Tuor - Una crisi che durerà a lungo

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Forumer storico
Previsioni sull'economia
Una crisi che durerà a lungo
Alfonso Tuor

Le Borse stanno cominciando a prendere atto del fatto che l’economia americana è forse già caduta in recessione o che è avviata a cadervi, che stessa sorte toccherà all’economia europea e che non saranno immuni dalla crisi neanche i paesi emergenti. È questa la chiave di lettura del «lunedì nero» delle Borse europee ed asiatiche. Paradossalmente la tardiva presa di coscienza è stata provocata dal pacchetto di misure di rilancio annunciato venerdì scorso dal presidente Bush e dall’annuncio, fatto al Congresso giovedì scorso da Ben Bernanke, che la Federal Reserve abbasserà drasticamente i tassi di interesse. Le Borse hanno immediatamente capito che sia Bush sia Bernanke sono paragonabili a «due pugili suonati» che hanno perso il controllo della situazione. Ora l’interrogativo non è più se vi sarà o non vi sarà recessione, ma che tipo di recessione si prospetta all’orizzonte e soprattutto quanto durerà.
La visione degli ottimisti è che la recessione sarà lieve e breve. Durerà al massimo due o tre trimestri e quindi già verso la fine dell’anno l’economia americana comincerà a riprendersi. Il loro ottimismo si fonda sull’effetto positivo del taglio del costo del denaro (con tassi guida statunitensi che saranno tagliati almeno fino al 2,5% dall’attuale livello di 4,25%) e sugli effetti positivi sui consumi delle famiglie del pacchetto di Bush che dovrebbe restituire fino a 1.600 dollari ad ogni famiglia americana. Queste misure sono simili a quelle che permisero nel 2001 agli Stati Uniti di uscire dalla recessione nel giro di otto mesi.
L’analogia con la recessione del 2001 si rivelerà molto probabilmente errata e i motivi sono sotto gli occhi di tutti. Allora la crisi fu provocata dal rialzo dei tassi di interesse attuato dalla Federal Reserve e soprattutto dallo scoppio della bolla formatasi nelle Borse. All’inizio del decennio, e questa è la prima importante differenza, non si era manifestato alcun surriscaldamento del mercato immobiliare. Anzi, proprio il crollo delle Borse e un costo del denaro a livelli storicamente minimi hanno fatto impennare negli anni successivi i prezzi degli immobili sia negli Stati Uniti sia in Europa. Ma c’è di più: il canale principale attraverso cui si è trasmessa all’economia reale la politica monetaria espansiva è stato sia negli Stati Uniti sia in Europa il settore dell’edilizia e il mercato immobiliare, che hanno vissuto anni di vero e proprio boom. I crediti di imposta varati allora da Bush vennero per lo più usati dalle famiglie americane per aumentare i consumi (come hanno dimostrato successive indagini scientifiche). I motivi di questo comportamento sono dovuti alla fiducia infusa dall’aumento dei prezzi delle loro case e al fatto che il pacchetto di sgravi si inseriva in una più ampia riforma che contemplava una riduzione duratura della pressione fiscale.
La seconda differenza riguarda il settore bancario, che è il canale attraverso cui gli impulsi di politica monetaria si trasmettono all’economia reale. Le difficoltà di alcuni attori del settore finanziario all’inizio di questo decennio non sono nemmeno lontanamente paragonabili alla crisi in cui versa attualmente il settore bancario. Questa crisi è per di più destinata ad accentuarsi per lo scoppio in questi giorni dell’enorme mercato dei Credit Default Swap (CDS, ossia assicurazioni sulle obbligazioni) e per l’aumento, già in corso, delle insolvenze dei titoli legati a carte di credito, prestiti per l’acquisto di automobili, prestiti per le operazioni dei fondi Private Equity, ecc. Dunque, il canale bancario non potrà erogare l’enorme quantità di crediti come fece invece all’inizio di questo decennio, poiché la crisi attuale è stata causata proprio dallo scoppio dell’enorme bolla del credito (di cui i mutui ipotecari subprime sono solo la punta dell’iceberg) formatasi negli ultimi anni. Dunque le analogie con la recessione del 2001 non paiono reggere.
Oggi i crediti di imposta verranno molto probabilmente usati dalle famiglie americane per ridurre i loro debiti (soprattutto quelli al consumo), poiché si è chiusa la possibilità, usata alla grande dagli americani, di aumentare il mutuo sulla casa per finanziare l’acquisto di un’auto, un vacanza e via dicendo. Inoltre questi soldi arriveranno nelle tasche delle famiglie americane quest’estate, se non vi saranno intoppi nella definizione e nell’approvazione del pacchetto da parte del Congresso. Nel frattempo la crisi si sarà ulteriormente aggravata. Ma neppure i tagli dei tassi rischiano di dare i risultati desiderati. Le famiglie sono infatti incitate dal crollo del prezzo degli immobili e dall’aumento della disoccupazione a risanare i loro bilanci familiari. D’altro canto non vi è alcun motivo per cui le imprese aumentino i loro investimenti in un periodo in cui prevedono un calo della domanda dei loro beni o dei loro servizi.
Per questi motivi, come ha detto il noto finanziere americano Georges Soros, questa rischia di rivelarsi come la crisi economica più grave di questo dopoguerra. E l’esperienza storica cui bisogna guardare è il Giappone degli anni Novanta, quando coincisero crollo del mercato immobiliare e borsistico e forte crisi del sistema bancario. E se si guarda al Giappone, non si può non constatare che la più grande economia asiatica, dotata di una struttura industriale fortemente competitiva, non è ancora oggi riuscita ad uscire da quella crisi. Vi è però una differenza rilevante: il Giappone, paese di risparmiatori, non ha potuto politicamente usare l’arma dell’inflazione; gli Stati Uniti, paese indebitato e con famiglie indebitate, sta usando l’arma del dollaro e potrebbe essere tentato di usare anche quella dell’inflazione per uscire da una crisi che in ogni caso si prospetta molto lunga.

21/01/2008 23:12
 

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