Tuor - L'uscita dal tunnel è lontana

Sharnin 2

Forumer storico
L'uscita dal tunnel è lontana
È quanto emerge dagli ultimi dati economici
di ALFONSO TUOR

Sembra prossimo alla conclusione il grande gioco illusionistico orchestrato a partire dal G20 di Londra dell’inizio dello scorso mese di aprile. Il grande sforzo profuso da autorità politiche e monetarie, teso a convincere opinione pubblica e mercati che era ormai chiaramente visibile la luce in fondo al tunnel di questa crisi, è naufragato con la diffusione degli ultimi dati economici. La gelata è stata provocata soprattutto dall’andamento dei consumi negli Stati Uniti. Fino a pochi giorni fa gli analisti discettavano sulla tenuta dello stoico consumatore americano in grado di sostenere l’economia a stelle e strisce. Mercoledì scorso si è invece scoperto che queste teorie erano basate su dati semplicemente errati. Infatti le vendite al dettaglio negli Stati Uniti in marzo non sono salite dello 0,9% al netto delle vendite di auto, come comunicato in precedenza, ma sono diminuite dell’1,2%. I consumi sono scesi anche in aprile.
In Europa le forti contrazioni della produzione industriale annunciate recentemente non fanno presagire nulla di buono. Appare sempre più chiaro da un canto che la ripresa non è dietro l’angolo e dall’altro che stiamo assistendo semplicemente ad un rallentamento del ritmo di deterioramento dell’economia.
Notizie non positive giungono anche dal sistema bancario, nonostante la grande operazione di rassicurazione condotta dall’amministrazione Obama. I buchi nel credito al consumo e nel settore ipotecario accusati negli Stati Uniti dal colosso bancario HSBC contraddicono in modo evidente l’esito confortante dello stress test condotto dal Tesoro sulle 19 maggiori banche statunitensi. Come noto, HSBC, che aveva preannunciato la crisi immobiliare americana, ha deciso di ritirarsi da queste attività negli Stati Uniti.
Anche in Europa le preoccupazioni sullo stato di salute delle banche cominciano a riemergere, come dimostrano tra gli altri i risultati del gruppo olandese Ing, della francese Natixis, del Credit Agricole. Addirittura si parla di possibili nuovi interventi dello Stato belga per salvare il gruppo bancario KBC, mentre in Germania si cercano di costruire «bad bank» dove parcheggiare circa 800 miliardi di attività tossiche ancora nascosti nei bilanci delle banche tedesche. Ciò ha rammentato che l’impegno dei governi a non far fallire alcun grande gruppo bancario non vuol dire che lo stato di salute degli istituti finanziari sia improvvisamente migliorato.
Di fronte a questi forti scricchiolii del quadro ottimistico dipinto nelle ultime settimane sembrano essersi arrese anche le Borse. Sebbene sia sempre pericoloso azzardare previsioni, il forte rally delle borse iniziato lo scorso 9 marzo, che ha permesso, ad esempio, all’indice americano Standard & Poor’s di guadagnare più del 37%, sembra sia giunto alla conclusione. La corsa al rialzo dei mercati azionari era cominciata a diventare più tentennante già negli scorsi giorni. I dati americani sui consumi sono stati dunque il pretesto per avviare una correzione, che conferma che quello cui abbiamo assistito è stato solo un rimbalzo in un mercato che rimane ribassista («bear market»).
Si torna dunque alla realtà che continua a non essere rosea. L’economia è ancora in cure intense, nonostante le terapie da cavallo praticate da autorità politiche e monetarie. Ovunque sono stati varati importanti pacchetti di stimolo fiscale e soprattutto è stato ridotto il costo del denaro (che in molti Paesi è oggi di poco superiore allo zero) e si stampano grandi quantità di moneta, per lo più utilizzata a sostegno dei mercati finanziari. Questi interventi, che per entità non hanno precedenti, sono serviti ad evitare il collasso del sistema finanziario e a impedire che l’economia cadesse in una grave depressione. Non posseggono però la virtù taumaturgica di eliminare l’enorme quantità di debiti accumulati da famiglie, imprese e sistema finanziario, che sono all’origine della crisi. Il risanamento di questi bilanci richiede molto tempo. Per essere più chiari, si può fare l’esempio di una famiglia che per alcuni anni ha vissuto al di sopra dei propri mezzi accumulando debiti. Il ritorno ad un bilancio familiare sano, che viene indubbiamente facilitato da tassi di interesse più bassi, richiede anni, può essere accelerato grazie a un taglio delle spese della famiglia, che però comporta una contrazione dell’attività economica complessiva, oppure può diventare molto arduo o addirittura impossibile se i membri della famiglia perdono il lavoro e se il valore delle proprietà della famiglia (ad esempio una casetta) scende al di sotto dell’ipoteca accesa sull’immobile.
Le economie gravate da un alto livello di indebitamento, come Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna, non possono sfuggire a questa realtà. Il loro risanamento comporta anche un ridimensionamento strutturale di interi settori economici (auto, finanza, ecc.), che erano prosperati grazie al denaro facile e a basso costo. Gli interventi monetari e fiscali, da un canto, rendono meno pesante questo contesto deflazionistico, ma non riescono ad invertirlo; dall’altro, creano nuove incertezze che oggi pochi vogliono vedere: come riusciranno a finanziare il loro crescente indebitamento pubblico e privato Paesi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che hanno bisogno dei finanziamenti esteri? Questa fame di capitali quali conseguenze avrà sui loro tassi di interesse e sul tasso di cambio delle loro valute? Ed infine per questi Paesi non diventa sempre più evidente che la crisi sfocerà in un’alta inflazione? Nell’Europa continentale non appare invece già avviato un processo che conduce alla deflazione, come teme giustamente la nostra Banca Nazionale? Di questi problemi non si discute più nell’errata convinzione che con due o tre mosse di politica economica si possa uscire da questa crisi, che invece – e lo ripetiamo – è solo all’inizio.
 
Grazie Sharnin - stracondivisibile e lucido nell'analisi come sempre

sottolineo questo :

come riusciranno a finanziare il loro crescente indebitamento pubblico e privato Paesi, come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, che hanno bisogno dei finanziamenti esteri? Questa fame di capitali quali conseguenze avrà sui loro tassi di interesse e sul tasso di cambio delle loro valute? Ed infine per questi Paesi non diventa sempre più evidente che la crisi sfocerà in un’alta inflazione? Nell’Europa continentale non appare invece già avviato un processo che conduce alla deflazione, come teme giustamente la nostra Banca Nazionale? Di questi problemi non si discute più nell’errata convinzione che con due o tre mosse di politica economica si possa uscire da questa crisi, che invece – e lo ripetiamo – è solo all’inizio.
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto