La ricetta Schröder e l'Europa
di TITO TETTAMANTI - Siamo ormai al summit numero 20 dall’inizio della crisi greca e del debito pubblico. Summit sono chiamate quelle riunioni dei capi di Stato delle 27 nazioni dell’UE, che cercano di risolvere ogni volta nuove emergenze e si protraggono usualmente tutta la notte sino alle prime ore del mattino. Purtroppo le decisioni, annunciate spesso con grande enfasi, e le soluzioni individuate nel volgere di qualche settimana si afflosciano, i mercati reagiscono negativamente e ci si ritrova al punto di partenza.
Si torna a cercare disperatamente le strade ed i modi per la crescita, vale a dire per il rilancio dell’economia nei Paesi UE, unica possibilità realistica per riuscire, pur in tempi lunghi, a ripagare l’orrendo debito pubblico accumulatosi negli scorsi anni.
I politici, si sa, hanno la memoria corta, e purtroppo spesso anche gli elettori. Non fosse così, invece di arrovellarsi e cercare la quadratura del cerchio durante le notti insonni dei summit, i partecipanti penserebbero a quanto fatto da un capo di governo che li ha preceduti: Gerhard Schröder, socialdemocratico cancelliere germanico dal 1998 al 2005. Lui stesso lo ricordava in una lunga intervista degli inizi di luglio nel Wall Street Journal. Nel 1998, quando fu eletto,
trovò una Germania con un tasso di disoccupazione dell’11% (quale quello dell’UE di oggi) e con un’economia stagnante ed in preoccupante perdita di velocità, con industrie che per mancanza di competitività erano obbligate a delocalizzare. Lanciò durante il suo governo quella che fu denominata «Agenda 2010», il cui scopo era di modernizzare la Germania e rilanciare l’economia del Paese. Con molto coraggio, specie per un socialista, e nonostante l’opposizione e le feroci critiche da una parte del suo partito, ridusse l’aliquota massima di imposta sul reddito delle persone fisiche dal 48,5% al 42% e le aliquote minime per i redditi più modesti dal 19,9% al 15%. L’aliquota per le imposte sugli utili delle società fu ridotta dal 25% al 19%.
Superando molti ostacoli riuscì a rendere un po’ più fluido ed efficiente il mercato del lavoro, convinto (e ha avuto ragione) che una maggiore mobilità avrebbe favorito le assunzioni.
Prese misure anche severe verso coloro che preferivano la disoccupazione di lungo termine al reinserimento, sia pur con qualche sacrificio, nel mercato del lavoro.
Riassumendo, in certi campi – meno nella spesa pubblica – attuò quelle riforme di struttura che sono la strada inevitabile per il rilancio economico e che quasi tutti i governi dell’UE per ragioni elettorali hanno paura di intraprendere.
Oggi, in piena crisi, la Germania grazie alla cura di Schröder non è più l’economia ammalata ma è quella trascinante, ha il miglior tasso di crescita rispetto alle altre nazioni ed il minor tasso di disoccupazione, 6,5% contro l’11% di media nell’UE. Le obbligazioni di Stato (Bund) sono ricercate dagli investitori internazionali e pagano un interesse annuo dell’1,25% per l’emissione decennale, raccogliendo quindi soldi a condizioni (Italia e Spagna pagano tra il 6 ed il 7%) estremamente vantaggiose. In una parola, la Germania è tornata ad essere la locomotiva dell’UE.
Ma perché governanti e politici dinanzi a simile esempio non si affrettano ad imitare il socialdemocratico Schröder? Ovviamente per non mettere a rischio la loro rielezione, anche a prezzo di continuare a fare le cose sbagliate, aggravare la situazione, continuare ad illudere i cittadini.
Gli elettori sono spesso ingrati e talvolta preferiscono l’imbonitore, l’illusionista, quello che dà la colpa agli altri (magari al mercato, ai ricchi, agli evasori che hanno pure responsabilità, che non possono però servire da alibi) ad un uomo di Stato che non si lascia intimorire
e privilegia competenza e onestà intellettuale rispetto ai calcoli di bassa cucina elettorale. Schröder con la sua politica che ha risollevato la Germania, si è giocato la rielezione ma ha guadagnato una menzione nel libro della storia del suo Paese.