il rally che non ci sarà?
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http://www.repubblica.it/online/lf_dietro_il_listino/020701ilpunto/ilpunto/ilpunto.html
Il miraggio di un rally
che non ci sarà
Quasi più nessuno crede a un effettivo, importante e prolungato rally delle Borse mondiali. Nessuno crede, cioè, che la stagione dell'Orso possa chiudersi per lasciare posto, e rapidamente, a quella del Toro. Troppe pressioni: dagli scandali finanziari fino all'Iraq.
DI GIUSEPPE TURANI
Da La Repubblica, Affari & Finanza, di lunedì 1 luglio
Milano. Gli esperti di Borsa continuano a litigare fra di loro sui numeri, sui p/e, sulla possibile crescita degli utili, sull'andamento dei vari settori, e sulle altre storie del genere molto particolari e molto precise. Ma alcune cose cominciano a essere chiare.
La prima di queste è che quasi più nessuno crede a un effettivo, importante e prolungato rally delle Borse mondiali. Nessuno crede, cioè, che la stagione dell'Orso possa chiudersi per lasciare posto, e rapidamente, a quella del Toro. E questo per una serie di ragioni tutte molto evidenti.
La prima è che, al di là dei numeri e dei rapporti, le Borse mondiali viaggiano come dentro una nebbia fitta. Quando si scopre che società importanti come Enron e Worldcom avevano falsificato i conti fino al punto da stravolgerli, è chiaro che nessuno si fida più di niente. E quindi non si sa più che cosa è quotato in Borsa. Basterebbe già questo scoraggiare i possibili acquirenti.
Ma questo è solo uno degli elementi, anche se molto importante.
Nel conto si potrebbe anche aggiungere che ci sono alcuni settori hi-tech (dai Pc ai telefonini) fino a ieri di sicuro successo e crescita che invece, e improvvisamente, non appaiono più tanto promettenti. E si sa che questi settori poi si trascinano dietro altri comparti, come il software, i chips, ecc. Insomma, c'è una maggior incertezza rispetto anche solo a due mesi fa.
Poi c'è il contesto internazionale che appare quanto mai vago anch'esso, quando non addirittura pericoloso. Il Giappone continua a gemere e a non ripartire, l'Europa avanza zoppicando, ma dietro l'angolo (dopo la crisi argentina) c'è, lo spettro di una possibile crisi brasiliana che potrebbe travolgere mezza america latina, se non tutta, trascinando nella polvere le solite grandi banche d'affari internazionali.
A tutto questo si aggiunga che i focolai di tensione internazionali, a partire dalla Palestina, sono sempre lì che ardono. Grandi riunioni, grandi discussioni, ogni tanto qualcuno parte e va in missione, ma i focolai sono sempre lì che bruciano.
E dietro a tutto ci sono ancora l'incubo della possibile guerra dell'America all'Irak e l'altrettanto possibile nuovo attacco terroristico contro l'America o contro un altro importante obiettivo occidentale.
Come si vede, il contesto generale non è tale da spingere la gente a investire i propri soldi su società che potrebbero avere vi bilanci taroccati e che potrebbero ritrovarsi dentro una bufera politico-militare di vaste proporzioni. La strada per ricostituire un minimo di propensione a investire appare quindi lunga e piena di buche.
(1 luglio 2002)