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翠鸟科
Gli Usa temono l’uscita di Londra
Alleati in ansia in vista del discorso del 22 gennaio
«The Speech», è atteso per il 22 gennaio in Olanda. Dal palco di un Paese partner a denominazione di origine controllata, quale è l’Aja, David Cameron svelerà al mondo la sua strategia per portare Londra lontano dall’Unione facendo finta di continuare a tenerla dentro.
Il discorso suscita ansie. Negli irlandesi e non solo perché sono presidenti di turno dell’Unione, ma per le implicazioni potenziali del distacco di una capitale non affatto qualsiasi, rappresentando, come è Londra, una quota enorme dell’interscambio commerciale con Dublino. Soprattutto negli americani. Scoprire che per deliberata autoesclusione l’amico inglese potrebbe non essere più nella posizione ideale per farsi interprete e messaggero del comune pensiero anglosassone, inquieta Washington oltre ogni attesa. Oggi più che mai, se davvero Bruxelles dimostrerà di aver trovato dopo la crisi la coesione necessaria per stringersi in forme di cooperazione tanto avanzate da dare una risposta al celebre interrogativo di Henry Kissinger che negli anni Settanta si domandava quale numero dovesse comporre per «parlare con l’Europa».
...
Cameron, infatti, immagina di andare molto più in là, e rischia di giocarsi in un colpo solo tanto il futuro quanto il passato.
È un azzardo chiedere di rinegoziare i termini dell’adesione rinazionalizzando politiche specifiche per poi sottoporre con un referendum secco - dentro o fuori dalla Ue - le nuove intese. Il destino di Londra potrebbe finire per non essere dissimile da quello delIl 9 dicembre questo giornale ha pubblicato la prima puntata di un’inchiesta sulla Gran Bretagna e l’Europa. Un rapporto sempre difficile, dai tempi di De Gaulle prima e della Thatcher poi, diventato ancora più problematico negli ultimi anni. Il premier conservatore Cameron cammina su una corda tesa e si è mostrato sensibile alla crescente ondata di euroscetticismo la Norvegia che, pur essendo fuori dalla Ue, subisce politiche deliberate a Bruxelles senza poterle influenzare. Così facendo Cameron rischierebbe di porre in pericolo la prosperità futura del Regno Unito, ma cancellerebbe anche la dottrina indicata da Harold Mac Millan negli anni Sessanta, fatta di vicinanza strategica con gli Usa e impegno in Europa. Philip Gordon lo ha voluto ricordare al premier britannico saldando i due principi che ora andranno letti così: l’impegno in Europa è condizione perché sopravviva l’intesa strategica con l’America.
Appare impossibile che Cameron sia pronto a gettare tutto ciò sulla pira dell’appeasement in seno a un partito conservatore dirottato dagli euroscettici e terrorizzato dalla crescita dell’eurofobo United Kingdom Independence party. L’altolà degli Stati Uniti, inatteso nella forma, conferma ora che il rischio c’è. E tanto basta per considerare il Brexit dall’Unione uno scenario non ancora probabile, ma ormai certamente possibile.
Fleu !! ma ke minghia ..... ???? chessuccede??
Alleati in ansia in vista del discorso del 22 gennaio
«The Speech», è atteso per il 22 gennaio in Olanda. Dal palco di un Paese partner a denominazione di origine controllata, quale è l’Aja, David Cameron svelerà al mondo la sua strategia per portare Londra lontano dall’Unione facendo finta di continuare a tenerla dentro.
Il discorso suscita ansie. Negli irlandesi e non solo perché sono presidenti di turno dell’Unione, ma per le implicazioni potenziali del distacco di una capitale non affatto qualsiasi, rappresentando, come è Londra, una quota enorme dell’interscambio commerciale con Dublino. Soprattutto negli americani. Scoprire che per deliberata autoesclusione l’amico inglese potrebbe non essere più nella posizione ideale per farsi interprete e messaggero del comune pensiero anglosassone, inquieta Washington oltre ogni attesa. Oggi più che mai, se davvero Bruxelles dimostrerà di aver trovato dopo la crisi la coesione necessaria per stringersi in forme di cooperazione tanto avanzate da dare una risposta al celebre interrogativo di Henry Kissinger che negli anni Settanta si domandava quale numero dovesse comporre per «parlare con l’Europa».
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Cameron, infatti, immagina di andare molto più in là, e rischia di giocarsi in un colpo solo tanto il futuro quanto il passato.
È un azzardo chiedere di rinegoziare i termini dell’adesione rinazionalizzando politiche specifiche per poi sottoporre con un referendum secco - dentro o fuori dalla Ue - le nuove intese. Il destino di Londra potrebbe finire per non essere dissimile da quello delIl 9 dicembre questo giornale ha pubblicato la prima puntata di un’inchiesta sulla Gran Bretagna e l’Europa. Un rapporto sempre difficile, dai tempi di De Gaulle prima e della Thatcher poi, diventato ancora più problematico negli ultimi anni. Il premier conservatore Cameron cammina su una corda tesa e si è mostrato sensibile alla crescente ondata di euroscetticismo la Norvegia che, pur essendo fuori dalla Ue, subisce politiche deliberate a Bruxelles senza poterle influenzare. Così facendo Cameron rischierebbe di porre in pericolo la prosperità futura del Regno Unito, ma cancellerebbe anche la dottrina indicata da Harold Mac Millan negli anni Sessanta, fatta di vicinanza strategica con gli Usa e impegno in Europa. Philip Gordon lo ha voluto ricordare al premier britannico saldando i due principi che ora andranno letti così: l’impegno in Europa è condizione perché sopravviva l’intesa strategica con l’America.
Appare impossibile che Cameron sia pronto a gettare tutto ciò sulla pira dell’appeasement in seno a un partito conservatore dirottato dagli euroscettici e terrorizzato dalla crescita dell’eurofobo United Kingdom Independence party. L’altolà degli Stati Uniti, inatteso nella forma, conferma ora che il rischio c’è. E tanto basta per considerare il Brexit dall’Unione uno scenario non ancora probabile, ma ormai certamente possibile.
Fleu !! ma ke minghia ..... ???? chessuccede??