Reazioni Abnormi

tontolina ha scritto:
E all’economista critico: se ne torni in Turchia

DAVOS (Svizzera) —«Houdini, lei da dove viene? Dalla Turchia? Beh, se ne torni in Turchia». Non le ha certo mandate a dire, Giulio Tremonti. Ma nello scontro verbale andato in scena ieri alla sessione sull’«Unione monetaria europea il ministro non aveva affatto di fronte il mago Houdini. No davvero.
Protagonista della battaglia è stato Nouriel Roubini, docente alla Stern School of Business della New York University.

tratto da www.lavoce.info la traduzione dell'intervento che tanto ha fatto innervosire il ministro Seimonti.

L'Italia e il rischio Argentina
Nouriel Rubini


Sono stato fin dall’inizio un forte sostenitore dell’Unione monetaria europea. A preoccuparmi è però il fatto che sebbene sia riuscita a innescare un processo di convergenza per alcune variabili nominali (inflazione, tassi di interesse e così via), l’Unione monetaria si associa ora a un processo di crescente divergenza nelle performance economiche, in particolare per quello che riguarda i tassi di crescita. La diversità di risultati economici è un problema serio per alcuni paesi membri (Italia, Portogallo, Grecia) e potrebbe portare a un collasso della stessa Unione monetaria. Non sono un fautore di tale eventualità, ma senza appropriate politiche macroeconomiche e riforme strutturali, il rischio a medio termine di un crollo dell’Unione monetaria è serio


I problemi di una crescita modesta

La crescita economica nell’area euro è stata molto modesta negli ultimi anni. E questo è certamente un problema per l’Unione monetaria. Il tasso di crescita medio nel periodo 2001-2005 è stato di circa l’1 per cento. Si tratta di un problema tutto strutturale? La risposta è no, in quanto le rigidità strutturali e la crescita più lenta della popolazione implicano che la crescita potenziale dell’Eurozona è più vicina al 2 per cento che al 3,5 per cento degli Stati Uniti. Dunque, lo scarto tra il potenziale 2 per cento e il reale 1 per cento deve essere attribuito alle politiche macroeconomiche.
Gli Stati Uniti hanno reagito alla recessione del 2001 tagliando i tassi a breve dal 6,5 all’1 per cento, trasformando un surplus di bilancio del 2,5 per cento del Pil in un deficit del 3,5 per cento e lasciando deprezzare il dollaro tra il 2002 e il 2004. Mentre la soluzione americana può essere stata eccessiva e senza scrupoli nel caso della politica di bilancio, la reazione dell’Europa è stata troppo timida.
La Banca centrale europea, troppo preoccupata dell’inflazione, ha ridotto i tassi molto più lentamente e molto meno (fino al 2 per cento) rispetto alla Fed. La politica fiscale è stata modificata solo marginalmente e l’euro si è apprezzato fino all’inizio del 2005. Così, rigide politiche macro hanno contribuito a rendere molto debole la ripresa dell’Eurozona dopo la recessione del 2001.
Più pericolosa per l’Unione monetaria è però la crescente diversità nei risultati economici e nei tassi di crescita all’interno dell’area euro. La Bce sostiene, basandosi su proprie ricerche, che non c’è una diversità nella crescita in quanto 1) la deviazione standard dei tassi di crescita all’interno dell’area euro non è aumentata dopo la nascita dell’Unione monetaria e 2) la dispersione dei tassi di crescita all’interno dell’Unione monetaria è simile a quella che si ritrova all’interno dei cinquanta Stati Usa.
Queste statistiche sono però fuorvianti per una serie di ragioni.

1. Il tasso di crescita medio nell’Eurozona è sceso dal 2001 in poi. Perciò la dispersione (deviazione standard) dei tassi di crescita intorno a questa media più bassa, sarà inferiore. Si dovrebbe piuttosto guardare al coefficiente di variazione (la deviazione standard divisa per il tasso di crescita medio) per avere una corretta misura della dispersione. E quest’ultima misura mostra una crescita della divergenza.

2. La deviazione standard tra il 1999 e il 2005 è stabile perché le tre grandi economie europee (Germania, Italia e Francia) sono crescite poco tutte e tre insieme. Così, la bassa dispersione è dovuta a una scarsa crescita delle tre maggiori economie, ma la distanza tra questi paesi che restano indietro e gli altri dell’area euro è cresciuta.

3. Gli Stati Uniti sono molti diversi dai paesi dell’Unione Europea su due aspetti fondamentali. Primo, se si verifica una recessione in Texas, la gente fa i bagagli e si sposta verso gli Stati con più alto tasso di crescita e occupazione, cioè c’è una maggiore mobilità del lavoro negli Stati Uniti rispetto all’Eurozona. In secondo luogo, il federalismo fiscale (il cambiamento automatico e discrezionale in tasse, spesa e trasferimenti) implica che una caduta di un dollaro nel prodotto di stato Usa nel corso di una recessione regionale porti a una riduzione di soli 60 centesimi nel suo reddito effettivo.

In altre parole, il prodotto nazionale lordo degli Stati americani diverge molto meno di quanto non faccia prodotto interno lordo. Questo non accade in Europa, dove spese e trasferimenti a livello europeo sono molto limitati.


Minacce per l’Unione monetaria

Insomma, esistono seri divari di crescita all’interno dell’area euro. E la diversità nei risultati economici porta a gravi tensioni nella politica fiscale e monetaria. Rallentamento della crescita e difficoltà ad attuare aggiustamenti nelle politiche di bilancio in periodi di crescita mediocre, comportano l’emergere in alcuni paesi di deficit di bilancio.
Queste persistenti violazioni del Patto di stabilità rappresentano una minaccia di medio termine per l’Unione monetaria e per la credibilità della Bce. Inoltre, i divari economici e le tensioni che ne conseguono aumentano le pressioni politiche sulla Bce perché stimoli maggiormente la crescita, come dimostra la reazione dei ministri delle Finanze alla decisione della Bce nel dicembre 2005 di alzare i tassi di 25 punti base.
Il divario nella crescita è anche una grave minaccia per l’Unione monetaria. Sempre più commentatori notano come i diversi paesi reagiscano in modo diverso a queste sfide. Daniel Gros ha mostrato che la Germania ha reagito con ristrutturazione industriale, taglio del costo del lavoro e "deflazione competitiva". Per parte mia, sostengo che l’Italia ha fatto poco e sperimenta una "stagdeflazione", ovvero una combinazione di stagnazione e deflazione. In Italia il costo del lavoro, come ha dimostrato Gros, è cresciuto del 20 per cento se paragonato a quello tedesco, mentre la quota italiana nel commercio è caduta del 20 per cento, sempre in confronto alla Germania. Problemi di competitività simili riguardano Grecia, Portogallo e Spagna.
Inoltre, Gros nota correttamente che i divari di crescita del Pil sono stati attenuati dalle bolle dei mercati immobiliari in paesi come Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia: bassi tassi di interesse a breve e a lungo termine ( un puzzle o "conundrum" sul mercato mondiale dei bond) hanno determinato una bolla insostenibile. La perdita di competitività della Spagna è oggi nascosta dalla bolla del mercato immobiliare, ma una volta scoppiata la bolla, i gravi problemi diverranno evidenti.
Sfortunatamente, la mancanza di serie riforme fa crescere il rischio che l’Italia possa finire come l’Argentina. Non è inevitabile, ma se l’Italia non intraprende le riforme necessarie, non si può escludere una sua uscita dall’Unione monetaria nei prossimi cinque anni.
Come l’Argentina, l’Italia affronta infatti una crescente perdita di competitività dovuta a una moneta sopravvalutata, con rischio di caduta delle esportazioni e crescita del deficit di parte corrente. Il rallentamento della crescita peggiorerà deficit e debito pubblico e lo renderà potenzialmente insostenibile nel tempo. E se la svalutazione non può essere usata per ridurre i salari reali, la sopravvalutazione del tasso reale di cambio sarà annullata attraverso un lungo e penoso processo di deflazione di salari e prezzi. La deflazione, però, manterrà alti i tassi reali e renderà più acuta la crisi di crescita e di bilancio. Senza le necessarie riforme, il circolo vizioso della stagdeflazione imporrà all’Italia l’uscita dall’Unione monetaria, il ritorno alla lira e il ripudio del debito denominato in euro.
Alcuni sostengono che l’Italia o altri paesi dell’Unione monetaria nella sua stessa situazione non usciranno dal sistema perché una forte svalutazione della nuova lira, necessaria per riguadagnare competitività, renderebbe il valore reale del debito in euro troppo alto e perciò insostenibile per lo Stato, il settore privato e le famiglie. Ma basta guardare a quello che è successo in Argentina: ha svalutato e dati gli effetti di bilancio del deprezzamento sul debito in dollari, è stata costretta a "pesizzare" il suo debito in dollari. Allo stesso modo, l’Italia sarebbe costretta a "lirizzare" il suo debito in euro. Se l’Italia dovesse uscire dall’Unione monetaria il ripudio interno e verso l’estero, privato e pubblico, del debito denominato in euro sarebbe inevitabile. E uno Stato sovrano può fare tutto ciò – uscita dall’Unione monetaria, ritorno alla valuta nazionale e ripudio del debito in euro – senza tener conto dei vincoli legali e formali imposti dal Trattato dell’Unione monetaria con le clausole sulla non ammissibilità di una uscita dall’Unione.
Non è fantascienza, l’Argentina lo dimostra.


Gli effetti di sistema

Quali sarebbero gli effetti di sistema di una eventuale uscita dell’Italia dall’Unione monetaria? Sarebbero estremamente pesanti sul mercato europeo dei capitali perché l’Italia dovrebbe ripudiare parte del debito verso l’estero - la parte del suo debito in euro in mano ai non residenti. Gli effetti di contagio su altri mercati europei dei capitali e sulle banche sarebbero gravi. Né si potrebbe agitare lo spauracchio delle regole della Banca centrale, perché la Bce sarebbe costretta a monetizzare la crisi indotta di liquidità e di solvivibilità per evitare un effetto sistemico sui mercati finanziari europei.
In conclusione, l’Unione monetaria può funzionare, e ha funzionato, per i paesi della zona euro che hanno intrapreso la strada delle riforme. Ma se l’Italia e altri paesi europei non cambiano le loro politiche per perseguire serie riforme economiche che garantiscano loro una rinnovata competitività e crescita, saranno alla fine costretti a uscire dall’Unione monetaria. Sarebbe un disastro, ma è un disastro inevitabile se le politiche non cambiano. Personalmente, sono pessimista sul fatto che tali cambiamenti possano esserci, considerati i politici e le politiche finora adottate in paesi come l’Italia.
 
Come gia' detto da altre parti ritengo il pensiero di Boudini legittimo ma non toppo reale.

Pero' mai mi permetterei di mandare qualcuno a quel Paese, in questo caso la Turchia, piuttosto inasprirei le pene verso il gioco d'azzardo e la truffa, come il gioco delle 3 carte che solo Tremonti sa fare...
 
non credo che serva, ma almeno qualcuno ci prova...

mentre qualcuno chiede rispetto per la fiamma olimpica e fanatici continuano a cercare di assaltare ambasciate/uffici/soldati danesi, norvegesi austriaci e francesi qualcuno fa cio' che puo'.

Ma non sarebbe il caso che qualcuno in Europa chieda un incontro con la Lega Araba?

Possibile che non si riesca a stoppare questa escalation? Basta sospendere ivoli dalla Danimarca verso i Paesi Arabi?

Mi chiedono i miei colleghi e familiari con quale spirito volero' in Qatar la prossima settimana...

15:30 Libano, fatwa contro assalti ad ambasciate
Per i musulmani che difendono il profeta Maometto non solo è vietato assaltare proprietà private, ambasciate e consolati dei paesi stranieri, ma anche bruciarne le bandiere. Lo sostiene il maggior esponente sciita libanese, l'ayatollah Mohammed Hussein Fadlallah, in una fatwa emessa ieri dopo gli incidenti a Beirut e pubblicata oggi. Esprimendo apprezzamento per la campagna di difesa del profeta, Fadlallah afferma: "Noi proibiamo l'aggressione contro proprietà private, ambasciate e consolati dei paesi stranieri e non accettiamo che sia bruciata la bandiera di questo o di quel paese, che rappresenta il simbolo dell'appartenenza nazionale di questi paesi ai loro popoli". Per Fadlallah attaccare le chiese, inoltre, "è un doppio crimine", mentre "abbiamo visto nobili posizioni cristiane per difendere l'Islam e respingere le offese all'immagine del profeta".
 
LIBERTA' DI ESPRESSIONE TRA LIMITI ED ECCEZIONI


DI MASSIMO FINI

La vicenda delle vignette satiriche su Maometto e i simboli religiosi dell'Islam, pubblicate da alcuni giornali europei, ha messo in un gravissimo imbarazzo le democrazie occidentali. Si è arrivati a un pelo dal rivalutare la famosa fatwa lanciata dall'ayatollah Khomeini (che Allah l'abbia sempre in gloria) contro Salman Rushdie, autore dei "Versetti satanici" che, a sentire dei musulmani, offendevano il Profeta, il Corano, l'Islam. Il Gran Rabbino di Francia, Joseph Sitruk, ha dichiarato di essersi parimenti indignato per alcune scene del film di Scorsese sulla passione di Cristo e per il romanzo "I versetti satanici" di Salman Rushdie. "Non ci si guadagna nulla a svilire la religione, a umiliarla e a ridurla a caricatura. Credo che si tratti solo di mancanza di rispetto e di disonestà intellettuale. Il diritto alla satira si ferma quando diventa provocazione a danno dell'altro. Non ci sono diritti senza limiti".

Il cardinale Achille Silvestrini ha affermato che non si può fare satira su "Dio, su Allah, sul Profeta, sul Corano, sui simboli religiosi, perché in questo modo si offendono i sentimenti di milioni di persone". Concetto poi ripreso dal portavoce del Vaticano che ha parlato di "inammissibile provocazione" e dai vescovi cattolici dell'Europa del nord. Ma anche in campo laico si sono fatti dei sottili distinguo. Il presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi, ha invitato "al senso di responsabilità nell'esercizio delle libertà, perché c'è la libertà di espressione e la libertà religiosa".
Sgombriamo subito il campo da alcuni equivoci. Non è qui in gioco la libertà di satira. La satira non ha più diritti di ogni altra forma di espressione di cui è solo uno degli aspetti. Vincino o Staino o i vignettisti danesi non godono di uno statuto diverso da quello di un qualsiasi altro cittadino, giornalista, scrittore o uomo della strada, che esprima le proprie idee, le proprie opinioni, le proprie idiosincrasie, i propri disgusti in forme diverse dalla satira. Ma non è neanche una questione di laicità dello Stato, bensì di democrazia. In democrazia si deve essere liberi di esprimere qualsiasi opinione, idea, idiosincrasia o disgusto.

Con due soli limiti, che riguardano entrambi il codice penale: non è lecito diffamare persone, fisiche o giuridiche che vivono nella contemporaneità attribuendo loro atti che non hanno commesso (ma per difendere l'onorabilità delle persone c'è il giudizio, a posteriori dei Tribunali, non quello a priori della censura preventiva). Ogni idea, ogni opinione, per quanto appaia aberrante alla "communis opinio" ha diritto di cittadinanza purché non sia fatta valere con la violenza. Punto e fine.

La religione, in una democrazia, non può godere di uno statuto diverso. Dice il cardinal Silvestrini e con lui molti altri: dileggiando i simboli religiosi si offende la sensibilità di milioni di persone. Vero. Ma se si parte da questo concetto la si finisce con la libertà di espressione. Se nei primi anni Cinquanta qualcuno in Italia avesse pubblicato una caricatura feroce di Stalin avrebbe sicuramente offeso la sensibilità di milioni di persone perché c'erano milioni di comunisti nel nostro Paese. Avrebbe dunque dovuto autocensurarsi e o essere censurato per questo?

Se durante il fascismo qualcuno, in Italia, avesse pubblicato una caricatura di Mussolini sarebbe finito, dritto e di filato, in galera. Ma quello era appunto il fascismo.

La democrazia ha obblighi diversi. Verso se stessa. Scrive John Stuart Mill, uno dei massimi teorici della liberaldemocrazia, nel suo fondamentale saggio "Sulla libertà": «È necessario anche proteggersi contro la tirannia dell'opinione e dei sentimenti predominanti, contro la tendenza della società a imporre, con mezzi diversi dalle sanzioni legali, le proprie idee e regole di condotta a chi non le condivide, a ostacolare lo sviluppo e, se possibile, a prevenire la formazione di qualsiasi individualità discordante, obbligando tutti i caratteri a conformarsi al suo modello».

Purtroppo le democrazie contemporanee, tronfie del loro successo sui totalitarismi, hanno introdotto varie eccezioni al principio fondamentale della libertà di espressione che, come scrive Stuart Mill, è uno dei cardini della liberaldemocrazia. Che cos'era se non satira lo striscione, inalberato da alcuni ragazzotti allo stadio Olimpico, che diceva: "Lazio-Livorno, stessa iniziale, stesso forno". Eppure quei ragazzi sono indagati, perseguiti, fermati, messi in gattabuia. Che cos'era se non libera manifestazione del pensiero il fatto che quegli stessi ragazzotti inalberassero croci celtiche, croci uncinate, simboli della Decima Mas, il ritratto di Benito Mussolini? Eppure quei giovani sono indagati, perseguiti, interdetti e, se possibile, messi in galera. Ciò in base a una legge dello Stato, la cosiddetta "legge Mancino" che proibisce le discriminazioni razziali, etniche, religiose e l'istigazione all'odio razziale. Solo che quella legge liberticida è stata pensata per colpire la libertà di espressione e lo stesso diritto di esistere di fantasmi del passato, sostanzialmente innocui, ma non si è tenuto conto che poteva avere concretissime attualizzazioni.

Le vignette sarcastiche su Maometto e i simboli della religione islamica sono una istigazione all'odio razziale così come i libri di Oriana Fallaci. L'istigazione all'odio razziale è un reato se si dirige contro gli ebrei, ma non lo è più se si dirige contro i musulmani? Ed ecco che l'Occidente, dimentico dei principi su cui è nato, affonda nelle proprie contraddizioni. O la libertà di espressione vale per tutti e contro tutti o non vale per nessuno e contro nessuno. Un principio non può conoscere eccezioni opportunistiche, altrimenti si trasforma in arbitrio e in sopraffazione. In una democrazia autentica io ho il diritto di inalberare simboli nazisti, di fare il saluto romano alla maniera di Di Canio come di dissacrare Maometto, Allah, il Corano, Dio, Cristo, il Vangelo, la Bibbia, i testi e i miti ebraici (ma se tocco anche solo un capello a un ebreo, a un musulmano, a un malgascio solo perché tali, devo essere spedito in galera e anche per parecchio tempo). E se costoro si ritengono offesi dai miei simboli o dai miei sarcasmi sono fatti che non mi riguardano. Altrimenti anch'io potrei sentirmi offeso dai loro simboli e pretendere che non siano esibiti e non la si finisce più.

È molto curioso che le "anime belle" dell'Occidente abbiano dimostrato una straordinaria sensibilità per quattro vignette blasfeme nei confronti dei simboli dell'Islam ma siano indifferenti anzi conniventi con le aggressioni militari alle quali da qualche tempo sottoponiamo i Paesi musulmani dall'Afghanistan all'Iraq.

Io non ho solo stima per Carlo Sgorlon, ho un rispetto reverenziale per la sua dirittura morale. Ma credo che sbagli profondamente quando scrive che gli islamici "tentano di imporci la loro cultura e la loro mentalità" (Il Gazzettino 4/2).

È vero il contrario, siamo noi occidentali all'attacco, con una pressante campagna ideologica, perché il mondo musulmano si omologhi alle nostre istituzioni, alla nostra cultura, ai nostri valori. I Paesi musulmani devono omologarsi a noi, ai nostri schemi mentali, alla nostra democrazia, alle nostre istituzioni. La condizione della donna islamica a quella della donna occidentale e così via. E se non lo fanno con le buone ci sono le cattive, le minacce, le invasioni, le occupazioni, le bombe, i missili, i Predator, le centinaia di migliaia di morti in nome di una "cultura superiore", la nostra. George W. Bush, il gran capo del cosiddetto "mondo libero", l'ha dichiarato: il pianeta intero si deve omologare ai nostri valori "democrazia, libertà, libera intrapresa". Altrimenti sono botte, cioè bombe. Perché l'Occidente è investito di una missione salvifica universale.

Io penso invece che le aggressioni militari, le occupazioni, la volontà di conquistare non solo territori ma le anime, convertendo gli "altri" a noi stessi, i morti che facciamo in nome di questa nostra pretesa superiorità, siano molto, ma molto più gravi di quattro vignette blasfeme. E credo che se noi non stessimo, da anni, occupando, invadendo, bombardando, minacciando, forzando i popoli dell'Islam alla nostra cultura e alla nostra visione del mondo, oggi potremmo con molta maggiore tranquillità di coscienza difendere orgogliosamente il fondamentale diritto dei cittadini di una liberaldemocrazia di far caricatura di ciò che più gli pare e piace.

Infine mi sia permesso osservare che è dai monoteismi, sia religiosi, come il cristianesimo, l'islamismo e l'ebraismo, sia da quelli laici, come il comunismo, il nazismo e l'attuale idolatria che l'Occidente ha di se stesso e dei propri valori, cioè dagli universalismi, che sono sempre venute le peggiori intolleranze e i più devastanti bagni di sangue.

Dio, se c'è, benedica il relativismo culturale e lo spiritualismo animista dell'Africa nera che non ha mai rotto i coglioni a nessuno e che è dotato di un'ironia e di un'autoironia di cui né il cristianesimo, né l'islamismo né l'arrogante monoteismo laico dell'Occidente attuale, si sono mai dimostrati capaci.

Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it
 
bell'articolo di Massimo Fini, complimenti ma resto dell'idea che ci sia da fare un passo indietro da ambo le parti.
 
la mia è una presa d'atto amara luigir
non vedo in giro politiche governative che possano rintuzzare i reciproci fanatismi e quando sento quel ruini parlare di martirio non posso non pensare a certe anime nere della chiesa cattolica
 
Fleursdumal ha scritto:
la mia è una presa d'atto amara luigir
non vedo in giro politiche governative che possano rintuzzare i reciproci fanatismi e quando sento quel ruini parlare di martirio non posso non pensare a certe anime nere della chiesa cattolica

capisco ma credo che vi sia sempre spazio per tornare indietro. Basterebbe anche che si chiedesse scusa pur non pensandolo... si mente così tanto che mentire un'alatra volta per il benessere comune non sarebbe poi male.
 

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