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La riunione del G-8 a Camp David, preceduta dal vertice Obama-Hollande, pare aver individuato, almeno a parole, il modo per affrontare l'attuale recessione. Sembra, infatti, via via abbandonato ogni riferimento, anche in combinazione con la priorità della crescita, all'austerità.
I risultati concreti sono tuttavia difficili da prevedere, per la costante posizione della signora Merkel e del suo ministro delle Finanze, che avendo ampiamente goduto, anche per il loro inserimento in Eurolandia, di una proficua crescita, invocano ora una sorta di ellenizzazione degli altri Paesi d'Europa. La verità al riguardo è che se l'Eurozona fosse politicamente unita sarebbe in una situazione molto migliore di tutti gli altri Stati, con un debito pubblico e un deficit controllato, un'inflazione moderata e probabilmente un livello di occupazione assolutamente ragionevole.
Rimane allora da chiedersi perché una serie di politiche sbagliate ha depresso l'economia, aumentato la disoccupazione, fatto soffrire la popolazione e distrutto molte vite.
Alla base c'è stata l'irrazionale frenesia, alimentata dalla speculazione della parità di bilancio, che continua tuttora in piena depressione, dimenticando quel che scrisse John Maynard Keynes, che «il boom e non la recessione è tempo per l'austerità», tanto è vero che i ricercatori dell'Fmi hanno prodotto una pregevole indagine identificando più di 170 casi di austerità nei Paesi ad economia avanzata, fra il 1978 e il 2009. E il risultato evidenziato è che le politiche di austerità furono seguite da recessioni economiche e da aumento della disoccupazione.
La ragione fondamentale di queste politiche sembra a me dovuta soprattutto a un deficit culturale delle classi dirigenti europee, vittime di una deriva moralistica che si verifica spesso quando, per tutelare politiche economiche sbagliate, si invoca l'etica, mentre già dal 1938 Lionel Robbins decretava l'impossibilità di associare economia ed etica, poiché la prima riguarda fatti da verificare e la seconda valutazioni e obblighi.
Ma d'altra parte l'equivoco filosofico è di lunga data, e risale addirittura a Friedrich Nietzsche, quando nella "Genealogia della morale" precisava che l'idea di colpa ha preso origine da quella molto materiale di debito e che tutti i concetti morali oltre che quello di colpa, di coscienza e di dovere, hanno il loro focolare di origine nel diritto delle obbligazioni, sicché anche la comunità sta coi suoi membri in quell'importante, fondamentale rapporto, che è proprio del creditore verso i suoi debitori. E la pena (l'austerità) altro non è che un risarcimento del danno. Non è forse un caso che, per indicare debito e colpa, la lingua tedesca adotti una sola parola: "Schuld".
Se dunque non si vuole andare verso la catastrofe è tempo che la priorità passi dall'austerità alle politiche fiscali contro la disoccupazione. Ed è allora tempo che per stimolare la domanda aggregata i governi spendano di più fino a che il settore privato, invece che essere umiliato dall'austerità, sia pronto a sostenere di nuovo l'economia. Ciò renderà più semplice trattare col deficit di bilancio e i costi del finanziamento del debito, mentre ad esempio finora nonostante le previsioni più volte annunciate, lo spread coi Bund tedeschi continua ad essere di molto superiore ai 400 punti. E le entrate dello Stato sono state alimentate finora solo da un eccessivo aumento delle tasse e non da una seria lotta per il recupero di quanto sottratto dalla corruzione, dall'evasione fiscale e dal riciclaggio.
Sembra peraltro l'ora che, sia pur con timidezza, il presidente Obama accetti l'opinione dei tre autorevoli economisti Paul Krugman, Joseph Stiglitz e Christina Romer, che tagliare le spese in depressione la rende peggiore, mentre il temporaneo aumento della spesa potrebbe aiutare ad uscire dalla crisi.
Ma che dire dell'Europa, dove il vero problema dei Paesi nell'euro è quello che non possono contare sulla Banca centrale europea perché fornisca liquidità nei casi di emergenza, uniti da una moneta unica che non ha una coesa struttura di unità politica, sicché gli attacchi di panico sono dovuti soprattutto al fatto che la Bce giuridicamente non è in grado di acquistare i titoli di Stato dei Paesi dell'euro.
Una prova evidente è quella che riguarda due Paesi vicini e simili, la Finlandia che è nell'euro e la Svezia che ha mantenuto la propria moneta. Ebbene, i costi dei titoli finlandesi sono sostanzialmente molto più alti di quelli svedesi.
La soluzione per uscire dalla depressione non è dunque quella che pure auspicherebbe la Germania, di lasciare uscire la Grecia dall'euro, bensì quella di creare una struttura politica europea che è stata abbandonata a metà, e creare un'unica politica monetaria e fiscale dotando degli adeguati poteri la Bce. Infatti, è perfettamente inutile che continuiamo a bearci di paragoni sbagliati, perché se è vero che noi siamo la Grecia, siamo la Spagna, siamo anche la Germania col suo surplus e il suo stato sociale. La vera Europa è perciò l'unico nostro destino fuori della catastrofe.
Articolo tratto da : il sole 24ore
I risultati concreti sono tuttavia difficili da prevedere, per la costante posizione della signora Merkel e del suo ministro delle Finanze, che avendo ampiamente goduto, anche per il loro inserimento in Eurolandia, di una proficua crescita, invocano ora una sorta di ellenizzazione degli altri Paesi d'Europa. La verità al riguardo è che se l'Eurozona fosse politicamente unita sarebbe in una situazione molto migliore di tutti gli altri Stati, con un debito pubblico e un deficit controllato, un'inflazione moderata e probabilmente un livello di occupazione assolutamente ragionevole.
Rimane allora da chiedersi perché una serie di politiche sbagliate ha depresso l'economia, aumentato la disoccupazione, fatto soffrire la popolazione e distrutto molte vite.
Alla base c'è stata l'irrazionale frenesia, alimentata dalla speculazione della parità di bilancio, che continua tuttora in piena depressione, dimenticando quel che scrisse John Maynard Keynes, che «il boom e non la recessione è tempo per l'austerità», tanto è vero che i ricercatori dell'Fmi hanno prodotto una pregevole indagine identificando più di 170 casi di austerità nei Paesi ad economia avanzata, fra il 1978 e il 2009. E il risultato evidenziato è che le politiche di austerità furono seguite da recessioni economiche e da aumento della disoccupazione.
La ragione fondamentale di queste politiche sembra a me dovuta soprattutto a un deficit culturale delle classi dirigenti europee, vittime di una deriva moralistica che si verifica spesso quando, per tutelare politiche economiche sbagliate, si invoca l'etica, mentre già dal 1938 Lionel Robbins decretava l'impossibilità di associare economia ed etica, poiché la prima riguarda fatti da verificare e la seconda valutazioni e obblighi.
Ma d'altra parte l'equivoco filosofico è di lunga data, e risale addirittura a Friedrich Nietzsche, quando nella "Genealogia della morale" precisava che l'idea di colpa ha preso origine da quella molto materiale di debito e che tutti i concetti morali oltre che quello di colpa, di coscienza e di dovere, hanno il loro focolare di origine nel diritto delle obbligazioni, sicché anche la comunità sta coi suoi membri in quell'importante, fondamentale rapporto, che è proprio del creditore verso i suoi debitori. E la pena (l'austerità) altro non è che un risarcimento del danno. Non è forse un caso che, per indicare debito e colpa, la lingua tedesca adotti una sola parola: "Schuld".
Se dunque non si vuole andare verso la catastrofe è tempo che la priorità passi dall'austerità alle politiche fiscali contro la disoccupazione. Ed è allora tempo che per stimolare la domanda aggregata i governi spendano di più fino a che il settore privato, invece che essere umiliato dall'austerità, sia pronto a sostenere di nuovo l'economia. Ciò renderà più semplice trattare col deficit di bilancio e i costi del finanziamento del debito, mentre ad esempio finora nonostante le previsioni più volte annunciate, lo spread coi Bund tedeschi continua ad essere di molto superiore ai 400 punti. E le entrate dello Stato sono state alimentate finora solo da un eccessivo aumento delle tasse e non da una seria lotta per il recupero di quanto sottratto dalla corruzione, dall'evasione fiscale e dal riciclaggio.
Sembra peraltro l'ora che, sia pur con timidezza, il presidente Obama accetti l'opinione dei tre autorevoli economisti Paul Krugman, Joseph Stiglitz e Christina Romer, che tagliare le spese in depressione la rende peggiore, mentre il temporaneo aumento della spesa potrebbe aiutare ad uscire dalla crisi.
Ma che dire dell'Europa, dove il vero problema dei Paesi nell'euro è quello che non possono contare sulla Banca centrale europea perché fornisca liquidità nei casi di emergenza, uniti da una moneta unica che non ha una coesa struttura di unità politica, sicché gli attacchi di panico sono dovuti soprattutto al fatto che la Bce giuridicamente non è in grado di acquistare i titoli di Stato dei Paesi dell'euro.
Una prova evidente è quella che riguarda due Paesi vicini e simili, la Finlandia che è nell'euro e la Svezia che ha mantenuto la propria moneta. Ebbene, i costi dei titoli finlandesi sono sostanzialmente molto più alti di quelli svedesi.
La soluzione per uscire dalla depressione non è dunque quella che pure auspicherebbe la Germania, di lasciare uscire la Grecia dall'euro, bensì quella di creare una struttura politica europea che è stata abbandonata a metà, e creare un'unica politica monetaria e fiscale dotando degli adeguati poteri la Bce. Infatti, è perfettamente inutile che continuiamo a bearci di paragoni sbagliati, perché se è vero che noi siamo la Grecia, siamo la Spagna, siamo anche la Germania col suo surplus e il suo stato sociale. La vera Europa è perciò l'unico nostro destino fuori della catastrofe.
Articolo tratto da : il sole 24ore
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