Macroeconomia Usa-Europa Tuor - Al capezzale di Stati e banche

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Forumer storico
Al capezzale di Stati e banche
La crisi greca contagia i mercati di tutto il mondo
8 mag 2010
di ALFONSO TUOR

La moneta unica europea continua a deprezzarsi, le borse calano, i differenziali tra i rendimenti delle obbligazioni statali tedesche e quelle dei Paesi europei più deboli continuano ad allargarsi, riprendono a salire i tassi sul mercato interbancario, l’accesso alla liquidità per le banche di alcuni Paesi europei diventa sempre più difficile e il contagio della crisi greca investe anche la borsa americana (giovedì scorso Wall Street addirittura crolla per poi limitare le perdite nel finale della seduta). È ormai evidente che la Grecia è solo la miccia delle nuove tensioni che scuotono l’euro e i mercati finanziari.
In realtà stiamo assistendo ad una fase di forte attività della crisi iniziata nel 2007 con il crollo del mercato immobiliare americano e proseguita con la crisi finanziaria dell’autunno del 2008, che ha toccato il suo apice con il fallimento della Lehman Brothers.
Oggi si ripropongono i medesimi problemi, che non sono stati né affrontati né risolti. Essi si chiamano eccesso di indebitamento (o meglio scoppio di una bolla del debito) e stato fallimentare del sistema bancario.
I simboli di queste crisi? Nel 2007/2008 la famiglia americana di modeste condizioni convinta dagli operatori finanziari ad accendere un mutuo ipotecario che non sarebbe mai stata in grado né di onorare né tanto meno di rimborsare. Oggi una Grecia di fatto insolvente (ossia fallita) che ha truccato per anni i conti pubblici. Ma sarebbe sbagliato limitare l’analisi a questi due casi. Essi sono solo la punta dell’iceberg. Infatti se la crisi americana si fosse limitata al segmento subprime del mercato immobiliare, non vi sarebbe stata alcuna crisi finanziaria. La realtà è che le ipoteche subprime, come le altre, erano state impacchettate in titoli venduti sul mercato e che su queste cartolarizzazioni l’industria finanziaria ha creato mediamente quattro strumenti. Ciò vuol dire che la perdita di un dollaro nel credito ipotecario si è tradotta in una perdita superiore ai 4 dollari a causa della particolare natura di quegli strumenti. La perdita complessiva è aumentata ulteriormente a causa delle interconnessioni dei mercati finanziari. Quello che conta sottolineare in questa sede è che la perdita iniziale si è moltiplicata a causa delle molteplici scommesse fatte dal sistema finanziario su ogni credito, una stortura che continua nonostante i danni già causati.
Lo stesso ragionamento vale per la crisi attuale. Si tratta di una crisi bancaria e non unicamente di una crisi delle finanze pubbliche di alcuni Paesi europei. La controprova di questa affermazione la danno gli stessi mercati. A trascinare al ribasso le Borse sono infatti i titoli bancari e quelli assicurativi. Nel vortice della crisi è stata risucchiata ad esempio la Spagna, non tanto per il debito pubblico che è ancora inferiore all’80% del PIL, quanto per i timori sulla tenuta di un sistema bancario sovradimensionato, alle prese con le perdite dovute al crollo del mercato immobiliare cresciuto a dismisura negli anni passati.
Ed è proprio la paura di una nuova crisi bancaria, che nel frattempo sembra già iniziata, ad aver condizionato la struttura del piano di 110 miliardi di aiuti messo a punto da Eurolandia e Fondo monetarrio internazionale. La mancanza di credibilità di questo piano è dovuta al fatto che dopo tre anni di lacrime e sangue nel 2014 il debito pubblico greco salirà dall’attuale 120% del PIL al 150%. Insomma, non solo i conti pubblici della Grecia fra tre anni saranno in condizioni peggiori delle attuali, ma nel frattempo lo Stato greco non riuscirà a raccogliere sui mercati i capitali necessari per continuare a svolgere le proprie attività (i 110 miliardi di euro non bastano a coprire le necessità finanziarie di Atene).
È dunque legittimo ritenere che il piano sia stato studiato in questo modo solo per guadagnare tempo e per evitare lo scoppio di una nuova crisi finanziaria. Per essere credibile, il piano di aiuti avrebbe dovuto prevedere una ristrutturazione del debito greco, ad esempio con il dimezzamento del valore facciale delle obbligazioni greche. Ma ciò non si è fatto, poiché avrebbe comportato l’immediata crisi del sistema bancario costretto a contabilizzare le perdite sui titoli greci e innescato un effetto a catena a livello mondiale. Quello che si voleva evitare sta comunque succedendo. Il tentativo è dunque fallito. La crisi greca ha contagiato non solo l’Europa, ma i mercati di tutto il mondo.
Ora il prossimo passo si concretizzerà molto probabilmente in un cedimento della Banca centrale europea che, diversamente dalle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, non ha finora stampato moneta per acquistare direttamente le obbligazioni statali dei Paesi, il cosiddetto «quantitative easing». Tale passo, che appare oggi inevitabile, potrebbe riuscire a riportare temporaneamente la calma sui mercati, ma non farebbe altro che accentuare le tensioni polititiche all’interno dell’Europa. Infatti questa violazione dei trattati europei farebbe irrigidire ulteriormente una Germania che considera sempre più l’Unione monetaria una costruzione che si regge solo grazie ai contributi tedeschi e che vedrebbe in una politica del genere un passo verso il ritorno dell’inflazione. Ciò rafforzerebbe le posizioni di coloro che a Berlino sostengono che l’attuale crisi dell’euro debba essere superata o con la creazione di due monete diverse (alla prima farebbero capo i Paesi virtuosi di Eurolandia, alla seconda i Paesi mediterranei) oppure con l’uscita della Germania dall’Unione monetaria europea. In attesa di osservare quali saranno gli sbocchi in Europa di questa crisi, occorre ricordare che le finanze pubbliche della maggior parte dei Paesi europei (compresi Portogallo e Spagna) e le condizioni macroeconomiche dell’intera Eurolandia (tasso di risparmio delle famiglie, indebitamento estero) sono nettamente migliori di quelle di Gran Bretagna e Stati Uniti, i cui Governi osservano con giustificato e comprensibile timore quanto sta succedendo nell’Europa continentale.
 
Al capezzale di Stati e banche
La crisi greca contagia i mercati di tutto il mondo
8 mag 2010
di ALFONSO TUOR


È dunque legittimo ritenere che il piano sia stato studiato in questo modo solo per guadagnare tempo e per evitare lo scoppio di una nuova crisi finanziaria. Per essere credibile, il piano di aiuti avrebbe dovuto prevedere una ristrutturazione del debito greco, ad esempio con il dimezzamento del valore facciale delle obbligazioni greche. Ma ciò non si è fatto, poiché avrebbe comportato l’immediata crisi del sistema bancario costretto a contabilizzare le perdite sui titoli greci e innescato un effetto a catena a livello mondiale. Quello che si voleva evitare sta comunque succedendo. Il tentativo è dunque fallito. La crisi greca ha contagiato non solo l’Europa, ma i mercati di tutto il mondo.
Ora il prossimo passo si concretizzerà molto probabilmente in un cedimento della Banca centrale europea che, diversamente dalle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone, non ha finora stampato moneta per acquistare direttamente le obbligazioni statali dei Paesi, il cosiddetto «quantitative easing». Tale passo, che appare oggi inevitabile, potrebbe riuscire a riportare temporaneamente la calma sui mercati, ma non farebbe altro che accentuare le tensioni polititiche all’interno dell’Europa. Infatti questa violazione dei trattati europei farebbe irrigidire ulteriormente una Germania che considera sempre più l’Unione monetaria una costruzione che si regge solo grazie ai contributi tedeschi e che vedrebbe in una politica del genere un passo verso il ritorno dell’inflazione. Ciò rafforzerebbe le posizioni di coloro che a Berlino sostengono che l’attuale crisi dell’euro debba essere superata o con la creazione di due monete diverse (alla prima farebbero capo i Paesi virtuosi di Eurolandia, alla seconda i Paesi mediterranei) oppure con l’uscita della Germania dall’Unione monetaria europea. In attesa di osservare quali saranno gli sbocchi in Europa di questa crisi, occorre ricordare che le finanze pubbliche della maggior parte dei Paesi europei (compresi Portogallo e Spagna) e le condizioni macroeconomiche dell’intera Eurolandia (tasso di risparmio delle famiglie, indebitamento estero) sono nettamente migliori di quelle di Gran Bretagna e Stati Uniti, i cui Governi osservano con giustificato e comprensibile timore quanto sta succedendo nell’Europa continentale.


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