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Forumer storico
Nel 1986 il tribunale civile di Roma annulla la cessione di SME da parte dell'Iri alla Cir di De Benedetti, secondo l'accusa la sentenza "sarebbe stata comprata" da Berlusconi.
L'accusa é grottesca come grottesco é stato il tentativo di cessione di SME a De Benedetti da parte di Prodi il quale, tra l'altro, non aveva nessun titolo a siglare quell'accordo, agendo in conclamato "abuso di ufficio".
I termini del contratto li conosciamo.
I termini della vendita appaiono subito alquanto bizzarri: il 64% della Sme, che come detto aveva in cassa 80 miliardi di lire, con utili, nel 1985 per 60, veniva venduto per 497 miliardi pagabili a rate. Al pacchetto di maggioranza della società non veniva applicato il premio di maggioranza per il controllo della stessa, ma non solo, all'epoca la Sme aveva una capitalizzazione di 1.300 miliardi, per cui il controllo azionario della società passava di mano per una cifra notevolmente inferiore a quanto fissato dal valore di mercato.
(........)
L'Ing. De Benedetti avrebbe "preso possesso" della società il 10 maggio 1985, versando la prima rata di 150 miliardi, però, solo il 28 giugno. Nel medesimo tempo avrebbe incassato i 104 miliardi che due istituti pubblici come Mediobanca e Imi gli avrebbero versato per rilevare il 13% della società entro la stessa DATA del 28 giugno (senza ottenere le stesse dilazioni di De Benedetti).
Le successive rate avrebbero potuto essere pagate da De Benedetti con gli utili della Sme che ammontarono a 60 miliardi nel 1986, 119 nel 1987, 88,7 nel 1988, 97,6 nel 1989 e 125 nel 1990; senza contare che il gruppo conteneva perdite pregresse per circa 600 miliardi, che si trasformavano per l'acquirente in circa 200 miliardi di beneficio in termini fiscali.
Il consiglio di amministrazione dell'Iri, fortemente contario ad approvare un'intesa che non aveva deliberato, ne delegato Prodi ad alcuna trattativa, sotto la pressione del suo presidente, approvò l'intesa subordinandola, però, all'autorizzazione ministeriale.
Il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, con il voto a favore del Consiglio dei Ministri, bocciò l'operazione dopo un aspro braccio di ferro con Ciriaco De Mita, vicino a Prodi, denunciando la non congruità del prezzo.
Il Governo aprì, allora, le trattative con gli altri cinque aspiranti al gruppo Sme, mentre De Benedetti chiedeva il sequestro delle azioni, inaugurando la lunga saga giudiziaria tuttora aperta.
Il Tribunale di Roma gli diede torto negando il sequestro delle azioni, giudizio poi confermato dal Tar del Lazio.
Prodi, a questo punto, faceva marcia indietro considerando un semplice pre-accordo quello firmato in Aprile, al contrario di De Benedetti convinto invece che si trattasse di un contratto vero e proprio.
L'Ingegnere si rivolse nuovamente al Tribunale di Roma, ma le sue istanze furono respinte in primo, secondo grado e Cassazione. Il primo collegio di magistrati era presieduto da Filippo Verde, giudice sospettato di corruzione per conto della cordata Iar.
La cordata Iar composta da Berlusconi, Barilla, Ferrero e Confcooperative aveva presentato un'offerta di 600 miliardi dopo che la vendita della Sme a De Benedetti venne bloccata dal Governo.
Il 17 gennaio l'Iri dichiara valida l'offerta Iar, ma la Sme resta all'Iri quando il 19 luglio 1986 il Tribunale di Roma annulla definitivamente l'accordo Iri-Buitoni.
Verrà venduta nel 1993, con grande sollievo delle casse dello Stato, al prezzo di circa 2.000 miliardi di lire.
E' curioso notare come De Benedetti non abbia querelato, chiedendogli i danni, Romano Prodi, visto che sottoscrisse un accordo che non aveva il potere, pur desiderandolo, di fare, prendendo un impegno che fu mai in grado di rispettare.
Questi gli antefatti.
L'accusa é grottesca come grottesco é stato il tentativo di cessione di SME a De Benedetti da parte di Prodi il quale, tra l'altro, non aveva nessun titolo a siglare quell'accordo, agendo in conclamato "abuso di ufficio".
I termini del contratto li conosciamo.
I termini della vendita appaiono subito alquanto bizzarri: il 64% della Sme, che come detto aveva in cassa 80 miliardi di lire, con utili, nel 1985 per 60, veniva venduto per 497 miliardi pagabili a rate. Al pacchetto di maggioranza della società non veniva applicato il premio di maggioranza per il controllo della stessa, ma non solo, all'epoca la Sme aveva una capitalizzazione di 1.300 miliardi, per cui il controllo azionario della società passava di mano per una cifra notevolmente inferiore a quanto fissato dal valore di mercato.
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L'Ing. De Benedetti avrebbe "preso possesso" della società il 10 maggio 1985, versando la prima rata di 150 miliardi, però, solo il 28 giugno. Nel medesimo tempo avrebbe incassato i 104 miliardi che due istituti pubblici come Mediobanca e Imi gli avrebbero versato per rilevare il 13% della società entro la stessa DATA del 28 giugno (senza ottenere le stesse dilazioni di De Benedetti).
Le successive rate avrebbero potuto essere pagate da De Benedetti con gli utili della Sme che ammontarono a 60 miliardi nel 1986, 119 nel 1987, 88,7 nel 1988, 97,6 nel 1989 e 125 nel 1990; senza contare che il gruppo conteneva perdite pregresse per circa 600 miliardi, che si trasformavano per l'acquirente in circa 200 miliardi di beneficio in termini fiscali.
Il consiglio di amministrazione dell'Iri, fortemente contario ad approvare un'intesa che non aveva deliberato, ne delegato Prodi ad alcuna trattativa, sotto la pressione del suo presidente, approvò l'intesa subordinandola, però, all'autorizzazione ministeriale.
Il Presidente del Consiglio Bettino Craxi, con il voto a favore del Consiglio dei Ministri, bocciò l'operazione dopo un aspro braccio di ferro con Ciriaco De Mita, vicino a Prodi, denunciando la non congruità del prezzo.
Il Governo aprì, allora, le trattative con gli altri cinque aspiranti al gruppo Sme, mentre De Benedetti chiedeva il sequestro delle azioni, inaugurando la lunga saga giudiziaria tuttora aperta.
Il Tribunale di Roma gli diede torto negando il sequestro delle azioni, giudizio poi confermato dal Tar del Lazio.
Prodi, a questo punto, faceva marcia indietro considerando un semplice pre-accordo quello firmato in Aprile, al contrario di De Benedetti convinto invece che si trattasse di un contratto vero e proprio.
L'Ingegnere si rivolse nuovamente al Tribunale di Roma, ma le sue istanze furono respinte in primo, secondo grado e Cassazione. Il primo collegio di magistrati era presieduto da Filippo Verde, giudice sospettato di corruzione per conto della cordata Iar.
La cordata Iar composta da Berlusconi, Barilla, Ferrero e Confcooperative aveva presentato un'offerta di 600 miliardi dopo che la vendita della Sme a De Benedetti venne bloccata dal Governo.
Il 17 gennaio l'Iri dichiara valida l'offerta Iar, ma la Sme resta all'Iri quando il 19 luglio 1986 il Tribunale di Roma annulla definitivamente l'accordo Iri-Buitoni.
Verrà venduta nel 1993, con grande sollievo delle casse dello Stato, al prezzo di circa 2.000 miliardi di lire.
E' curioso notare come De Benedetti non abbia querelato, chiedendogli i danni, Romano Prodi, visto che sottoscrisse un accordo che non aveva il potere, pur desiderandolo, di fare, prendendo un impegno che fu mai in grado di rispettare.
Questi gli antefatti.