Perché il crollo dei mercati continua

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Perché il crollo dei mercati continua
Giovanni Barone-Adesi *

La continua discesa dei mercati è accolta da molti con fatalismo. Perfino il capo della Banca Centrale degli Stati Uniti, Benjamin Bernanke, parla di riprese dell’economia possibili se i mercati si stabilizzeranno, come se la stabilizzazione fosse decisa dal Fato, non dalle aspettative sull’andamento dell’economia. In questa luce, le critiche di molti al suo predecessore Greenspan per i suoi interventi passati sembrano paradossali: sembra che Greenspan potesse tener su i mercati da solo, mentre Bernanke non può far nulla. Naturalmente si dà la colpa di questo a Greenspan. Quando si vuol cambiare capro espiatorio, i bonus, gli hedge funds, l’ingegneria finanziaria e, perché no, il segreto bancario (!) vengono proposti come responsabili della recessione. Questa retorica inizia a ricordare un po’ le argomentazioni degli anni Ottanta in Unione Sovietica, quando i problemi economici venivano attribuiti alla seconda guerra mondiale. In realtà, alcuni degli elementi citati possono aver contribuito ad innescare la crisi, ma non ci aiuteranno ad uscirne. Fin dalle prime avvisaglie, due anni fa, è stato evidente che l’inevitabile ritorno alla razionalità nel mercato del credito avrebbe ridotto la domanda. Oggi in quasi tutti i Paesi ci sono troppe case, automobili e petrolio. Le aziende produttrici perdono soldi e riducono l’occupazione e gli investimenti. Sembrerebbe lapalissiano aumentare la domanda per risolvere il problema, ma questa strada è sbarrata da molte difficoltà politiche. Nei Paesi anglosassoni i governi vorrebbero che le banche espandessero il credito, ma migliorandone la qualità, per ripristinare l’integrità del sistema bancario. L’evidente contraddizione tra i due obiettivi resta irrisolta e alimenta le cacce alle streghe citate sopra. In Europa l’aumento della domanda interna è ostacolato dal timore di premiare i Paesi meno disciplinati fiscalmente. Le cifre in gioco sono talmente grandi che si paventa che l’euro non sopravviva. Questa spada di Damocle non fa nulla per incoraggiare i consumi e gli investimenti.
Nel caso svizzero, molti temono che cercare di migliorare la domanda unilateralmente, in una piccola economia aperta, sia inutile, un po’ come cercare di vuotare l’oceano con un secchiello. Nell’impossibilità di sostenere la domanda, molti governi aggravano la situazione, già molto deprimente, sostenendo l’offerta, ovvero aiutando le industrie in crisi a produrre più beni per mercati inesistenti. Evidentemente confondono l’aiuto agli individui con l’aiuto alle imprese. Per buona misura molti politici indulgono su temi populistici, prendendosela con i consumi di lusso, o protezionistici, riducendo la domanda per i prodotti altrui. In pratica, nessuno fa qualcosa per limitare i danni. Il continuo crollo dei mercati riflette questa semplice verità.
La scelta che ci sta davanti è piuttosto semplice: o lasciamo che il credito si contragga fino a quando la produzione non cadrà abbastanza, con conseguenze molto pesanti per i redditi, o cerchiamo di far ripartire l’economia, con notevoli rischi di creare una bolla speculativa.
Nell’incapacità di scegliere, le autorità tengono in vita molte istituzioni incapaci di funzionare, come l’AIG, salvata quattro volte in sei mesi, nella speranza che il mantenimento dello status quo sia foriero di tempi migliori.
In realtà, come insegna l’esperienza giapponese degli ultimi venti anni, rimandiamo inevitabili scelte. L’Inghilterra ha scelto la seconda strada e ha iniziato a stampare soldi, si spera con moderazione. Altri Paesi sembrano orientati a lasciar contrarre il credito. Queste scelte dovrebbero dominare il dibattito politico nei prossimi mesi. Abbiamo già perso abbastanza tempo su temi periferici.

*) Economista

10.03.09 07:39:43
 

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