OGNI VOLTA CHE DECIDI, PERDi QUALCOSA, QUALUNQUE COSA TU DECIDA. E' SEMPRE QUESTIONE (3 lettori)

PILU

STATE SERENI
Ormai è una dura lotta. Son quotidiani i tentativi di denigrazione nei confronti dell'unico movimento che è dalla parte della gente normale.
Il problema è che alla fine la gente si è fatta fare il lavaggio del cervello dai castaioli. E , temo, continuerà a votarli......

i danni che stanno facendo i castaioli li stanno provando tutti..alla fine basta poco per girare la barra in modo decisivo...
nomi della società civile al di fuori di certi ambienti... credibili e preparati... e far fuori certi personaggi sarà un gioco da ragazzi...

illuso ? forse ma alla fine non ci rimane nient'altro:wall::wall:

sarà una lotta durissima :wall::wall:
 

ninjaxx

amico del maestro...
in 12 ore altri 1000 clandestini...

viaggiamo ad una media di 1500 al giorno. x 30 gg sono 45000 mese ovvero circa 500.000 annui.

senza considerare i figli che fanno, quelli che arrivano con l'aereoplano.

dovremmo arrivare a 1.000.000 e piu' all'anno dal 2014.
se i miei conti non sono errati in 10 anni non ci sarà piu' l'Italia...
 

tatteo

Forumer storico
Comunque vada ce l'abbiamo in quel posto.............






Alitalia ha circa un miliardo di debiti, e le due maggiori banche italiane, insieme alla Popolare di Sondrio e al Monte dei Paschi, sono le più esposte.
Davanti al premier Enrico Letta ci sono due strade: una con la quale le banche perderebbero tutto e una che salverebbe i loro crediti. Percorrere la prima è possibile solo a condizione che si inietti nuovamente denaro pubblico nella compagnia privatizzata a caro prezzo nel 2008. Vediamo i numeri. La nuova Alitalia dei “patrioti” guidati da Roberto Colaninno nei primi quattro anni di attività (2009-2012) ha perso un miliardo in tutto. Fin dall’inizio la sciagurata operazione ha visto come maggiore azionista Air France, con il 25 per cento del capitale, e anche i muri sapevano che a fine 2013 la compagnia sarebbe diventata francese. Alitalia è da sempre integrata con Air France e Klm nell’alleanza Skyteam, una delle concentrazioni industriali che caratterizzano il mercato aereo.
Nessuna grande compagnia riesce più a stare sul mercato da sola, figurarsi la scassata Alitalia. Uscire dall’alleanza è poi praticamente impossibile. Il destino della compagnia è dunque segnato, e se qualcuno teme che questo sacrifichi il nodo di Fiumicino può mettersi l’anima in pace: è già successo, Colaninno ha da tempo delegato al primo azionista la politica dei voli a lungo raggio e assecondato la progressiva ritirata dal mercato più redditizio.
Nel frattempo la gestione dei “patrioti” ha portato l’Alitalia sull’orlo del baratro, e Letta ha parlato chiaramente di una necessaria discontinuità nella gestione. I francesi però si sono irrigiditi. Trattandosi di una compagnia che già domenica prossima potrebbe fermare i voli (il numero uno dell’Eni Paolo Scaroni ha detto che non darà più carburante a credito, visto che fatture per 30 milioni sono ancora inevase) Air France ha posto precise condizioni per prendersela: mano libera sul numero di dipendenti e sul network dei collegamenti. Soprattutto zero debiti.
Le voci di ieri riferivano di una tesa telefonata tra Letta e il presidente francese François Hollande, notizia non confermata ma verosimile. Dare l’Alitalia al nuovo proprietario francese senza debiti significherebbe ripetere lo scenario del 2008, cioè la creazione della cosiddetta bad company, un ramo fallimentare che si prende i debiti lasciando la parte sana dell’attività pronta a ridecollare libera e felice.
Il problema è che nel 2008 Alitalia era pubblica, e così la gestione fallimentare fu dotata di circa 3 miliardi di denaro pubblico per soddisfare i creditori. Stavolta Alitalia è privata, e fare la bad company significherebbe dare l’attività all’Air France lasciando a bocca asciutta i creditori, Intesa e Unicredit in testa. Per convincere Air France a prendersi la polpa Alitalia con l’osso dei debiti si è pensato a imbellettare i suoi conti con un’iniezione di 300-500 milioni (sufficienti per un anno di stentata vita ulteriore) in parte a carico delle banche come credito ulteriore e in parte a carico degli azionisti che ancora rispondono al telefono: la Immsi della famiglia Colaninno, Atlantia dei Benetton (interessata perché controlla gli Aeroporti di Roma), e di nuovo Intesa, che nella brillante operazione orchestrata dall’allora suo capo Corrado Passera investì anche 100 milioni nel capitale.
Siccome sono tutti un po’ in difficoltà, qualcosa, almeno un centinaio di milioni di euro, dovrebbe metterli lo Stato. Ma a quanto si sa, i vertici della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini (il presidente) e Giovanni Gorno Tempini (amministratore delegato), hanno minacciato le dimissioni se venisse ordinato il salasso a loro o alla loro controllata Fintecna. Di qui lo stallo. Per questo il consiglio d’amministrazione di Alitalia, convocato ieri pomeriggio per lanciare i necessari aumenti di capitale, è stato rinviato a domani. Partita apertissima con centinaia di milioni in gioco, e la pressione fortissima delle banche perché paghi ancora una volta Pantalone.
 

ninjaxx

amico del maestro...
Roberto Orsi:
"Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent'anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.
Il governo sa perfettamente che la situazione è insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento estremamente miope dell'IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle imprese alle rendite finanziarie. Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per tutta l'estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per un'economia che ha perso circa l'8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo "ripresa" è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l'immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell'élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L'Italia non avrebbe potuto affrontare l'ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l'apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell'Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull'Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell'UE sapendo perfettamente che l'Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l'Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.
L'Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell'UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d'Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese . Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell'Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L'Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.
L'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi - collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall'ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell'UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo. Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano. L'interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. L'illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che il Presidente, la Banca d'Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese. Saranno amaramente delusi. L'attuale leadership non ha la capacità, e forse neppure l'intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell'Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell'Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l'Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all'interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l'idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l'Italia.
 

Val

Torniamo alla LIRA
Bell'articolo Tat.......uhmm. vediamo un po', ma si Colaninno.......questo Colaninno

Roberto Colaninno (Mantova, 16 agosto 1943) è un imprenditore italiano.


Origini pugliesi, di Acquaviva delle Fonti (BA). Sposato, con due figli entrambi imprenditori: il primogenito Matteo, è deputato dal 2008 nelle file del Partito Democratico, il secondogenito Michele è direttore generale di IMMSI.



Roberto Colaninno, ragioniere, è Cavaliere del Lavoro dal 2000 e nel 2001 è stato insignito della laurea honoris causa in Economia e Commercio dall'Università di Lecce e tuttora è presidente di Alitalia.

Ah....ecco perchè lo Stato dovrebbe correre in aiuto di un privato......eh sì.
 

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