Tuor - Banche USA tra realtà e apparenze

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Banche USA tra realtà e apparenze
Molti bilanci beneficiano di mutate regole contabili
21 lug 2009
di ALFONSO TUOR

Le Borse occidentali hanno chiuso la settimana scorsa con notevoli rialzi degli indici dopo quattro settimane contrassegnate da una tendenza al ribasso dei listini. Il nuovo vigore dei mercati azionari è stato alimentato dalla presentazione dei risultati delle principali banche americane nettamente superiori alle aspettative, tra cui spiccano quelli della banca d’investimento Goldman Sachs, che ha chiuso il secondo trimestre con il miglior risultato della sua storia, che corrisponde ad un utile netto di 3,4 miliardi di dollari, e i 2,7 miliardi di utile del colosso bancario JPMorgan più quelli di Citigroup e di Bank of America. Questi annunci hanno indotto alcuni a ritenere che la crisi bancaria sia oramai superata e che il settore ritornerà a vivere una nuova «età dell’oro». Hanno pure ringalluzzito Wall Street, impegnata ad impedire una seria riforma delle regole e dei meccanismi di sorveglianza del ramo finanziario.
La realtà è però ben diversa. I bilanci degli istituti bancari beneficiano del cambiamento delle regole contabili, che permettono di iscrivere a prezzi storici (e non di mercato) i titoli tossici detenuti e di far figurare come un utile il deprezzamento delle obbligazioni emesse dalle banche per finanziarsi, in base alla teoria che il riacquisto del proprio debito costerebbe meno. Il migliore dei mondi possibili: da un canto, un aumento della redditività grazie alla diminuita credibilità delle obbligazioni emesse e, dall’altro, una rivalutazione dei titoli tossici detenuti. Il settimanale «The Economist» valuta che l’anno scorso le sole banche europee abbiano già riclassificato più di 500 miliardi di dollari di attività, producendo 29 miliardi di dollari di utile solo grazie a questo artificio contabile. In termini brutali, si può tranquillamente sostenere che i bilanci delle banche con la «benedizione» delle autorità di sorveglianza non sono credibili.
In secondo luogo, le banche sia europee sia americane beneficiano di un’implicita garanzia dello Stato (in alcuni casi questa garanzia è addirittura esplicita). Ciò comporta costi di rifinanziamento inferiori a quelli di qualsiasi altra azienda. Inoltre operano in un mercato finanziario sostenuto pesantemente dallo Stato. Negli Stati Uniti la Federal Reserve ha di fatto nazionalizzato il mercato dei commercial paper, interviene ad acquistare titoli in cui sono impacchettati i mutui ipotecari, le carte di credito, i leasing, ecc. e ora interverrà a sostenere anche il mercato dei titoli con cui sono stati impacchettati i crediti per il commercial real estate. Inoltre, come noto, interviene per acquistare i titoli con cui si finanzia lo Stato federale americano. Gli utili bancari non sono pertanto un segnale di ritrovata salute. L’esame di dettaglio conferma quanto detto.
Citigroup ha annunciato 4,3 miliardi di utili, che sono stati raggiunti grazie ad operazioni irripetibili. Nella fattispecie grazie ad entrate straordinarie per ben 6,7 miliardi di dollari dovute alla joint venture con Morgan Stanley per Smith Barney e a benefici fiscali. Bank of America ha prodotto 3,2 miliardi di utili grazie ai proventi di alcune dismissioni, come la vendita di una parte della partecipazione in una grande banca cinese. Pure gli utili di JPMorgan sono meno spettacolari delle apparenze. Essi sono stati ottenuti soprattutto nelle attività di investment banking e coprono le perdite denunciate dalle attività di credito al consumo e di retail della banca. Questo genere di perdite di tipo tradizionale è destinato ad aumentare sensibilmente sia in Europa sia negli Stati Uniti a causa della recessione e del forte aumento della disoccupazione.
Diversa è la valutazione dei risultati di Goldman Sachs, che ha accantonato ben 6,65 miliardi di dollari per i bonus per il proprio personale. Il «Wall Street Journal» ha giustamente scritto che Goldman Sachs ha tratto vantaggio dalla scomparsa di alcuni suoi concorrenti (Lehman Brothers, Bear Stearns) e dalla minore propensione al rischio di Morgan Stanley e dalle difficoltà di altri (Citigroup e UBS) per allargare gli spread su ogni operazione e quindi realizzare utili straordinari. Questa conclusione conferma che il salvataggio di Wall Street senza attuare una riforma delle regole del suo funzionamento sta creando le condizioni per una nuova crisi determinata proprio da coloro, come Goldman Sachs, che sono sufficientemente grandi per godere dell’implicita garanzia statale. Ricordiamo che nell’ultimo trimestre dell’anno scorso a Goldman Sachs fu permesso in una notte di trasformarsi da banca d’investimento in banca commerciale per ottenere gli aiuti dello Stato americano, nel frattempo restituiti, e che soprattutto Goldman Sachs è stata la principale beneficiaria del salvataggio di American Insurance Group (AIG). Infatti AIG con i soldi dello Stato americano ha pagato le controparti di un’enorme quantità di derivati (soprattutto CDS). Tra queste controparti che ottennero i soldi prestati ad AIG dallo Stato la principale fu proprio Goldman Sachs.
Non si può dunque non condividere il giudizio del premio Nobel per l’economia Paul Krugman, il quale ha scritto sul «The New York Times»: «In primo luogo, quello che è bene per Goldman Sachs, è invece male per l’America; in secondo luogo, non è tramontata la cattiva prassi delle compensazioni stratosferiche di Wall Street, che ha contribuito a causare la crisi; in terzo luogo, la decisione di Washington di salvare il sistema finanziario senza riformarlo non ci protegge da una nuova crisi, anzi la rende più probabile».
Il sistema finanziario è ancora profondamente malato, come conferma l’incapacità di coloro che hanno originato la crisi di correggere i loro comportamenti e dei politici di definire regole incisive che proteggano i cittadini dalle deformazioni della nuova finanza. A onor del vero, bisogna riconoscere che dopo la pubblicazione dei risultati di Goldman Sachs la Commissione americana sul commercio dei future sulle materie prime ha preannunciato provvedimenti per limitare la detenzione di future sul petrolio e sul gas (anche per evitare che la speculazione finanziaria ne faccia di nuovo schizzare i prezzi) e che il Dipartimento della Giustizia ha aperto un’inchiesta sul mercato dei Credit Default Swap. In questi due segmenti di mercato Goldman Sachs gioca un ruolo da protagonista. Forse c’è motivo per nutrire ancora qualche speranza.
 

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