ConteRosso
mod sanguinario
il presidente di Confindustria
Emma Marcegaglia
Viviamo tempi assai difficili. In un Paese, come l’Italia, segnato da anni di bassa crescita e da un alto debito pubblico, la nostra sfida è quella di riuscire a non trasformare alcuni luoghi comuni in fallaci superstizioni.
La prima di queste è che l’orizzonte di una crescita economica sostenuta sia ormai negato a un’Italia che sui mercati mondiali deve affrontare la concorrenza spietata di chi ha costi più bassi. Non è così. L’impresa come processo di scoperta è un attore che resta vivo e vitale, radicato nella fibra più profonda del nostro Paese. L’Italia è stata capace di difendere la sua vocazione industriale in Europa anche in questi anni terribili. E continuerà a farlo se saprà innovare prodotti e processi, se saprà crescere nella catena del valore aggiunto.
La seconda superstizione è che la globalizzazione sia una competizione a senso unico, in cui si afferma chi ha costi più bassi e più flebili tutele di diritti. È falso. Nei secoli le posizioni di forza sono rimaste a favore dei paesi a più alti costi e a tutele più elevate, finché gli stessi sono stati capaci di innovazioni in grado di remunerare i diversi fattori produttivi, il lavoro e il capitale.
La terza convinzione infondata è che l’Italia sia condannata anche da una demografia declinante. Dipende invece solo da noi invertire questa rotta a vantaggio delle famiglie, alleggerendo il peso fiscale e adeguando il welfare alle legittime aspettative dei giovani e delle donne.
Il quarto luogo comune è l’irriformabilità del settore pubblico, con le sue alte pretese fiscali, le estese storture, le inefficienze e i clientelismi. Lo hanno fatto prima di noi nazioni avanzate che avevano conosciuto degenerazioni pubbliche ancor più profonde. Possiamo farlo anche noi ora, grazie a un rafforzato senso di coesione nazionale.
Infine, c’è una superstizione temibile da sfatare. È quella che l’Europa sia ormai diventata una gabbia assai più che uno scudo comune, di crescita e di libertà. Negli ultimi anni la politica europea ha commesso molti errori, lasciando che le sue difficoltà, causate da una bassa convergenza di finanza pubblica e di produttività, si traducessero in una crisi epocale. È un errore rimediabile, se la politica saprà ravvedersi sotto l’impulso dell’intero mondo del lavoro e dell’impresa del nostro Continente.
Io sono fiduciosa, e non solo perché un imprenditore lo è per sua natura. Ma anche perché, come italiana, mi sento di scommettere sulla nostra forza della ragione.
dal libro dei fatti ADn Kronos
Emma Marcegaglia
Viviamo tempi assai difficili. In un Paese, come l’Italia, segnato da anni di bassa crescita e da un alto debito pubblico, la nostra sfida è quella di riuscire a non trasformare alcuni luoghi comuni in fallaci superstizioni.
La prima di queste è che l’orizzonte di una crescita economica sostenuta sia ormai negato a un’Italia che sui mercati mondiali deve affrontare la concorrenza spietata di chi ha costi più bassi. Non è così. L’impresa come processo di scoperta è un attore che resta vivo e vitale, radicato nella fibra più profonda del nostro Paese. L’Italia è stata capace di difendere la sua vocazione industriale in Europa anche in questi anni terribili. E continuerà a farlo se saprà innovare prodotti e processi, se saprà crescere nella catena del valore aggiunto.
La seconda superstizione è che la globalizzazione sia una competizione a senso unico, in cui si afferma chi ha costi più bassi e più flebili tutele di diritti. È falso. Nei secoli le posizioni di forza sono rimaste a favore dei paesi a più alti costi e a tutele più elevate, finché gli stessi sono stati capaci di innovazioni in grado di remunerare i diversi fattori produttivi, il lavoro e il capitale.
La terza convinzione infondata è che l’Italia sia condannata anche da una demografia declinante. Dipende invece solo da noi invertire questa rotta a vantaggio delle famiglie, alleggerendo il peso fiscale e adeguando il welfare alle legittime aspettative dei giovani e delle donne.
Il quarto luogo comune è l’irriformabilità del settore pubblico, con le sue alte pretese fiscali, le estese storture, le inefficienze e i clientelismi. Lo hanno fatto prima di noi nazioni avanzate che avevano conosciuto degenerazioni pubbliche ancor più profonde. Possiamo farlo anche noi ora, grazie a un rafforzato senso di coesione nazionale.
Infine, c’è una superstizione temibile da sfatare. È quella che l’Europa sia ormai diventata una gabbia assai più che uno scudo comune, di crescita e di libertà. Negli ultimi anni la politica europea ha commesso molti errori, lasciando che le sue difficoltà, causate da una bassa convergenza di finanza pubblica e di produttività, si traducessero in una crisi epocale. È un errore rimediabile, se la politica saprà ravvedersi sotto l’impulso dell’intero mondo del lavoro e dell’impresa del nostro Continente.
Io sono fiduciosa, e non solo perché un imprenditore lo è per sua natura. Ma anche perché, come italiana, mi sento di scommettere sulla nostra forza della ragione.
dal libro dei fatti ADn Kronos