Granitifiandre (GRF) Sciopero del gruppo (3 lettori)

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Sassuolo - Si è conclusa con la dichiarazione dello sciopero ad oltranza l’assemblea che i sindacati hanno tenuto questa mattina al Teatro Astoria di Fiorano con gli operai di Iris Ceramica Spa coinvolti dalle procedure di mobilità che interessano 750 persone. Da oggi lavoratori e sindacati terranno presidi davanti ai cancelli di tutte le aziende riconducibili a Romano Minozzi, comprese Ariostea a Graniti Fiandre.




In un Teatro gremito i sindacati hanno illustrato ai lavoratori Iris la situazione dell’azienda, è confermata la messa in liquidazione e con essa la dichiarazione di mobilità per 750 persone, ovvero il loro licenziamento. Secondo quanto riferito dai sindacalisti l’azienda avrebbe chiesto la disponibilità di una cinquantina di lavoratori a tornare in attività per garantire l’atomizzato ad altri stabilimenti e la prosecuzione delle procedure che porteranno poi alla liquidazione della società, proposta respinta dai lavoratori.

Intanto prosegue la cassa integrazione straordinaria per 250 dipendenti, gli altri saranno messi in ferie o recupereranno permessi, al termine saranno messi in ferie retribuite dall’azienda. La proposta dei sindacati all’azienda prevede il ritiro della messa in liquidazione, processo difficile ma dal punto di vista strettamente legale non impossibile, con il successivo assorbimento dell’azienda Iris Ceramica in Graniti Fiandre; prospettiva respinta dalla proprietà che nei giorni scorsi ha anche minacciato di non sedersi al tavolo delle trattative con i sindacati a causa della presenza di delegati di Graniti Fiandre tra i sindacalisti. “Minozzi non può illudersi che nel resto delle sue aziende la situazione rimarrà tranquilla” ha tuonato dal palco Enzo Tagliaferri della Cisl.

Esauriti gli interventi dal palco è stata data la parola agli operai che hanno posto diverse domande, sia sullo stato delle trattative sia, soprattutto, sulle azioni di lotta da mettere in campo, alcuni interventi hanno anche criticato l’azione del sindacati ritenuta troppo morbida nei mesi scorsi, secondo alcuni operai infatti erano già chiare le intenzioni di Minozzi: la ristrutturazione con probabile cessione dell’azienda.

Al termine dell’assemblea sindacati e lavoratori si sono spostati davanti ai cancelli delle aziende di proprietà di Romano Minozzi, compresa anche la villa di Sassuolo che ha eletto a suo quartier generale, per iniziare picchetti nell’ambito dello sciopero ad oltranza deciso dall’assemblea. Lo scopo delle manifestazioni è il blocco delle merci in uscita dagli stabilimenti per paralizzare lì’attività delle aziende ed ottenere il ritiro della messa in liquidazione di Iris Ceramica Spa. Significativa la frase pronunciata da un lavoratore in platea: “dobbiamo trovare le soluzioni peggiori per l’azienda, potremmo anche bloccare la tangenziale davanti alla villa di Minozzi a Sassuolo”.
Durante l’assemblea alcuni lavoratori hanno fatto presente che da tempo si vocifera di un procedura di vendita in corso, magari attraverso lo spezzatino che prevede la cessione delle parti più appetibili dell’azienda. Ai quesiti in merito ha dato risposta Manuela Gozzi della Cgil: “che la venda o non la venda poco importa: Minozzi non può vendere l’azienda senza i dipendenti. C’è anche un articolo del codice civile che ci garantisce e che prevede che 25 giorni prima che la cessione sia operativa chi vende e chi compra devono convocare le parti per illustrare le loro intenzioni”.

Il titolo GFR al momento non sembra risentirne...
 

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Affari di famiglia: no a Iris, sì a Ganitifiandre


LUCA PAGNI


Gli esperti del settore delle ceramiche che vedono l’Italia al primo posto delle classifiche mondiali sostengono che sarebbe come confrontare Fiat con la Ferrari. Hanno la stessa proprietà, ma non la stessa qualità di prodotto. Purtroppo, anche l’impatto sull’occupazione è diverso. E continuando nel paragone è come se gli Agnelli avessero deciso di liquidare il Lingotto e concentrarsi solo su Maranello.
Eppure, è proprio quello che stava per accadere tra i capannoni che sfornano milioni di metri quadrati di piastrelle all’anno, in quel distretto di Sassuolo che nonostante la crisi continua a rappresentare una delle eccellenze italiane nel mondo. Anche se con numeri più ridotti. Romano Minozzi, uno dei nomi che hanno fatto la storia del settore, stava per mandare a casa i 780 dipendenti della sua Iris, storico marchio della piastrella, per riservare tutte le sue attenzioni su Granitifiandre (di cui controlla il 65% del capitale), fiore all’occhiello del gruppo per i suoi prodotti di alta gamma, quotata a Piazza Affari, capace di sformare utili anche in un anno complicato come il 2008.
Una notizia choc anche di fronte ai dati economici più aggiornati che parlano della crisi più grave da quando esiste il distretto della ceramica, nonostante l’internazionalizzazione elevata delle imprese italiane che esportano il 70% della loro produzione, contro il 30% della Spagna, il nostro più accreditato concorrente. Inevitabilmente, con lo scoppio della bolla immobiliare, a soffrire di più sono le società che negli anni passati hanno macinato fatturato vendendo alle imprese votate a costruire migliaia di nuovi appartamenti in un’euforia edilizia che sembrava non doversi fermare più. Grazie al boom del mattone, nel 2007 le società della ceramica hanno raggiunto la cifra di 5,7 miliardi di euro di fatturato complessivo. Ma è stato grazie alla qualità dei prodotti che il distretto della ceramica è riuscito a cavarsela. Nel 2008 il calo dei ricavi complessivi si aggirerà sul 4%. Una flessione lontana dal 30% della Spagna, il 40% del Brasile e il 50% della Cina, i principali concorrenti.
Ma il fatto di rimanere leader del mercato mondiale e di andare meno peggio degli altri non mette al riparo da brutte sorprese. Come dimostra il caso Iris. Anche se in questi ultimi giorni la liquidazione sembra una ipotesi scongiurata, fa impressione che a essere andata in crisi sia una società che fino al 2007 ha sempre prodotto utili e con un fatturato previsto per il 2008 di 180 milioni (contro i 209 del 2007). Eppure, Minozzi ha usato l’espressione «era glaciale» per definire il nuovo momento del mercato. A detta degli addetti ai lavori è più che mai urgente puntare tutto sull’innovazione e sulla ricerca di prodotti tecnologicamente all’avanguardia. Che è quello, poi, che ha salvato il distretto di Sassuolo: negli anni Ottanta la produzione italiana copriva il 30% della domanda mondiale mentre ora si limita all’8%, ma il livello dei profitti è andato comunque crescendo nel tempo.
Anche per questi motivi, Minozzi deve aver pensato di concentrarsi su quello che è il gioiello del gruppo: Granitifiandre, laeder mondiale del grés porcellanato. È una ceramica a pasta dura, dall'eccezionale resistenza, resa possibile dalla cottura ad altissime temperature. Un prodotto costoso, ma dall’alto rendimento. Amato, non a caso, dagli architetti di grido (Granitifiandre ha fornito tutta la pavimentazione della nuova sede della Bocconi a Milano, per fare un esempio). Nonostante la crisi, rimane una società dai buoni fondamentali, come spiega Antonio Tognoli, responsabile studi di Abaxbank: «In questa fase, gli investitori guardano con favore soprattutto a società che producono cassa, che hanno marchi molto visibili, capaci di mantenere alti i prezzi e che hanno un buon management. E Granitifiandre ha tutte queste caratteristiche».
Ed è la strada su cui intende proseguire la società, come rivela Graziano Verdi, negli ultimi dodici anni ad del gruppo, ora passato a Technogym, ma che ha mantenuto la responsabilità dei contatti con gli investitori: «Se è vero che nell’immobiliare si è fermato il settore delle nuove costruzioni, rimangono elevati i numeri delle ristrutturazioni. Per non parlare delle buone prospettive dell’arredo urbano, nel rifacimento della grandi aree metropolitane, e nella ricerca tecnologica applicata al risparmio energetico». Come dire: tutte cose che i cinesi non sono capaci di fare.



... altri molto semplicemente pensano che la mossa di Minozzi sia il primo passo per arrivare ad avere sussidi pubblici...
ma che razza di industriali abbiamo? :wall:
 

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Iris, la partita a scacchi di Minozzi

Più i giorni passano, più la decisione di Romano Minozzi di mettere in liquidazione l'Iris e licenziare 780 lavoratori appare come una mossa studiata a tavolino. Sarà anche vero, come ha detto Minozzi per giustificare la sua decisione, che per l'industria italiana è cominciata l'era glaciale. Il patron di Iris, Granitifiandre e Ariostea ha evocato scenari apocalittici, che non lascerebbero alcuna chance di sopravvivenza alle imprese del nostro paese. Ma a guardare bilanci, conti correnti e dossier titoli delle sue aziende, sembra che l'era glaciale - per fortuna - possa attendere.
Prendiamo il caso dell'Iris. Presso le banche con cui lavora il gruppo ceramico ci sono dossier in titoli di stato intestati all'Iris per quasi 70 milioni di euro: 61 milioni in Bot e 8 in Cct. In più, ci sono dossier in titoli azionari per complessivi 158 milioni di euro. Come abbiamo visto nei giorni scorsi, tra il 2007 e il 2008 l'Iris ha investito 130 milioni in azioni Intesa Sanpaolo. Ma a questi vanno aggiunti oltre 27 milioni di euro in azioni Snam, Enel, Telecom, Granitifiandre e Unicredit. In più, ci sono disponibilità liquide depositate su diversi conti correnti per complessivi 14 milioni di euro. A conti fatti, insomma, la liquidità del gruppo Iris immobilizzata o immediatamente disponibile supera i 240 milioni di euro. Niente male per un'azienda che stava per portare i libri in tribunale.
La decisione di Minozzi di investire in Borsa una parte così significativa della liquidità aziendale rischia di costare molto cara: oltre a una minusvalenza di 70 milioni di euro sui titoli Intesa Sanpaolo, l'Iris sconta perdite potenziali per 6-7 milioni di euro sugli altri investimenti azionari. Ma a Minozzi, se vuole, non mancano certo le risorse per far fronte alla crisi. Le tre finanziarie lussemburghesi che stanno al vertice del suo impero - Laude, Fortifer e C.F.I. - hanno un attivo di 300 milioni di euro. StonePeak, la società chiave per gli interessi di Minozzi negli Stati Uniti, ha un capitale sociale di 123 milioni di dollari: 5 volte quello di Granitifiandre. Lo stabilimento è nel Tennessee, ma la società è stata registrata nel Delaware, paradiso fiscale sulla Costa atlantica.
Insomma, tutto fa pensare che in questa vicenda ci sia ben poca improvvisazione. Probabilmente Minozzi ha deciso lucidamente di drammatizzare la situazione con la messa in liquidazione della società, con l'obiettivo di affrontare la trattativa sulla ristrutturazione del gruppo da una posizione di forza. Non a caso, a 10 giorni di distanza dall'annuncio della rinuncia alla liquidazione, la delibera di scioglimento non è ancora stata revocata. Per ora resta lì, come una spada di Damocle che incombe sul negoziato.

di GABRIELE FRANZINI


... CHE DIRE!!! :eek:
 

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27 gennaio 2009
Iris, fiore fragile
di Carlo Cianetti
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Inchiesta di Carlo Cianetti sulla crisi dell'Iris e del distretto della ceramica di Sassuolo. La parte finale è dedicata alla alla crisi della ceramica a Deruta.
L'annuncio della chiusura dell'Iris di Sassuolo ha fatto temere che l'intero distretto della ceramica fosse in una situazione di grave difficoltà. In realtà abbiamo scoperto che l'Iris è un'azienda florida e l'annuncio shock risulta assai incomprensibile. Non solo, ma il distretto sembra pronto ad affrontare la crisi e a superarne incolume le difficoltà. Più preoccupante è invece la crisi della ceramica artistica di Deruta. Un'intera cittadina rischia il collasso economico.

...:specchio:
 

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:-?giovedì 29 gennaio 2009
Iris formato "tascabile"

Una Iris a scartamento ridotto, una Iris in formato 'tascabile' con una capacità produttiva tarata su un giro d'affari di circa 140 milioni di euro, inferiore del 40 per cento rispetto al 2006: è questa l'ipotesi su cui Romano Minozzi sta lavorando insieme a Giuseppe Pifferi, amministratore delegato e liquidatore del gruppo. Per capire il senso di questo piano, è utile andare a vedere le carte di una società che rappresenta uno degli snodi più importanti dell'impero di Romano Minozzi. Si chiama Fincea, ha per amministratore unico lo stesso Minozzi ed è la società che custodisce il 100 per cento dell'Iris.
Sopra Fincea ci sono una finanziaria lussemburghese - la C.F.I. - e una srl, la Silver Fin, e sopra la Silver Fin ci sono altre due società lussemburghesi, Laude e Fortifer. Sotto Fincea, invece, ci sono Iris e Ariostea e le altre aziende del gruppo: 7 stabilimenti con circa mille dipendenti. Spulciando fra le carte di Fincea, è difficile trovare le tracce dell'imminente collasso della galassia industriale e finanziaria che fa capo a Minozzi, vedere lo spettro di una rapida dissipazione del patrimonio aziendale evocato dall'imprenditore modenese.
Soltanto fra il 2004 e il 2007 nelle casse di Fincea sono affluiti profitti netti per 113 milioni di euro. L'attivo è di 660 milioni di euro, il patrimonio netto sfiora i 500, i debiti sono modestissimi. I capitali immobilizzati in attività finanziarie ammontano a 246 milioni di euro. Di questi, 123 sono investiti in titoli azionari di società quotate in Borsa, mentre altri 94 sono costituiti da partecipazioni nelle società di Minozzi in Lussemburgo. In più, Fincea ha 131 milioni di euro in Bot, 14 in Cct e 31 milioni di euro di depositi bancari. Non è lo stato patrimoniale di un gruppo da mettere in liquidazione; al contrario, è lo stato patrimoniale di un gruppo che sprizza liquidità da tutti i pori.
Ma c'è un ma: da due anni i ricavi da vendite sono in calo. Nel 2007 i margini di redditività hanno retto bene, nel 2008 no. E questo Minozzi non lo accetta. Se vuole mantenere gli stessi margini, il gruppo deve ridurre i costi in proporzione al calo dei ricavi. A Minozzi non interessa una Iris in liquidazione, quindi, ma piuttosto una Iris ampiamente ridimensionata nei costi del personale e di struttura. L'anello più debole della catena è lo stabilimento di Fiorano, per la tipologia delle produzioni realizzate - monocottura e semigres per rivestimenti - che risentono più delle altre della crisi.
di GABRIELE FRANZINI

:eek::eek::eek:

:-?
 

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lunedì 02 febbraio 2009
Minozzi, il "Paperone"
che vuole tagliare


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Il distretto ceramico si prepara ad affrontare tempi duri. E non soltanto per la ristrutturazione dell'Iris. Il gruppo Emilceramica ha messo in cassa integrazione 450 lavoratori e sta valutando il licenziamento di 115 addetti. Panaria sconta una sensibile riduzione degli utili, mentre il gruppo Ricchetti di Oscar Zannoni chiuderà il bilancio 2008 con un disavanzo di circa 10 milioni di euro. La situazione di difficoltà è evidente e la crisi - con ogni probabilità - non sarà breve.
E' davvero singolare, tuttavia, che sia proprio Romani Minozzi ad annunciare le contromisure più drastiche, fino ad agitare lo spauracchio della liquidazione dell'Iris. Se si mettono a confronto i bilanci 2007 dei principali gruppi ceramici italiani, si scopre infatti che sono proprio le aziende che fanno capo a Minozzi quelle che hanno prodotto i profitti più cospicui. In cima alla classifica per giro d'affari c'è la Marazzi (984 milioni di euro), seguita dal gruppo Concorde (650). Le aziende di Minozzi - Iris e Granitifiandre - vengono al terzo posto, ma sono al primo per utile netto: più di 72 milioni di euro nel 2007.
Più di Marazzi (61,8 milioni) e Concorde (63,4), dunque. E molto, molto di più rispetto alle altre grandi aziende del comprensorio. Dopo i tre colossi, i gruppi più redditizi nel 2007 sono stati Ricchetti e Panaria, con profitti netti, rispettivamente, per 10,9 e 9,8 milioni di euro. Seguono, nella graduatoria degli utili, Cooperativa Ceramica di Imola (7,4 milioni), Casalgrande Padana (6,2), Emilceramica (0,6) e Florim (0,1). Nella seconda metà del 2008 il vento della recessione ha soffiato impetuoso e i preconsuntivi diranno presto con quali effetti. Ma la domanda è: se Minozzi chiude l'Iris, gli altri imprenditori del settore cosa dovrebbero fare?
di GABRIELE FRANZINI

:mumble: :mumble: :mumble:
 

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martedì 10 febbraio 2009
Crisi e piastrelle, la ricetta di Errani

Per il futuro del gruppo Iris si avvicina il momento della verità. Giovedì a Bologna, nella sede della Regione, alla presenza dell'assessore alle Attività produttive Duccio Campagnoli, si terrà un faccia a faccia fra Giuseppe Pifferi, ex amministratore delegato e ora liquidatore della Iris, e e le segreterie regionale e territoriali dei sindacati di categoria. E' il primo confronto diretto dal 16 gennaio scorso, quando il gruppo ceramico accettò di spospendere gli effetti della delibera di liquidazione.
Nei giorni scorsi l'assessore Campagnoli ha visto separatamente sia Romano Minozzi, sia i sindacati. Non è ancora chiaro se giovedì i vertici della Iris presenteranno il piano di riorganizzazione del gruppo. Campagnoli è cauto: 'Mi auguro - si limita a dire - che si possa concretizzare l'impegno ad assicurare un futuro al gruppo Iris'.
La crisi del settore ceramico è stata al centro di un convegno del Partito Democratico che si è svolto ieri sera al teatro De André di Casalgrande. A confronto esperti del settore, esponenti sindacali e delle istituzioni locali, assieme al presidente della Regione Vasco Errani, che ha invitato a non non lasciarsi travolgere dal pessimismo. Le priorità, sottolineate da tutti, sono di evitare licenziamenti, impegnare le banche a non restringere il credito, puntare nelle imprese su innovazione e ricerca.


:mago::mago::mago:
 

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La Filcem-Cgil lancia l'allarme: oltre 20 mila i posti di lavoro a rischio nel 2009 e innumerevoli le crisi aziendali nei settori chimico-farmaceutico e manifatturiero
di Uff. stampa Filcem
Un autentico ‘tsunami’ è in corso non solo sul settore auto ma anche sulla chimica. L’allarme lo lancia la Filcem-Cgil, che vede la situazione lavorativa del settore, dopo la lunga fermata degli impianti per le feste natalizie, destinata a peggiorare drasticamente.

Almeno 15.000 sarebbero gli addetti a rischio (pari al 12% della forza lavoro totale), ai quali vanno aggiunti gli oltre 5.000 già in cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, più un altro migliaio in mobilità. Evidente, poi, la caduta delle assunzioni dei lavoratori interinali (circa 1.000, è la stima del sindacato), e la proroga o l’imminente utilizzo della cig in deroga per migliaia di addetti delle aziende in appalto (concentrate prevalentemente nella manutenzione e logistica).

E incombono, come una spada di Damocle, le pessime previsioni di crescita della produzione per il 2009 e le dinamiche per i singoli comparti: la chimica di base passerebbe da un +3,6% a zero; plastiche e resine dal 2,1% a -1; le fibre chimiche (-11%); fertilizzanti (-3,5%); vernici (-0,5%), nè sono attesi risultati migliori nemmeno nella chimica di vasto consumo (detergenti e cosmetici, -0,5%. “Se la congiuntura economica non cambierà segno – avverte un preoccupatissimo Alberto Morselli, segretario generale della Filcem-Cgil - rischiamo di avere da subito un utilizzo intensivo della cassa integrazione con riflessi sull’occupazione difficilmente prevedibili”. Inoltre, sul piano nazionale, pesano la lenta ma progressiva fuoriuscita dalla chimica del gruppo Eni, cui si lega la non ben definita situazione del petrolchimico di Porto Marghera: a ciò si aggiunge il fatto che Montefibre ha reso note difficoltà che possono compromettere l’attuazione dell’accordo di agosto 2008, per la realizzazione dell’innovativa fibra al carbonio. La crisi deve essere davvero molto brutta se anche la Basf, il gigante tedesco della chimica che impiega 95.000 persone in tutto il mondo, annuncia “possibili” tagli ai posti di lavoro non solo tedeschi ma anche all'estero (al momento non sono chiare le ripercussioni in Italia, n.d.r.).

Per non parlare poi delle prospettive assai incerte sul futuro del ciclo del cloro e le ricadute negative sui siti produttivi della Sardegna, Porto Torres e Assemini (nel complesso 4.000 lavoratori in bilico, tra diretti e indotto). Così come conseguenze nefaste sono probabili in Emilia Romagna (nell’area ravennate sono a rischio alcune centinaia di posti di lavoro) e nel polo di Priolo–Siracusa (2.000 le unità in pericolo). Sempre sul fronte chimico, da segnalare l'apertura dello stato di crisi dell'Eurallumina di Portovesme (Sulcis) che fermerà gli impianti per un anno, a partire dalla metà di marzo, con conseguente cassa integrazione straordinaria per 450 lavoratori (oltre 700, se si comprende l'indotto), oltre alla Caffaro di Torviscosa (Udine) e di Brescia (circa 400 i dipendenti coinvolti) per la quale è stato nominato il commissario liquidatore. Insomma la petrolchimica sconta l’effetto della crisi mondiale prima di altri. E’ l’anello della catena delle materie prime necessarie alla trasformazione dei prodotti per il comparto manifatturiero, che, a sua volta, risente in prima persona della crisi. Quest’anno il quadro generale è destinato a peggiorare per il rallentamento della domanda, unito all’inasprimento delle condizioni del credito. E le più colpite saranno le imprese più orientate alle esportazioni. “E' anche per questo che proponiamo l’immediata convocazione del tavolo nazionale della chimica – insiste Morselli - che impegni il Governo e il sistema delle imprese”. “Ma da queste orecchie il Governo non ci sente, se fosse vero – incalza Morselli – che Berlusconi in persona avrebbe dato ordini di rinviare tutto al giorno dopo le elezioni in Sardegna!”.” Insomma, si allungano i tempi, si annunciano convocazioni senza darvi seguito. Ci sentiamo – incalza Morselli - presi in giro”.

Ma non c'è solo la chimica in ginocchio: in difficoltà sono anche tutti gli altri comparti del settore e l’elenco delle crisi aziendali si allunga ogni giorno di più. Nella farmaceutica, ad esempio, in profonda fase di riorganizzazione, siamo addirittura all’allarme ‘rosso’: sono circa 5000 le unità a rischio annunciate per il 2009 coinvolgendo quasi tutti i più importanti gruppi che operano in Italia (Astrazeneca, Wyeth, Bracco, ecc.). La Pfizer – recentemente unificatasi con la Wyeth - è il caso più recente: il 12 gennaio l’azienda ha avviato le procedure di mobilità per 556 lavoratori (informatori scientifici del farmaco), oltre alla cessione dello stabilimento di Latina e a quella annunciata del sito Pisticci (Matera). Ma i problemi per il sindacato non si fermano qui: c’è il taglio di 320 addetti nella ricerca da parte di Merck (Pomezia) e Glaxo Sk (Verona), “che, insieme all'innovazione – insiste Morselli - dovrebbe essere invece la frontiera del futuro”. In quest’ultima società cresce la preoccupazione per l’apertura della procedura di mobilità per altri 97 ricercatori su 312, cioè con una riduzione di quasi un terzo dell’impegno nell’area, dopo che già sei mesi fa erano stati ‘sacrificati’ 40 ricercatori e 79 dipendenti nelle aree di Pharma (servizi) e produzione. Senza dimenticare la cig per 550 addetti avviata da Marvecs e XPharma e le prospettive nere alla Bayer, a causa della chiusura dell’impianto di Rosia (Siena).

Un vero e proprio bollettino di guerra sta sconvolgendo l’intero settore manifatturiero. Le grandi multinazionali dell’industria del vetro chiudono stabilimenti, mettendo il personale in cig: è il caso della Owens Illinois di Castel Maggiore (Bologna) e di Napoli Stampi, rispettivamente, con 102 e 46 lavoratori coinvolti; della Pilkington di Chieti, dove è in corso la cig ordinaria per 1.800 dipendenti per 13 settimane; della Seves di Firenze (180 unità in cigs per 12 mesi); nel distretto artistico di Murano, famoso nel mondo, ma in grave crisi, dove in 600 (su un totale di 800 addetti) sono in cig; della Rocco Bormioli, che ha effettuato fermate produttive nei mesi di dicembre 2008 e gennaio 2009 negli stabilimenti di Altare (Savona) e Fidenza (Parma), con 590 addetti interessati. Ma la vertenza all’ordine del giorno si chiama Asahi Glass Company (Agc), il gigante giapponese leader mondiale nella produzione del vetro per auto e edilizia, che ha ricorso alla cassa integrazione straordinaria per dodici mesi – a partire dal 1 febbraio 2009 - per gli stabilimenti di Cuneo e Roccasecca (Frosinone): interessati fino ad un massimo di 370 lavoratori. Il ricorso alla cassa integrazione straordinaria è ormai pratica diffusa anche nel comparto delle lampade e display, alla Videocon di Anagni (950 le persone colpite fino a maggio 2009, ma nell'intera provincia di Frosinone su 9600 addetti, 5500 sono in stato di crisi aziendali), ma anche alla Osram di Treviso (390 su 700) e alla Leuci di Lecco (80 su 130 per tutto il 2009).

La crisi (“pura speculazione”, aveva denunciato subito Morselli) che più ha avuto, proprio recentemente, una vasta eco riguarda un’impresa ‘gioiello’ della ceramica, uno dei simboli del made in Italy, la Iris Ceramica di Sassuolo, al 5° posto della relativa classifica mondiale, che dopo aver annunciato improvvisamente, il 5 gennaio, la messa in liquidazione dei 3 stabilimenti con 780 lavoratori in via di licenziamento, il 17 gennaio ha raggiunto un accordo con sindacati ed Enti locali che scongiura la dismissione, in attesa della definizione di un nuovo piano industriale da discutere con i sindacati. Si aggrava invece la crisi di Emilceramica (800 i lavoratori del Gruppo) che ha chiesto 116 licenziamenti per cessata attività dello stabilimento di Solignano (Modena), e comunicato la decisione di mettere 512 lavoratori in cig per il periodo febbraio – maggio 2009; come, altrettanto grave, la crisi scoppiata alla Fincuoghi Industrie Ceramiche (Parma) dove l'azienda ha annunciato l'intenzione di chiudere lo stabilimento di Bedonia ( oltre 100 i lavoratori coinvolti).

Passando alle piastrelle, sono oltre 6.000 i lavoratori (su 22.000 addetti circa) coinvolti nel ricorso alla cassa integrazione ordinaria, soprattutto appartenenti al distretto leader di Modena, Reggio Emilia, Faenza, mentre nel comparto dei refrattari l’organico (150 unità) della Sirma di Venezia è tutto in mobilità, con i lavoratori che stanno lottando per tenere aperta la fabbrica.

Nella ceramica sanitaria, alla crisi conclamata del distretto di punta di Civita Castellana (Viterbo), dove su 48 aziende in 40 si fa ricorso alla cig (ordinaria, speciale e in deroga) per complessivi 1200 lavoratori su 2650 addetti, si aggiungono i 300 “interinali” licenziati. Clima ugualmente pesante alla Ideal Standard, dopo che la multinazionale americana ha fatto ricorso, per i suoi quattro impianti italiani, alla cassa integrazione ordinaria fino a tutto marzo (oltre 2000 dipendenti interessati).

Nel settore delle stoviglierie, le 200 lavoratrici rimaste sono invece in contratto di solidarietà: il caso più eclatante è quello della “Quadrifoglio” (400 dipendenti) che ha terminato la cigs e ha messo tutti in mobilità. Non va meglio alla Cesame di Catania, con la produzione attualmente ferma e il personale confinato in mobilità (180 unità) o in attesa di cig (gli altri 137). integrazione ordinaria fino a tutto marzo (oltre 2000 dipendenti interessati).

Un quadro a tinte fosche è anche quello della gomma–plastica, dove si fatica ad individuare aziende che non abbiano, o non avranno, procedure di cig o mobilità, a partire da 190 lavoratori della Pirelli (130 alla Tyre e 60 alla Re) e alla cessazione della produzione pneumatici nello stabilimento Michelin di Stura (Torino). Così come versa in grosse difficoltà tutto il comparto dell’indotto auto, Cf-Gomma su tutti: “Qui si rischia la chiusura – avverte la Filcem -, dopo le recenti ristrutturazioni effettuate dal gruppo, ma tutto dipenderà ovviamente dall’andamento della crisi Fiat. In generale, si prevede un 2009 pesante per la gomma, malgrado il buon accordo raggiunto con Michelin il 2 dicembre 2008, dove “siamo riusciti – ricorda Morselli - a strappare un impegno di 200 milioni di euro di investimenti nei prossimi cinque anni, e un analogo impegno a ricollocare tutto il personale di Stura, potenziando l’impianto di Cuneo”. L'auspicio è che negli altri due colossi della gomma, Bridgestone e Pirelli, ci sia uno stesso impegno a mantenere gli investimenti annunciati, a cominciare dal nuovo stabilimento che Pirelli realizzerà a Torino.

La crisi si fa pesantemente sentire perfino nei distretti industriali della concia: ad Arzignano (Vicenza), su 8.000 addetti, 600 sono in mobilità e più di un migliaio in cig, distribuiti in 115 aziende; a S. Croce (Pisa), dove a finire in cassa sono in 400 (+30% rispetto al 2007), mentre svariate piccole imprese hanno chiuso i battenti; a Solofra (Avellino) la Albatros, la più grande conceria dell’omonimo distretto, ha collocato 400 persone tra cig e mobilità, per non parlare, poi, di alcune realtà del centro storico (un’ottantina gli addetti) che stanno cessando l’attività, senza alcuna possibilità di ricorso agli ammortizzatori sociali. “Il piano del governo è da rispedire al mittente per l'assenza di una politica industriale – è polemico il segretario Filcem-Cgil - , e anche perché per queste imprese, come per quelle artigiane, non è prevista alcuna estensione della cig, ma solo un modesto ampliamento dell’indennità di disoccupazione”.

“Lo voglio ricordare: è evidente una colpevole sottovalutazione della crisi e dei suoi effetti sul piano sociale da parte del Governo, aggiunge Morselli. E' chiaro che ora siamo agli interventi congiunturali, nessuna fabbrica deve essere chiusa, per questo chiediamo più fondi per la cassa integrazione, per la cassa integrazione in deroga, l'aumento dei massimali di cassa, esempi di solidarietà generalizzata, un fisco che faccia la sua parte. Ma poi, a crisi terminata, c'è bisogno di pensare ad interventi strategici e concentrare sin da subito le risorse su ricerca, innovazione di prodotto e di processo, più brevetti, formazione permanente. In questo ambito la riforma della Pubblica amministrazione che supporti i progetti industriali è un'esigenza inderogabile. Perchè dalla crisi – conclude Morselli – occorre uscire a testa alta, senza desertificazioni del nostro apparato industriale, creando le condizioni per il suo rilancio competitivo nella divisione internazionale del lavoro”.


12/02/2009 13:06
 

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IRIS, a pezzi per gli speculatori? La crisi degli imbroglioni colpisce solo chi lavora


Federico Balestra
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ritrasmetto da Telereggio (su segnalazione del gruppo facebook a favore dei dipendenti IRIS):
“All’origine della crisi di Iris non c’è soltanto la fase di difficoltà del settore delle piastrelle in ceramica. Non ci sono soltanto la concorrenza cinese, la flessione dell’edilizia e il crollo delle vendite registrato dal gruppo di Romano Minozzi nel 2008. Ci sono anche, come TG Reggio è in grado di documentare, alcune speculazioni di Borsa a dir poco imprudenti, che hanno causato all’azienda perdite per parecchie decine di milioni di euro.
Dall’esame della contabilità di Iris emerge infatti che il gruppo di Fiorano, negli ultimi anni, aveva l’abitudine di investire una grande massa di liquidità in titoli di società quotate in Borsa.
Quelli preferiti erano Eni, Enel, Snam e Telecom Italia. Titoli di società considerate solide e per questo ritenute a torto al riparo da sconquassi finanziari. Un anno e mezzo fa, dopo aver ceduto un grosso pacchetto di azioni Eni, Minozzi e l’amministratore delegato Giuseppe Pifferi decidono di puntare su Intesa Sanpaolo. Nel corso del 2007 Iris acquista quasi 16 milioni di titoli del gruppo bancario a prezzi vicini ai 6 euro per azione, investendo più di 90 milioni di euro.
Nell’ultimo scorcio del 2007 il titolo registra una prima flessione. Ma Minozzi è convinto che il calo sia transitorio e che le quotazioni siano destinate a risalire. Tanto che nei primi mesi del 2008 Iris investe su Intesa Sanpaolo altri 39 milioni di euro, acquistando ancora 7,5 milioni di azioni, in buona parte attraverso operazioni in derivati. Ma la previsione di Minozzi è sbagliata e nel 2008 le quotazioni del gruppo creditizio precipitano del 53 per cento.
E’ bene ribadire che questi non sono investimenti personali dell’imprenditore, ma investimenti realizzati con fondi aziendali.
Nel complesso 130 milioni di euro: una somma enorme, il doppio del flusso di cassa di Iris e oltre la metà del giro d’affari dell’azienda. Mentre la situazione di mercato cominciava visibilmente a deteriorarsi, dunque, la liquidità di Iris, anziché essere utilizzata per abbattere l’indebitamento o investita in strumenti finanziari a basso rischio, è stata riversata in Borsa.
E per di più concentrata in larghissima misura su un unico titolo azionario: quello di Intesa Sanpaolo. Se tutti questi titoli sono ancora in portafoglio, Iris ha incassato quasi 8 milioni di dividendi. Ma il valore del pacchetto di azioni acquistato è sceso da 130 a 59 milioni di euro. Una minusvalenza di oltre 70 milioni che pesa come un macigno.”
Incredibile come l’azienda, invece di investire su se stessa, abbia investito sull’economia virtuale della borsa.
Il mondo reale nè sarà immensamente grato.



RESTA IL TEMA PRINCIPALE ...
 

verdiacero

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Crisi Iris: l’azienda abbandona la liquidazione
Inserito il 13-02-2009 ~ 10:35 da red
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Comprensorio - "Si delinea la possibilità concreta che si metta da parte il percorso di liquidazione e che si discuta di un piano di ristrutturazione industriale come chiesto dalla Regione", infatti su questo percorso "l'azienda ha espresso la sua disponibilita'". Con queste parole l'assessore regionale alle Attivita' Produttive Duccio Campagnoli annuncia la volontà del gruppo Iris Ceramiche di invertire la rotta intrapresa recentemente.

Il piano a grandi linee e' stato relazionato ieri al tavolo convocato in Regione dall'amministratore dell'azienda Giuseppe Pifferi, di fronte ai sindacati e a rappresentanti degli enti locali. L'incontro prosegue dopo il break chiesto dai sindacati per discutere sulle prospettive che si stanno delineando.
 

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