Processo Borsellino : depistaggio totale (1 Viewer)

lincoln

Forumer storico
"Io torturato e costretto a mentire"
Ecco lo scoop censurato su Borsellino
Rispunta l’intervista a Scarantino che nel ’95 svelò i depistaggi. Il falso pentito parlò a Studio Aperto. Ma il video fu sequestrato e distrutto. Repubblica è entrata in possesso di una copia dell'intervista


"Io torturato e costretto a mentire" Ecco lo scoop censurato su Borsellino
Vincenzo Scarantino
UNO SCOOP soffocato, un'indagine contorta che si rivelerà poi un gigantesco depistaggio, un pentito che si pente di essersi pentito e una sua intervista cancellata per seppellire ogni prova. Anche così hanno deviato l'inchiesta sull'uccisione del procuratore Paolo Borsellino. E per "legge" l'hanno incanalata su una falsa pista. I misteri sulla strage di via D'Amelio non finiscono mai. E adesso si scopre che diciotto anni fa la magistratura aveva ordinato di far sparire una registrazione televisiva - con un provvedimento di sequestro - sulla prima ritrattazione del famigerato Vincenzo Scarantino, il finto collaboratore di giustizia che si era autoccusato del massacro offrendo un'ingannatrice ricostruzione del massacro e indicando come suoi complici sette innocenti. Tutto su suggerimento di uomini di apparati dello Stato.

Dopo le sue confessioni, Vincenzo Scarantino aveva subito fatto marcia indietro affidando alle telecamere di Studio Aperto la sua verità. La procura di Caltanissetta ha deciso nel 1995 che quella verità non poteva diventare pubblica e, subito dopo la messa in onda dell'intervista, ne ha imposto la distruzione dagli archivi e perfino dai server. Quell'intervista non doveva più esistere. E così è stato, almeno ufficialmente. Perché qualcuno, probabilmente un tecnico disubbidiente, ne ha conservato una copia - invano cercata dai pm, che oggi indagano sulle indagini e che hanno smascherato il depistaggio della vecchia inchiesta - di cui Repubblica è entrata in possesso. Basta ascoltare la voce di Scarantino per capire che lui aveva già detto tutto, tutto quello che si sarebbe scoperto quasi vent'anni dopo. Ma nulla si doveva sapere allora, c'era solo una verità da far emergere: Vincenzo Scarantino colpevole. I pm di Caltanissetta di oggi stanno ancora indagando su ciò che è accaduto - chi ha taroccato l'inchiesta fin dai primi passi, perché - ma nei loro archivi non hanno trovato neanche il fascicolo originale del sequestro di quella video-cassetta.

Scomparso anche quello. Adesso vi raccontiamo nei dettagli questa vicenda, precisandovi che la video cassetta recuperata (e che potete trovare su Repubblica. it) contiene solo una parte dell'intervista concessa da Scarantino. È lunga quasi tre minuti. La versione integrale non esiste più. Ma in quei tre minuti trasmessi vent'anni fa e mai più riproposti il falso pentito dice tutto.
E tutto è cominciato il 26 luglio 1995, tre anni dopo la morte di Paolo Borsellino.
Il mafioso che si era autoaccusato della strage telefona alla redazione di Studio Aperto a Palermo. Per la prima volta ammette di essersi inventato ogni dettaglio sull'autobomba, di avere fatto nomi di uomini innocenti dopo le torture subite nel supercarcere di Pianosa. Passano poche ore e, negli studi della redazione di Italia Uno, arriva la polizia e sequestra tutte le cassette con l'intervista di Scarantino. Il provvedimento è firmato dalla procura di Caltanissetta. L'ordine è quello di cancellarla da tutti i computer, a Palermo e a Milano. Il falso pentito - subito dopo il servizio televisivo - viene raggiunto dai magistrati di Caltanissetta che lo convincono a ritrattare la ritrattazione. È la svolta dell'inchiesta sulla strage di via Mariano D'Amelio.

La procura, il capo è Giovanni Tinebra, mette il sigillo sull'autenticità delle rivelazioni false di Scarantino. Per più di quindici anni il "caso" viene dimenticato, fino a quando appare sulla scena un nuovo pentito - Gaspare Spatuzza - che smentisce Scarantino e racconta che ad organizzare la strage era stato lui e non l'altro. Nell'autunno del 2010 la revisione del processo e la scarcerazione di sette imputati, ingiustamente condannati all'ergastolo. Poi, qualche giorno fa, anche la registrazione dell'intervista a Scarantino è ricomparsa.

Ecco cosa diceva il 26 luglio del 1995 al giornalista Angelo Mangano: "Ho deciso di dire tutta la verità e di non collaborare più perché ho detto tutte bugie. Io sono innocente... Non è vero niente, sono tutti articoli che ho letto sui giornali, e ho inventato tutte queste cose. Il giornalista gli chiede se gli uomini che lui ha accusato sono innocenti, Scarantino risponde: "Tutti, tutti, tutti...". Poi, in una seconda parte dell'intervista - uno spezzone andato in onda il giorno dopo, il 27 luglio - il falso pentito comincia a parlare delle torture subite in carcere: ""A me a Pianosa mi fanno urinare sangue. A me facevano delle punture di penicillina, mi stavano facendo morire a Pianosa... ma voglio tornare in carcere... mi fanno morire in carcere, però morirò con la coscienza a posto".

Scarantino fa anche un nome nell'intervista (che però non è andato in onda) e lo rivela oggi Angelo Mangano: "Gli chiesi: "Chi le ha fatto urinare sangue? Mi rispose: il dottore La Barbera"". Arnaldo La Barbera, il capo della squadra mobile di Palermo che l'attuale procura di Caltanissetta considera il principale responsabile della gigantesca montatura che è stata l'inchiesta sulla strage di via D'Amelio.
I retroscena di quell'intervista ce li racconta Mangano: "Nacque in modo del tutto casuale. La mattina del 26 luglio 1995 si era avuta notizia da ambienti giudiziari di una ritrattazione di Scarantino, decisi dunque di andare a casa della madre, alla Guadagna. La signora mi fece sentire una registrazione in cui il figlio ritirava le accuse, una registrazione che si sentiva male. Diedi allora il mio numero alla signora, e neanche un'ora dopo fu Vincenzo Scarantino a chiamarmi".

Qualche mese prima si era già concluso il primo processo per la strage Borsellino, con la condanna del falso testimone a 18 anni e con l'ergastolo per i complici che aveva indicato. Due giorni dopo l'intervista e il sequestro della cassetta, Scarantino decise di fare il pentito in un verbale firmato davanti al sostituto procuratore di Caltanissetta Carmelo Petralia. Poi le indagini proseguirono su una falsa pista. E la procura di Caltanissetta aprì addirittura un'inchiesta "per accertare eventuali comportamenti illeciti per convincere Scarantino a ritrattare". Seguì una nota ufficiale dei pm per definire "grave il comportamento della madre di Scarantino e di quanti hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio d'affetto per fini processuali". Il "colpevole" era stato trovato, non ce ne dovevano essere altri. Quella era la verità sull'uccisione del procuratore Paolo Borsellino. Ufficiale e falsa.
 

tontolina

Forumer storico
Nessun magistrato fu disposto ad aiutarci. Nessun avvocato.Nessun organo di polizia.

Nessun magistrato fu disposto ad aiutarci. Nessun avvocato.Nessun organo di polizia. Anzi





PAOLO FRANCESCHETTI

da Paolo Franceschetti - Independent Blog


Questo Blog nasce dalla mia esperienza professionale, ed è diretto ai giuristi, siano essi avvocati, magistrati, docenti, o cultori del diritto in generale. Come direttore di riviste, e di corsi di formazione per magistrati e avvocati, mi sono reso conto che nel percorso del giurista non c’è mai spazio per parlare di determinati temi ovverosia: rapporti tra politica e banche, magistratura e politica, avvocatura e politica, mafia e massoneria e poteri occulti in generale, con il risultato che il magistrato e l’avvocato spesso sono preparatissimi sui molti modi di impugnare l’autovelox, ma se poi si trovano di fronte ad una causa che riguarda massoneria o mafia sono totalmente impreparati ad affrontarla, perché si tratta di argomenti che non tratta mai nessuno.
Il blog nasce dopo l’esperienza della giudice Clementina Forleo e dalla mia esperienza personale. Il magistrato si è scontrato con i cosiddetti poteri occulti, e all’inizio non vedeva i segnali di minaccia e di delegittimazione che arrivavano. Solo dopo molto tempo ha collegato la morte dai genitori alle minacce di morte agli stessi che le arrivarono qualche mese prima, perché inizialmente pensava si trattasse di un caso, una coincidenza.
Nella mia esperienza personale, quando mi sono imbattuto in questioni riguardanti i poteri occulti, ho trovato davanti a me il vuoto. Venne nel mio studio a chiedere aiuto Solange Manfredi, una dottoressa ora mia collega di studio e collaboratrice di questo blog, figlia di un avvocato massone morto in circostanze poco chiare, che le aveva lasciato in eredità documenti e informazioni di varia natura. Nessun magistrato fu disposto ad aiutarci. Nessun avvocato (salvo l’avvocato Carlo Palermo). Nessun organo di polizia. Anzi, le persone in teoria deputate ad aiutarti, divengono le tue peggiori nemiche, perché ti accusano di inventarti le cose, di volerti fare pubblicità, o di essere paranoico. Ciò succede per molti motivi. Collusioni, connivenze, ma più spesso paura o disinformazione. Nella maggior parte dei casi, però è il disinteresse a farla da padrone.
I primi anni, quindi ce la siamo sbrigata da soli, tra minacce, pericoli, depistaggi, dubbi, cose ancora non chiarite. Ora abbiamo un fitto numero di persone - colleghi, giornalisti, politici, studiosi – con cui collaborare e scambiare informazioni, ma all’inizio avevamo davanti a noi solo il vuoto.
A poco a poco abbiamo delineato l’intreccio di rapporti in cui viveva l’avvocato Manfredi, i giochi in cui era inserito; il che ci è servito per capire meglio il sistema in cui viviamo.
Questo sito nasce per parlare di queste tematiche, ma anche per aiutare chi si trova in queste situazioni ed eventualmente avesse bisogno di aiuto, informazioni, o altro.
Nella speranza che quello che è capitato a Solange non capiti più a nessuno: trovarsi completamente da sola, circondata unicamente dagli esponenti di quei poteri occulti che poi tanto occulti non sono, perché operano più o meno apertamente consci di una giustizia forte con i deboli e debole con i forti, scientemente resa impotente dalla politica.

Se ci volete scrivere risponderemo a tutti, magari nell'arco di qualche giorno. Se non ricevete risposta è possibile che la mail sia andata persa. Scriveteci di nuovo.

Abbiamo indicato i nostri numeri di telefono per chi avesse bisogno di un contatto immediato e urgente. Nella nostra esperienza abbiano constatato infatti che chi ha un problema con i cosiddetti poteri occulti, non può attendersi nessuna risposta da istituzioni, magistrati, avvocati, giornalisti, accentuandosi così lo stato di solitudine in cui la persona si trova. Noi proviamo, nel nostro piccolo, ad invertire la tendenza.

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tontolina

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Su Falcone ipotizza doppia bomba e mano dei servizi. E il pm Donadio viene rimosso


INSIDE


Giovedì, 26 settembre 2013 - 13:47:00
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di Lorenzo Lamperti
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@LorenzoLamperti
Una doppia bomba a Capaci. Con il coinvolgimento dei servizi segreti. Pezzi deviati dello Stato avrebbero partecipato non solo all'omicidio di Borsellino, ma anche a quello di Falcone. E' la conclusione alla quale era arrivato Gianfranco Donadio, procuratore dell'Antimafia che indagava sulle stragi del 92-93. Individuato anche l'attore principale, un ex poliziotto soprannominato "faccia di mostro". E poi un furgone misterioso... "Quel giorno a Capaci non c'era solo la mafia". Ma ora a Donadio è stata tolta la delega. Depistaggi, falsi pentiti, segreti investigativi venduti da una talpa interna alla Procura. Così il pm è stato isolato e fatto fuori. E a microfoni spenti sono in molti a dire: "Era diventato scomodo. Ora si rischia l'insabbiamento".
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GIANFRANCO DONADIO, 57 anni,è stato nominato sostituto procuratore nazionale antimafia nel 2008. Stretto collaboratore dell'ex procuratore nazionale antimafia ora presidente del Senato Piero Grasso, si è occupato delle più importanti indagini di mafia, in particolare quelle legate all'aspetto economico finanziario. Molto riservato, non ha quasi mai concesso interviste o rilasciato dichiarazioni. In passato ha lavorato anche presso il Tribunale per i minorenni e al Gafi, organismo internazionale specializzato nel contrasto al riciclaggio. E' entrato nella Direzione nazionale antimafia nel 2002.
LE IPOTESI DI DONADIO - Gianfranco Donadio lavorava da almeno undici anni, da quando cioè è entrato a far parte della Direzione nazionale antimafia. Per tutto questo tempo ha analizzato e indagato su uno dei momenti più drammatici della storia d'Italia, vale a dire le stragi di mafia del 1992 e 1993. Donadio ha lavorato molto, andando a fondo e cercando di scavare oltre la coltre di alcuni dei misteri del nostro Paese. In particolare si è concentrato sulla strage di Capaci, dove perse la vita Giovanni Falcone. Tra i due attentati di quei mesi terribili è sempre stato considerato il più "chiaro". Mentre per Borsellino e via D'Amelio la verità è sempre stata considerata lontana, tanto che ancora ci sono indagini e processi in corso, per Falcone la responsabilità è stata sempre attribuita solamente a Cosa Nostra. Il lavoro di Donadio ha messo in discussione queste certezze. Il resoconto di Donadio, poi inopinatamente diffuso da una talpa interna alla Procura, racconta una realtà molto più complessa.
LA DOPPIA BOMBA E IL "CANTIERE FANTASMA" - Donadio ha ipotizzato infatti un intervento di pezzi di servizi segreti, italiani e/o stranieri, ed ex appartenenti alle forze di polizia. La convinzione di Donadio si basa soprattutto sull'esplosivo usato per uccidere Falcone. Impossibile che l'esplosivo della mafia possa aver provocato da solo quella devastazione. Il pm ritiene certo l'utilizzo di un esplosivo cosiddetto "nobile", utile a rendere più efficace e scenografica l'esplosione. Insomma, l'esplosivo recuperato sulle barche da Spatuzza non sarebbe stato l'unico a essere azionato. Donadio ipotizza una seconda bomba e un secondo innesco oltre a quello mafioso sotto il manto stradale. Nei giorni seguenti all'attentato, diversi testimoni fornirono sei identikit di uomini intenti a lavorare a un "cantiere fantasma" al di sopra del livello dell'autostrada. Senza contare le testimonianze su un furgono presente sulla verticale del luogo minato. Due piste che non erano state seguite né approfondite. Donadio stava provando a farlo, ipotizzando un intervento esterno a Cosa Nostra, in qualche modo legato all'eversione di destra e probabilmente a Gladio, come aveva paventato qualche mese fa Ferdinando Imposimato in un'intervista ad Affaritaliani.it. La scelta del sito, le carte clonate e tanti altri elementi gli hanno suggerito la netta diversità con l'attentato fallito dell'Addaura, così tipicamente mafioso nel modus operandi, e l'inquietante somiglianza con un'azione militare.
LE INTERVISTE DI AFFARI
Da Moro a Falcone, dal Kgb alla Cia. Le verità di Imposimato sulle stragi
Parla Amato, l'ex direttore del Dap: "Lo Stato ha ceduto alla mafia"
"FACCIA DI MOSTRO" - Tra i protagonisti dell'attentato a Capaci, secondo Donadio, anche un ex agente di polizia. Si tratterebbe del cosiddetto "faccia di mostro", un poliziotto sfigurato in viso per alcuni colpi d'arma da fuoco. Sarebbe lui il "killer di Stato" del quale ha parlato il pentito Luigi Ilardo. In conclusione, Donadio tratteggia uno scenario inquietante nel quale l'omicidio di Falcone rientra in una rinnovata "strategia della tensione" portata avanti da Cosa Nostra e l'eversione di matrice nera con il coinvolgimento di ambienti para-istituzionali. Uno scenario non facile da digerire. Forse per questo quello scenario è stato divulgato. Rivelazioni e riflessioni venute fuori durante segretissime riunioni in procura sono state "vendute".
IL FALSO PENTITO E LA "MACCHINA DEL FANGO" - Il risultato di anni di lavoro è stato bruciato. La procura di Roma ha anche aperto un fascicolo per provare a capire chi è la "talpa" responsabile di una fuga di notizie disastrosa. E che alla fine ha portato alla rimozione della delega sulle stragi a Donadio. Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha ritenuto di togliere l'indagine a Donadio senza per ora spiegare pubblicamente i motivi della sua decisione. Ma questo è solo l'ultimo passaggio di un periodo "difficile" per Donadio. Il pentito calabrese Nino Lo Giudice, una delle fonti di Donadio, è improvvisamente scomparso. Salvo poi diffondere due registrazioni in cui ha accusato inquirenti e investigatori, tra i quali Donadio, di avergli estorto dichiarazioni. Nel secondo memoriale ha persino affermato che il procuratore lo avrebbe spinto a fare i nomi di Berlusconi e Dell'Utri. Le sue accuse sono state ritenute inattendibili. Lo Giudice è ritenuto, secondo quanto risulta, un falso collaboratore. Lo schema è quello vecchio: fingere di pentirsi per depistare le indagini e infangare la magistratura, screditandola. In questo caso l'obiettivo era screditare un pm che indagava su qualcosa di molto scomodo e per questo considerato molto pericoloso.
CAOS ALL'ANTIMAFIA - Fonti vicine all'Antimafia legano la scelta di sollevare dall'incarico Donadio ad alcune diversità di vedute con i colleghi. C'è chi sostiene che già in passato alcuni suoi atti erano stati accolti con "un certo scetticismo". Ma sono anche molti quelli che, a microfoni spenti, esprimono preoccupazione temendo che le inchieste sulle stragi possano fermarsi o essere insabbiate: "E' la solita fine che fa chi indaga sull'eversione in Italia, viene messo a tacere".
 

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