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Forumer storico
Traffico di organi nel Kosovo controllato dalla Nato
Scritto il 26/7/10 • nella Categoria: LIBRE friends, Recensioni
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Centomila euro: è il valore di un rene – umano – sul mercato nero. Quello del traffico di organi è uno dei business su cui si regge l’economia criminale del Kosovo, la cui indipendenza affrettata dagli Usa è stata appena convalidata dall’Onu, nonostante l’opposizione della Serbia.
Il Kosovo, “liberato” dieci anni fa dalla Nato e affidato alla debole amministrazione delle Nazioni Unite, è il terreno di caccia ideale per i “lupi nella nebbia”, gli sciacalli del narcotraffico che, smesse le uniformi indipendentiste dell’Uck, ora governano l’ex regione serba sotto la protezione degli Usa, che vi hanno installato una gigantesca base militare.
Il Kosovo?
Armi e mafia,
moltissima droga e,
appunto, traffico di organi.
E’ la tesi del libro-denuncia “Lupi nella nebbia” dei giornalisti italiani Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano (“Il Kosovo: ostaggio di mafie e Usa”)
edito da JacaBook.
Un reportage sconvolgente, su una realtà di cui nessuno vuole parlare: il Kosovo affidato alla gestione criminale dei clan, in cambio del controllo geopolitico dell’area-chiave dei Balcani. «Senza tacere le atrocità commesse dalle truppe serbe di Milosevic contro la popolazione albanese – afferma Giuseppe Ciulla, freelance con all’attivo diverse trasmissioni Rai – il libro accende i riflettori su una parte della verità che ci viene negata: finora in Occidente abbiamo sempre considerato “buoni” gli albanesi e “cattivi” i serbi, senza sapere che non la popolazione, ma i clan albanesi legittimati da Nato e Onu non sono i “buoni”, ma pericolosi criminali».
Il libro non mette sotto accusa l’Uck in quanto esercito albanese di liberazione del Kosovo, ma solo alcune sue componenti, le più spietatate: banditi senza scrupoli, che nel 1999 si travestirono da guerrieri nazionalisti per meglio controllare il territorio e sviluppare le loro attività illecite: tratta di prostitute, partite di armi, affari milionari con l’eroina e traffico di organi. “Lupi nella nebbia” rivela il coinvolgimento della Medicus, una clinica privata gestita da un urologo «molto vicino all’attuale premier kosovaro, Hashim Thaçi». Il medico è stato arrestato perché i giudici della missione europea hanno scoperto che dirigeva il traffico di organi.
Una scoperta casuale: al momento dell’imbarco, all’aeroporto, un turco svenne davanti agli agenti. Ricoverato, confessò di aver subito l’asportazione di un rene in cambio di appena 2.000 euro.
«Un rene – spiega Ciulla – sul mercato nero frutta circa 100.000 euro. Gli investigatori dell’Unione Europea ci hanno detto che questa è una pratica accertata in 5 casi, ma ci sono altri 25 casi sospetti: ci sono molti occidentali, soprattutto americani, e anche israeliani, che alimentano questo mercato nero». Quello che Ciulla e Romano hanno scoperto, e che pubblicano nel libro, è che l’indagine sul traffico di organi in Kosovo è emersa agli inizi del 2009.
Una barbarie che poteva essere interrotta già alcuni anni prima, quando un’unità speciale delle Nazioni Unite, la Fiu (Financial Investigation Unit) aveva scoperto che quella clinica faceva richieste eccessive di plasma alla banca del sangue di Pristina. «Si erano domandati perché richiedessero così tanto sangue e hanno sollecitato le Nazioni Unite ad approfondire le indagini
e aumentare i controlli – dice Ciulla – ma poi non è stato fatto niente: per anni la pratica è rimasta in un cassetto, fin quando quel turco non è svenuto all’aeroporto».
La pratica del traffico di organi era già stata scoperta (e investigata) da Carla Del Ponte, l’alto magistrato per la Corte Internazionale dell’Aia che ha portato sul banco degli imputati anche Ramush Haradinaj. Direttamente in Albania, a Barrel, la Del Ponte aveva inoltre individuato una centrale dell’orrore, la “casa gialla” (Yellow House), dove durante la guerra «venivano asportati gli organi non solo a militari serbi, ma anche a presunti collaborazionisti kosovaro–albanesi», riferiscono Ciulla e Romano. «Questa pratica è continuata evidentemente anche durante la fallimentare gestione del protettorato Onu».
Perché è importante parlare di Kosovo oggi? «Perché ci insegna come non comportarci», risponde Romano: «Se continuiamo ad andare in guerra, bombardare uno Stato, allearci con i criminali sul posto, i trafficanti di eroina, e poi gestire il territorio tramite il controllo di questi “signori della guerra”, non siamo in una situazione post conflitto, ma pre-conflitto, perché creiamo ingiustizie destinate ad esplodere».
Un’analisi amara: «Oggi, dopo dieci anni, il Kosovo è un territorio povero, amministrato dalla mafia, tenuto calmo solo dai soldi dell’Unione Europea e dai militari della Nato. Più che una situazione post-bellica, sembra uno scenario che prelude ad un altro conflitto: se continueremo ad allearci coi criminali facendoli alleati dell’Occidente, prima o poi anche la popolazione civile vedrà nell’Occidente un nemico». (Il libro: Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, “Lupi nella nebbia – Kosovo: l’Onu ostaggio di mafie e Usa”, JacaBook, 151 pagine, 14 euro).
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Tag: droga, Giuseppe Ciulla, JacaBook, Kosovo, Lupi nella nebbia, mafia, Nato, Onu, traffico di organi, Vittorio Romano
Scritto il 26/7/10 • nella Categoria: LIBRE friends, Recensioni
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Centomila euro: è il valore di un rene – umano – sul mercato nero. Quello del traffico di organi è uno dei business su cui si regge l’economia criminale del Kosovo, la cui indipendenza affrettata dagli Usa è stata appena convalidata dall’Onu, nonostante l’opposizione della Serbia.
Il Kosovo, “liberato” dieci anni fa dalla Nato e affidato alla debole amministrazione delle Nazioni Unite, è il terreno di caccia ideale per i “lupi nella nebbia”, gli sciacalli del narcotraffico che, smesse le uniformi indipendentiste dell’Uck, ora governano l’ex regione serba sotto la protezione degli Usa, che vi hanno installato una gigantesca base militare.
Il Kosovo?
Armi e mafia,
moltissima droga e,
appunto, traffico di organi.
E’ la tesi del libro-denuncia “Lupi nella nebbia” dei giornalisti italiani Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano (“Il Kosovo: ostaggio di mafie e Usa”)
Un reportage sconvolgente, su una realtà di cui nessuno vuole parlare: il Kosovo affidato alla gestione criminale dei clan, in cambio del controllo geopolitico dell’area-chiave dei Balcani. «Senza tacere le atrocità commesse dalle truppe serbe di Milosevic contro la popolazione albanese – afferma Giuseppe Ciulla, freelance con all’attivo diverse trasmissioni Rai – il libro accende i riflettori su una parte della verità che ci viene negata: finora in Occidente abbiamo sempre considerato “buoni” gli albanesi e “cattivi” i serbi, senza sapere che non la popolazione, ma i clan albanesi legittimati da Nato e Onu non sono i “buoni”, ma pericolosi criminali».
Il libro non mette sotto accusa l’Uck in quanto esercito albanese di liberazione del Kosovo, ma solo alcune sue componenti, le più spietatate: banditi senza scrupoli, che nel 1999 si travestirono da guerrieri nazionalisti per meglio controllare il territorio e sviluppare le loro attività illecite: tratta di prostitute, partite di armi, affari milionari con l’eroina e traffico di organi. “Lupi nella nebbia” rivela il coinvolgimento della Medicus, una clinica privata gestita da un urologo «molto vicino all’attuale premier kosovaro, Hashim Thaçi». Il medico è stato arrestato perché i giudici della missione europea hanno scoperto che dirigeva il traffico di organi.
Una scoperta casuale: al momento dell’imbarco, all’aeroporto, un turco svenne davanti agli agenti. Ricoverato, confessò di aver subito l’asportazione di un rene in cambio di appena 2.000 euro.
«Un rene – spiega Ciulla – sul mercato nero frutta circa 100.000 euro. Gli investigatori dell’Unione Europea ci hanno detto che questa è una pratica accertata in 5 casi, ma ci sono altri 25 casi sospetti: ci sono molti occidentali, soprattutto americani, e anche israeliani, che alimentano questo mercato nero». Quello che Ciulla e Romano hanno scoperto, e che pubblicano nel libro, è che l’indagine sul traffico di organi in Kosovo è emersa agli inizi del 2009.
Una barbarie che poteva essere interrotta già alcuni anni prima, quando un’unità speciale delle Nazioni Unite, la Fiu (Financial Investigation Unit) aveva scoperto che quella clinica faceva richieste eccessive di plasma alla banca del sangue di Pristina. «Si erano domandati perché richiedessero così tanto sangue e hanno sollecitato le Nazioni Unite ad approfondire le indagini
e aumentare i controlli – dice Ciulla – ma poi non è stato fatto niente: per anni la pratica è rimasta in un cassetto, fin quando quel turco non è svenuto all’aeroporto».
La pratica del traffico di organi era già stata scoperta (e investigata) da Carla Del Ponte, l’alto magistrato per la Corte Internazionale dell’Aia che ha portato sul banco degli imputati anche Ramush Haradinaj. Direttamente in Albania, a Barrel, la Del Ponte aveva inoltre individuato una centrale dell’orrore, la “casa gialla” (Yellow House), dove durante la guerra «venivano asportati gli organi non solo a militari serbi, ma anche a presunti collaborazionisti kosovaro–albanesi», riferiscono Ciulla e Romano. «Questa pratica è continuata evidentemente anche durante la fallimentare gestione del protettorato Onu».
Perché è importante parlare di Kosovo oggi? «Perché ci insegna come non comportarci», risponde Romano: «Se continuiamo ad andare in guerra, bombardare uno Stato, allearci con i criminali sul posto, i trafficanti di eroina, e poi gestire il territorio tramite il controllo di questi “signori della guerra”, non siamo in una situazione post conflitto, ma pre-conflitto, perché creiamo ingiustizie destinate ad esplodere».
Un’analisi amara: «Oggi, dopo dieci anni, il Kosovo è un territorio povero, amministrato dalla mafia, tenuto calmo solo dai soldi dell’Unione Europea e dai militari della Nato. Più che una situazione post-bellica, sembra uno scenario che prelude ad un altro conflitto: se continueremo ad allearci coi criminali facendoli alleati dell’Occidente, prima o poi anche la popolazione civile vedrà nell’Occidente un nemico». (Il libro: Giuseppe Ciulla e Vittorio Romano, “Lupi nella nebbia – Kosovo: l’Onu ostaggio di mafie e Usa”, JacaBook, 151 pagine, 14 euro).
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Tag: droga, Giuseppe Ciulla, JacaBook, Kosovo, Lupi nella nebbia, mafia, Nato, Onu, traffico di organi, Vittorio Romano