani per poi rivenderli sul mercato trattenendo il ricavato”. Questo tipo di aiuto è soltanto un trasferimento di valuta nelle casse dei governi che Washington considera strategicamente importanti. La seconda categoria di aiuti alimentari, invece, ha funzione di rendere certi paesi sempre più dipendenti dalle forniture statunitensi. Molti uomini politici americani, compreso l'ex vicepresidente [democratico] Hubert Humphrey, hanno detto che gli aiuti alimentari devono essere usati come arma”, 15) ulteriore spinta all'ingresso nel Mercato-mondo per l'importazione di modelli di vita occidentali e per la necessità di approvvigionare la popolazione urbana enormemente aumentata, il che porta non solo ad istituire “adeguate” strutture di controllo, trasporto e commercio, ma anche a forzare i contadini a produrre non più per sé ma per il mercato-mondo (ad esempio con la formula della “agricoltura su contratto”, ove la grande impresa, nazionale o multinazionale, affitta dal contadino la sua terra e il suo lavoro e costui produce quanto gli viene richiesto), e conseguente maggiore impotenza economico-politica del Terzomondo nei confronti dell'Occidente, con la perdita del potere di controllo e difesa - come già fu nell'Ottocento in Cina con l'imposizione dell'oppio - nei confronti delle importazioni di alimenti giudicati dannosi dai singoli Stati: cibi transgenici, carni ormonizzate, vegetali disinfestati con precursori diossinici le cui caratteristiche e i cui limiti di tossicità vengono, rispettivamente, le prime sminuite e i secondi decuplicati su “base scientifica” per tranquillizzare l'“opinione pubblica”, e l'acquisizione dei moduli comportamentali occidentali a livello di struttura mentale/politica (la democrazia liberale diviene inevitabile), ma non a livello economico/produttivo. A prescindere dall'umanità dei colonialismo di popolamento e strategico italiano, Massimo Fini rileva che il colonialismo classico - financo quello di sfruttamento commerciale di stampo anglo-olandese - fu molto più responsabile e meno brutale dell'odierno colonialismo finanziario di stampo americano: “Non bisogna confondere l'omologazione del pianeta ad un unico modello economico con il colonialismo tradizionale. Non tanto perché quest'ultimo non arrivò mai ad occupare l'intero globo, quanto perché si tratta di due fenomeni che, seppur intrecciati, sono qualitativamente molto diversi. Il vecchio colonialismo, avendo soprattutto di mira la rapina di materie prime più che la conquista di nuovi mercati, tiene nettamente separate la comunità dei colonizzatori da quella indigena e non stravolge quindi l'esistenza e la cultura dei popoli autoctoni, che sostanzialmente continuano a vivere come hanno sempre vissuto. Il colonialismo economico invece, puntando sulla conquista di nuovi consumatori, ha bisogno di omologare le popolazioni indigene ai gusti, ai costumi, alla way of life del modello industriale, e quindi ne distrugge le culture, pur rispettando, almeno formalmente, a differenza del primo, la sovranità dei loro Stati”, per cui quei paesi, entrati nel mercato mondiale e nel circuito internazionale del denaro, “vengono stritolati dalle interdipendenze create dal globalismo economico e dai suoi meccanismi. Per vari motivi. Perché, arrivando per ultimi, sono comunque troppo deboli per inserirsi nel meccanismo con qualche possibilità di successo. Perché i paesi industrializzati non solo gli rapinano, come han sempre fatto dall'epoca coloniale, le materie prime - e questo sarebbe ancora il meno - ma gli rivendono la loro roba inutile: Coca-Cola, radio portatili, pile, etc., impoverendoli ulteriormente. In alcuni casi i paesi del Terzo Mondo vengono persino “aiutati” [con prestiti o “donazioni”] per poterli depredare meglio”; conferma il politologo Giancarlo Galli: “I prestiti al Terzo Mondo, che non rientreranno mai in quanto tali, sono stati in realtà già recuperati attraverso un circuito parallelo: le importazioni di materie prime da questi stessi paesi, e le esportazioni di prodotti finiti, beni di consumo e armamenti. Spirale nefasta, che accresce la dipendenza dal capitalismo di questi paesi: è il neocolonialismo economico-finanziario”,
19) ulteriore devastazione, in vista della rovina definitiva, delle civiltà locali e delle culture rurali: nota Umberto Malafronte che “il dissolvimento di queste strutture sociali ha disintegrato e atomizzato le società tribali o tradizionali [... ] ingenerando uno stato di insicurezza e di disorientamento mal compensato dal parziale inserimento di una minoranza nell'economia formale sopravvenuta a quella originaria e principale causa della fuga di quegli individui dalle proprie terre e dai propri villaggi [... ] La spinta all'occidentalizzazione finisce per destabilizzare vecchi e consolidati equilibri senza che si intravveda l'approdo verso i nuovi assetti sociali ed economici auspicati per le ovvie incompatibilità storico-culturali”,
20) ed infine, per quanto direttamente ci riguarda, mostruosa e insensata accelerazione del migrazionismo verso l'Europa.

Note:
(20) il primo grande dell'industria della carne, la IBP Iowa Beef Packers, acquistata nel 1981 dalla Occidental Petroleum del miliardario filo-comunista Armand Hammer, nel 1988 macella il 29% dei bovini USA e controlla il 35-40% del mercato USA della carne bovina confezionata. li terzo, la Read Meat Company, è creatura del colosso alimentare Con-Agra, dopo l'acquisto della Swift e di altre imprese.
 

Users who are viewing this thread

Alto