Una volta
Monica Cirinnà, quella delle unioni civili, fu accusata di aver mandato “a fare in culo” il senatore
Vincenzo Santangelo, grillino.
E allora, dentro un casino in cui non si capiva nulla, dove tutti urlavano, con
Calderoli che – presidente di turno – cercava di ricordare che ci si trovava al Senato,
Ciro Falanga – allora antirenziano – che gridava come un ossesso,
Vincenzo D’Anna si alzò e chiese la parola.
L’espressione del volto gli si fece grave, la panciona sempre prominente, i gesti come se fosse l’Angelus: “Su quella parola che non pronuncio – scandì con un filo di voce – vorrei le royalties”.
Il Senato esplose in una risata, l’ex sindaco
Albertini si voltò divertito per capire, il siciliano
Antonio Scavone si sarebbe rovesciato per le convulsioni se dietro non avesse avuto il muro a sostenerlo.
Ex berlusconiano e ora renziano, ex dc e autoproclamato liberale, cosentiniano e quindi “garantista”, il senatore-biologo D’Anna ha sempre tre meriti:
svegliare chi assiste alle sedute del Senato dal torpore,
far saltare sulla sedia il presidente di turno (con
Gasparri, oggi, ha finalmente fatto
en plein)
e trasformare l’Aula di Palazzo Madama in una cosa a metà tra la scuola di filosofia e uno spogliatoio maschile di un terminal portuale.
Cita
Hobbes e
Tommaso Moro, ma – si direbbe – ha il culo sempre in testa.
Lo infila, poi, in interventi che volano alto – per sintassi, per lessico e per citazioni filosofiche – e quindi l’effetto è sempre doppio. Doppia risata, doppio scandalo.
Come oggi con le “vergini dai candidi manti, rotte di dietro ma sane davanti”, frase rivolta ai Cinquestelle mentre si discuteva del caso Giarrusso (che lui crede sia Gianrusso, con la enne).