OSSERVA NEL PROFONDO DELLA NATURA E ALLORA COMPRENDERAI MEGLIO OGNI COSA

Divulgate la favella.

Uno dei più formidabili sistemi di manipolazione della coscienze è costituito dalla doppietta fake news-fondamentalismo scientifico.

Dove per “fake news” non deve intendersi il problema delle notizie false
(che è sempre esistito, ma non è mai stato così sopravvalutato) quanto il loro uso strumentale.

Tutto ciò che esce dal recinto del perbenismo corretto e accettato finisce, di default, nel pattume delle fake.

Anche quando non si tratta di una notizia falsa, ma solo di un lieve peccato di imprecisione
su una questione inessenziale o, addirittura, di una opinione controcorrente.

Il fondamentalismo scientifico, invece, è la trasformazione del concetto di “scienza” nel suo esatto contrario.

Non più un metodo fondato sulla formulazione di ipotesi, sulla loro sperimentazione
e sulla diffusione di teorie verificabili (e reputate valide) fino alla loro inevitabile falsificazione.

Piuttosto, un consolante e puerile sistema di “verità rivelate” così simile ai dogmi di una teocrazia da suscitare sinistre inquietudini.

E infatti porta con sé la stessa violenza verbale e la medesima tentazione del rogo per i reprobi.

Fake news e fondamentalismo scientifico si saldano poi a quello straordinario vettore di costruzione del consenso che è rappresentato dai media mainstream.

Un esempio perfetto ci viene da un recente articolo pubblicato su Repubblica.it, il 30 settembre,
dallo strepitoso titolo “La fronda degli scienziati italiani che negano la scienza”.

E non c’è nulla di auto-ironico, in questo incipit, beninteso.
L’umorismo è una qualità sconosciuta a certe iperboree latitudini del pensiero.

Come possano degli scienziati negare la scienza è una circostanza comprensibile solo a chi ignora cosa sia la scienza;
e il metodo scientifico; e il suo fastidioso modo di procedere per tentativi ed errori.

Ma anche a prescindere da ciò, è divertente immergersi nella lettura per capire chi siano questi negazionisti immeritevoli della patente di scienziati.

Vi troviamo ben duecento studiosi italiani e – ci informa Repubblica –
“tra i primi firmatari, Antonino Zichichi e Renato Ricci, già presidente della Società italiana di fisica e della Società europea di fisica”
.

Come dire che Piero Angela si metterebbe sull’attenti.

E già questo dovrebbe allarmare l’autore del pezzo.

In una civiltà che venera, su ogni cosa, la “competenza”, contraddire dei competenti certificati rischia di attirare, come minimo, l’accusa di cialtroneria.

Ma il fondamentalismo scientifico è così “fondamentalista” da sfidare l’incoerenza.

Ad ogni buon conto, l’articolo continua riferendoci che l’appello non è stato affatto ignorato, tutt’altro.

Ha raccolto la firma di oltre 500 accademici in giro per il mondo.

E cosa propugnano costoro? Una autentica eresia, secondo Repubblica.
E cioè che “i modelli climatici sui quali è fondata la congettura del riscaldamento globale antropico si sono rivelati errati”.

Fateci capire: abbiamo la scienza “ufficiale” e un autentico esercito di scienziati pluridecorati nelle migliori accademie del globo, da una parte;
e Repubblica – bastione inespugnabile del politicamente corretto – dall’altra. Ma Repubblica non si fa mica spaventare.

Sta combattendo da giorni una sacrosanta battaglia in nome del fondamentalismo scientifico.

E quindi è non solo libera di sbugiardare come non scientifico uno studio scientifico,
ma di accompagnare la notizia con una serie di sconvolgenti sciagure in arrivo che, al confronto,
Cassandra era una profetessa dilettante:

innalzamento degli oceani,

disastri sulle coste,

milioni di persone sfollate

e così via, in un crescendo di geremiadi.

Ci ricorda tantissimo gli scenari apocalittici divulgati da Al Gore nei primi anni zero
in base ai quali noi non dovremmo essere più qui a scrivere e voi non dovreste essere più qui a leggere. E da un bel po’.

Ma perché Repubblica è così convinta?

Perché il 25 settembre è stato diffuso il nuovo rapporto dell’IPCC, comitato scientifico dell’Onu sul global warming.
E questo rapporto – Repubblica dixit – “non lascia spazio a dubbi”.

A parte quelli di 200 scienziati italiani e di 500 luminari stranieri, s’intende. Ah, già!

Ma questi non contano perché “negano la scienza”.
Cioè negano le tesi condivise da “Repubblica” (nota rivista scientifica) e sostenute dall’IPCC.

Poi c’è la ciliegina sulla torta: il pezzo non manca di informarci, con malcelato sollievo,
che un convegno dei “negazionisti” previsto per il 12 novembre all’Accademia dei Lincei è stato annullato.

Di questi temi non è conveniente neppure discutere, come del resto era stato efficacemente spiegato
cinque secoli or sono a uno spacciatore seriale di bufale, di nome Galileo, dai sostenitori del geocentrismo.


I quali non scrivevano su Repubblica solo perché Repubblica non era stata ancora fondata;
mentre il fondamentalismo andava già via come il pane.

Ricapitolando, abbiamo:

il fondamentalismo scientifico a decidere cosa è scientifico e cosa no,

uno studio scientifico derubricato a fake news,

e una autorevolissima testata non scientifica a certificare la “bontà” dell’una e dell’altra cosa.

A questo punto, nei cineforum degli anni Settanta, avrebbero detto: segue dibattito.

Oggi, anche questo lusso è precluso.
 
Per secoli la moneta di riferimento per gli scambi internazionali e per i principali regni d’Europa è stato l’oro, il quale corrispondeva ad un certo peso d’argento.

L’uso dell’oro comportava dei problemi pratici.

1) Se un mercante veneziano doveva acquistare dell’ambra proveniente dal porto di Amburgo, doveva spedire l’oro fino ad Amburgo,
con tutti i rischi (di furto o di affondamento della nave) ed i costi di sicurezza (per evitarne il furto) del caso.
2) Dopo di che il mercante tedesco non voleva rischiare di tenere l’oro in casa, per cui lo affidava ad una banca, che, dietro compenso, ne garantiva la conservazione.
3) Accadeva poi che un altro mercante tedesco, che conservava il proprio oro presso la stessa banca amburghese,
dovesse pagare della merce proveniente da Venezia. A quel punto l’oro doveva essere rispedito a Venezia, con tutti i rischi ed i costi del caso.

Le banche risolsero questo problema aprendo delle filiali nelle principali città commerciali
(Venezia, Firenze, Genova, Parigi, Londra, Amburgo, Bisanzio, ecc.) e facendo trasportare
dei certificati cartacei del valore in oro delle merci trasportate, le cosiddette “note di banco” o banconote.

Dato che quasi tutti tenevano l’oro nei sicuri forzieri delle banche e dato che trasportare banconote costava molto meno che trasportare l’oro,
l’uso delle banconote al posto dell’oro si diffuse in tutta Europa.

Nessuno andava a controllare e sapeva esattamente quanto oro vi fosse nei forzieri delle banche,
anche perché era detenuto in filiali distanti fra loro e a volte lo stesso oro si spostava da una filiale all’altra.
Sia a causa dei commerci, ma anche a causa delle guerre, tramite le quali il re di turno si impossessava di una parte dell’oro detenuto da altri regni.

Le banche emettevano quindi banconote ben oltre le riserve d’oro possedute (che peraltro era dei loro clienti, non di loro proprietà)
e le prestavano ad interesse, realizzando in questo modo i loro utili.

Nel corso dei secoli le banche private diedero origine alle banche centrali, arrivando a stampare banconote per conto dello stato.

Inizialmente per un valore nominale equivalente alle riserve d’oro detenute dallo stato, ma in seguito superando questo limite,
dietro le richieste incessanti dei vari governanti, i quali avevano bisogno di sempre più denaro per finanziare le guerre, le opere pubbliche ed il funzionamento dello stato.

Con gli accordi di Bretton Woods del 1944 fu stipulato un accordo internazionale, secondo il quale gli USA
emettevano banconote sulla base delle proprie riserve d’oro, mentre le altre nazioni (fra cui l’Italia)
potevano emettere la propria valuta con un tasso di cambio fisso con il dollaro.
Il sistema di Bretton Woods ebbe fine con la dichiarazione unilaterale di Richard Nixon del 15 agosto 1971.

E’ un fatto che per secoli prima le banche private e poi le banche centrali, dietro pressioni dei governi, emisero cartamoneta ben al di là delle riserve d’oro detenute.

Si trattava evidentemente di una truffa, ma anche di una necessità.

Se quel denaro veniva emesso, infatti, era perché c’erano persone disposte a prenderlo in prestito (ad interesse)
o ad accettarlo in cambio del proprio lavoro, essendo sicure di poterlo a loro volta ri-spendere.

(*) Oggigiorno le banche private creano denaro scritturale ed elettronico
(i nostri conti in banca, le nostre carte di credito) sulla base di una percentuale minima di “riserve”,
costituite a loro volta di scritture contabili emesse dalla banca centrale,
la quale a sua volta le scrive sulla base di altre scritture contabili “negative” emesse dal Tesoro (i titoli di stato),
le quali sono emesse a fronte della possibilità del futuro pagamento dei soli interessi generati dall’emissione dei titoli,
tramite il pagamento di tasse pagate dai contribuenti in denaro scritturale o elettronico emesso dalle banche private.

Insomma: un sistema inutilmente complicato, un cane che si morde la coda,
in cui in realtà l’unica cosa che davvero conta è che il denaro sia spendibile ovvero che lo possiamo utilizzare per delle nostre necessità.

Non a caso in Inghilterra l’economia funzionava benissimo anche usando dei bastoncini di legno come denaro.

Ci sono persone convinte che sarebbe necessario ritornare al denaro vincolato alle riserve d’oro,
per evitare che le banche emettano denaro per imbrogliare la gente, ma è necessario comprendere che il “gold standard” è oggettivamente insostenibile.
Se fosse applicato, precipiterebbe la nostra economia in una crisi economica ancora peggiore di quella attuale.

Le ragioni per cui il gold standard non è sostenibile sono abbastanza semplici da comprendere.

La quantità di denaro che serve all’economia di un paese dipende dalla quantità di scambi e dalla propensione al risparmio.
Più scambi di beni/servizi avvengono, più denaro occorre.
Più la gente mette da parte denaro senza spenderlo, più denaro occorre.
Il denaro non è un valore, da misurarsi con riferimento ad un metallo, ma è solo uno strumento per facilitare gli scambi economici.

Da cosa dipende il numero di scambi?
La loro quantità è:
1) Direttamente proporzionale al numero di abitanti.
2) Direttamente proporzionale al grado di specializzazione dei lavoratori.
3) Direttamente proporzionale alla necessità/possibilità di accantonare denaro per dei bisogni futuri.

Ora, se la quantità di oro è costante (o quasi, la quantità di oro annualmente estratta dalle miniere è minima rispetto alla quantità totale esistente nel mondo),
essa sarà potrà essere sufficiente solo in una economia con basso bisogno di denaro:
1) Pochi abitanti
2) Persone che vivono di autoproduzione (contadini) e che hanno poche necessità di scambi con altre persone (come era la società agricola fino al 1700)
3) Persone che non sono in grado di risparmiare, o perché guadagnano troppo poco e spendono tutto per vivere
o perché la situazione economica impedisce il risparmio in denaro (ad esempio in caso di alta inflazione)

Dalla storia, però, abbiamo imparato che:
1) La popolazione è aumentata e può aumentare.
2) La meccanizzazione e l’informatizzazione del lavoro riducono il numero di agricoltori che vivono di autoproduzione
e aumentano il numero di lavoratori specializzati, che operano in una economia avanzata fatta di molti scambi.
3) La situazione economica consente di mettere da parte denaro per le incertezze del futuro, quindi serve denaro sia per il risparmio, sia per gli scambi: ne serve di più.

Passando dalla situazione con basso bisogno di denaro alla situazione con alto bisogno di denaro,
succederà che la quantità di oro non sarà più sufficiente a garantire il “valore” di tutto il denaro che viene richiesto da cittadini e imprese.

Se la quantità di moneta cesserà di aumentare seguendo le richieste, ci saranno:
1) Persone che resteranno disoccupate o sottopagate, per mancanza di mezzi di pagamento
2) Sarà impossibile investire in innovazione e in sviluppo, specializzando maggiormente i lavoratori
3) Sarà molto difficile risparmiare.

L’Italia di oggi è un esempio perfetto di queste dinamiche, in quanto le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea
bloccano l’attuale meccanismo di creazione di denaro per l’economia reale sopra descritto (*).

Ci troviamo in una sorta di moderno “gold standard”, che lascia l’economia priva del denaro circolante necessario a farla funzionare.

Ecco i dati dell’Italia:

  1. Evoluzione dei salari in Italia
  2. Evoluzione degli investimenti privati in Italia
  3. Evoluzione del risparmio in Italia, Germania e Svizzera
 
Riporto articoli che reputo interessanti e che nessuno o pochi leggono.

Stampare moneta significa aumentare i consumi ed aumentare i prezzi per effetto dell'inflazione.

Aumento dei consumi e dei prezzi, aumento del PIL.

Aumento del PIL diminuzione del rapporto debito / PIL ........perchè diciamoci la verità :

IL DEBITO NON DIMINUIRA' MAI.
 
Personalmente - e lo sto scrivendo da tempo - avrei preferito l'aumento dell'IVA del 3%.

SE spendo 10.000 euro in un anno, è un aumento di 300 Euro.

25 euro al mese. Mi vien da ridere...........Per me, sono solo BUFFONI.
 
..... e poi penso agli stranieri che vengono in Italia........almeno pagano anche loro. Ahahahahah
 
Teoria opposta.
L'eventuale contrazione sugli acquisti, porta le aziende a diminuire i prezzi, per preservare le quote di vendita.
Esempio: sino a qualche mese fa, Gocciole pavesi costavano Euro 2,35 x 500 gr.
Oggi Euro 2,10.

Sono convinto che l'aumento del 3% dell'Iva sarebbe stato compensato dai prezzi di vendita.

D'altra parte, quando negli anni passati avevamo il 15% di inflazione annuo, nessuno ha rinunciato agli acquisti.
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