Pechino, una rivoluzione graduale
per scommettere sulla ripresa
L'America canta vittoria
FRANCESCO MANACORDA
MILANO
Chi gioisce di più per la scelta di Pechino? Il senatore democratico di New York Charles Schumer, primo firmatario di un progetto di legge del Congresso Usa contro le «pratiche valutarie e commerciali illegali della Cina» o il giovane operaio Liu, intervistato la settimana scorsa davanti alla fabbrica cinese della Honda, mentre scioperava per portare il suo salario da 1500 yuan, meno di 200 euro, a 2000 yuan?
Schumer e il suo governo oggi cantano vittoria dopo una vera e propria guerra diplomatica che dura dal luglio di due anni fa, quando Pechino inchiodò il cambio a 6,83 yuan per un dollaro, spingendo a pieni giri la macchina produttrice ed esportatrice cinese e facendo segnare quell’anno agli Usa un deficit commerciale da record: 268 miliardi che sono scesi a 227 lo scorso anno solo a causa della grande gelata dei consumi. Ma anche Liu, in cerca di un maggior potere d’acquisto, ha qualche motivo di soddisfazione.
La pur prudentissima decisione - «non esiste alcuna base per un apprezzamento di larga scala dello yuan», recita il comunicato della Banca popolare della Cina - è infatti di sicuro una mossa diplomatica che risponde al pressing statunitense e permette a Pechino di presentarsi al G20 senza imbarazzi. Ma tocca anche una situazione economica interna che - lo teme soprattutto la stessa Banca centrale - potrebbe sfuggire di mano. Una settimana fa i dati sull’inflazione di maggio, il 3,1% rispetto a un anno prima, hanno segnato il nuovo record da diciannove mesi. E proprio l’effetto Honda - i primi scioperi per aumenti salariali - è da una parte il sintomo di un’inflazione galoppante rispetto alla quale il potere d’acquisto degli operai si riduce e dall’altra rischia di diventare una delle cause di un’inflazione ancora maggiore.
Per frenare un aumento dei prezzi lo strumento principe è il tasso d’interesse: finora la Banca popolare della Cina non ha potuto usarlo anche perché doveva tenere basso il tasso di cambio con il dollaro, adesso potrebbe avere più libertà di movimento. E poi, con uno yuan più forte anche le importazioni di materie prime in Cina dovrebbero costare di meno, riflettendo questo effetto sui sui prezzi. Certo, c’è anche il rischio che se lo yuan diventasse troppo forte e le richieste salariali di Liu e dei suoi colleghi continuassero, la macchina cinese s’inceppasse. Ma questo non accadrà, concordano gli osservatori, perché Pechino ha fatto capire che procederà in modo assai graduale. tanto che questa volta non ha nemmeno deciso, come nella rivalutazione del 2005, di apprezzare immediatamente lo yuan del 2%.
Pechino ha dunque aperto al cambiamento, ma che si tratti di uno spiraglio appena o di una porta che invece si aprirà davvero resta da vedere. Le prime reazioni raccolte ieri tra economisti e finanzieri americani segnalano così l’interesse per quella che è certamente una grande novità, ma anche estrema prudenza in attesa dei primi segnali che si vedranno lunedì, quando presumibilmente fioccheranno gli acquisti sullo yuan e scenderanno i Treasuries, di cui Pechino è il massimo detentore al mondo: 900 miliardi in cassaforte a fine aprile. Ma certo la decisione cinese dovrebbe far piacere anche al banchiere italiano, all’operaio tedesco, al negoziante francese: se Pechino apre a una pur moderata rivalutazione dello yuan significa che non teme la caduta delle sue esportazioni e considera quindi che la ripresa mondiale sia sulla buona strada. Anche la crisi del debito sovrano europeo, vista nell’ottica di chi agli europei fornisce computer e magliette, giocattoli e utensili, non appare così preoccupante. Una rondine cinese, però, non farà primavera.
Come ricorda alla Bloomberg Stephen Roach, che guida Morgan Stanley in Asia, «questa mossa non sarà certo una panacea per un’economia globale sbilanciata». Insomma, chi ha speso più di quanto guadagnava - Stati Uniti in testa ed Europa a seguire - dovrà mettere a posto i conti pubblici con politiche fiscali che certo non favoriranno la crescita. E per Liu e il suo miliardo e rotti di compatrioti, invece, i consumi dovranno aumentare e i risparmi scendere.