mamma li turchi.. oddio so barbari

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LA SPADA NGOMBE E L'ESECUZIONE TESTA VOLANTE
Il poveretto destinato al sacrificio veniva bloccato sul terreno o su una sedia e la sua testa veniva legata con delle strisce di pelle a un arbusto piegato all'indietro (come il braccio di una catapulta); nel momento in cui la lama spiccava la testa dal busto, questa veniva proiettata automaticamente verso la foresta. Metodo molto ingegnoso, a dire il vero.
L'esecuzione testa volante era un sacrificio di schiavi e prigionieri, che poi venivano smembrati e divorati dalla tribù...
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SCHIAVISMO A ZANZIBAR: UNA STORIA DI ORRORI
Il Mercato degli Schiavi a Zanzibar raggiunse il massimo sviluppo nel XVIII e nella seconda metà del XIX secolo.
Le testimonianze dell'epoca, riportate nell'articolo, offrono un repertorio di orrori difficili da digerire:
"Alcuni gruppi di schiavi sono talmente malnutriti che le loro ossa sembrano sul punto di bucare la pelle. Bambini di sei anni vengono venduti per 4, 5 o 6 dollari. Il valore di uno schiavo di prima qualità è 50 dollari, quello di una ragazza giovane 60. Le donne con figli hanno un costo inferiore rispetto a quelle senza.
Quando uno schiavo muore, il suo corpo viene spesso lasciato a decomporre sulla spiaggia, senza neanche uno straccio o un pugno di terra a coprirlo.
A causa di questa pratica disgustosa e rivoltante, il tanfo intorno alla città è intollerabile; e in concomitanza con gli effluvi nocivi provenienti dai vegetali che marciscono, arrivati con la corrente durante la stagione delle piogge, tendono a causare febbri e dissenterie che provocano tremende devastazioni fra gli abitanti"
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C’era una volta il Lustrascarpe
Un mestiere antico dell’Italia meridionale del dopoguerra, molto presente nel periodo in cui gli italiani decidevano di migrare verso gli Stati Uniti in cerca di fortuna.

Generalmente posizionato all’aperto per la strada, in grandi piazze e in luoghi di passeggio dell’alta e media borghesia, il lustrascarpe lucidava le scarpe altrui e si guadagnava da vivere, chiedendo pochi soldi. Chiamato anche sciuscià, questa simpatica parola è nata dalla italianizzazione del termine inglese shoe-shiner.
Gli attrezzi che si utilizzavano per questo bizzarro lavoro, erano una cassetta in legno con delle estremità dove i clienti poggiavano i piedi, vari tipi di spazzole, pezzuole e lucido, nero o marrone in base alle scarpe da lucidare.
Anche la fotografia raggiunse il suo primo successo proprio con un lustrascarpe: nella Parigi del 1838, a causa del lungo tempo di esposizione, non era possibile nè tanto meno facile, fotografare carrozze e persone in movimento. Un lustrascarpe e il suo cliente invece, rimanendo fermi abbastanza, divennero i primi soggetti mai immortalati in una foto.
Anche nel cinema, la figura del Lustrascarpe divenne famosa in film come Sciuscià di Vittorio De Sica, o ancora L’Immigrato con Charlie Chaplin.
Il lavoro del lustrascarpe era un lavoro fatto di lentezza, di pause, di attenzione e di cura. La scarpa è come un “biglietto da visita”, e ha la capacità di raccontarci anche delle storie, la storia di chi la indossa.

E’ per questo che il mestiere dello sciuscià, era molto più che un semplice lavoro. I suoi gesti avevano qualcosa di magico: Prima di tutto si toglievano i lacci, in seguito la scarpa veniva spazzolata per eliminare la polvere e pulita a fondo. Ogni scarpa doveva avere la sua specifica cura che la riportava al suo splendore. Si stendeva poi un latte detergente per eliminare le macchie e contemporaneamente si nutriva la pelle, rendendola morbida. Infine, si cercava il colore più simile per trattare la scarpa, e completare così tutto il “rito”. Un lavoro lento e preciso, dalle tempistiche quasi “zen” che sembrava voler guardare al passato più che al futuro.
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Nel III secolo d.C., dopo l'editto di #Caracalla, avviene spesso che i barbari vengano accolti nell'impero romano come laeti, vengano affidate loro delle terre in qualità di coloni liberi e che poi acquisiscano la cittadinanza, specialmente militando nell'esercito. Sempre più #barbari si romanizzano e i loro figli divengono automaticamente cittadini romani, semplicemente vivendo all'interno dell'impero. Tale processo è evidente in una lapide, rinvenuta a #Aquincum (Budapest), che recita:
"FRANCVS EGO CIVES ROMANUS MILES IN ARMIS"
"IO (SONO) FRANCO, CITTADINO ROMANO, SOLDATO ROMANO IN ARMI"
[Un'altra interpretazione dell'epigrafe è "io sono un cittadino franco e un soldato in armi"]
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ETIOPIA, SULTANATO DI ADAL E PORTOGALLO: LA BATTAGLIA DI WAYNA DAGA (1543)
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IN BREVE: A partire dal 1529, le forze islamiche dell’imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi iniziano una guerra con l'obiettivo di conquistare il regno d'Etiopia.
La spina dorsale delle truppe di Ahmad è formata da somali e da nutriti gruppi di supporto ottomani, che portano anche nel corno d'Africa l'innovazione tecnologica rappresenta dalle armi da fuoco.
Il conflitto va avanti per un decennio, durante il quale Ahmad occupa la maggior parte dei territori cristiani e porta il Regno d'Etiopia al collasso. Ahmad non ha però fatto i conti con una potenza europea che da molti anni mostra interesse per i traffici commerciali nell'area fra corno d'Africa e India. Parliamo, ovviamente, del Portogallo. La guerra è solo questione di tempo.
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Ai margini dell'impero sulle montagne della Turchia sudorientale, un piccolo regno si trovava nella zona cuscinetto tra il dominio romano e la potenza militare dei Parti.
Era il regno di Commagene e il suo re, Antioco I, che nei suoi 32 anni di regno gestì il compito di mantenere i rapporti amichevoli con i suoi vicini fece costruire un monumentale tumulo funerario in omaggio a se stesso in cima a Nemrut Dağı (Monte Nemrut) e lo fece chiamare il "trono degli dei".
Quello che oggi vediamo, le statue e le teste di Antioco circondato dai suoi devoti compagni sulla vetta sono uno dei siti archeologici più suggestivi dell'intera Turchia. E la tomba del re è ancora da individuare e da scoprire.
Il Nemrut Dağı (Monte Nemrut) si trova all'interno del Parco Nazionale di Nemrut Dağı. La vetta si trova a 54 km a nord-est di Kahta.
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