Vento di terra

Fleursdumal

फूल की बुराई
Vento di terra" di Vincenzo Marra con attori non professionisti
Film sulle scelte difficili e la battaglia per la vita di un ragazzo napoletano
Storia di Enzo, contro la povertà
e la morte da uranio impoverito
La decisione di andare militare in Kosovo per battere la fame
Il ritorno e la scoperta della malattia. Un'opera molto applaudita
dal nostro inviato RITA CELI



La locandina di "Vento di terra"

VENEZIA - Il pubblico della Mostra, sempre severo e spietato con i film italiani, ha salutato con un lungo applauso la proiezione di "Vento di terra" di Vincenzo Marra, presentato nella sezione Orizzonti. Il regista napoletano, per la terza volta a Venezia, ha confermato il successo conquistato al suo debutto, nel 2001, con "Tornando a casa", premiato come miglior opera prima alla Settimana della critica. Dopo il dramma di un gruppo di pescatori siciliani, Marra ha scelto questa volta di raccontare la storia di Enzo, un ragazzo di 18 anni che vive con la sua famiglia nel quartiere di Secondigliano a Napoli, interpretato con grande intensità da Vincenzo Pacilli, attore non professionista come gran parte del cast composto da Vincenza Modica, Giovanni Ribera, Edoardo Melone e Francesco Giuffrida (volto noto al pubblico televisivo per aver curiosamente interpretato lo stesso ruolo nella fiction di Canale 5 "Carabinieri").

Dopo l'improvvisa morte del padre, per aiutare la mamma e la sorella, sotto la minaccia dallo sfratto, Enzo deve fare scelte decisive. Non è un ragazzo spensierato come i suoi coetanei, il lavoro manca e per evitare di prendere una brutta piega, sceglie la carriera militare. "Il sottotesto della storia che racconto in questo film potrebbe essere: o la divisa o la malavita" spiega Marra. "Sono le uniche due alternative alla fame di molti ragazzi della periferia napoletana, come delle periferie di tante metropoli di tutto il mondo".

"Questa storia nasce dalla riflessione sulle tante persone che di fronte a un evento drammatico, come lo è la morte del padre per Enzo, si ritrovano senza paracadute, senza coperture economiche e sociali, senza mezzi per sopravvivere. Per molti di loro, a Napoli come nei ghetti neri delle metropoli americane, l'unica vera alternativa è partire da soldato in qualche missione ben pagata", afferma il regista.

Le circostanze costringono infatti il ragazzo a una scelta estrema, e parte per il Kosovo. Al suo ritorno, quando finalmente tutto sembra andare per il verso giusto, scopre di essere ammalato.

"Io prima scrivo la storia, poi vado a verificare, perché non voglio raccontare stupidaggini. E in questo caso era tutto vero. Non sono affatto pessimista" prosegue l'autore. "La realtà che viviamo oggi è mille volte peggio di quella che si trova ad affrontare Enzo. Nel mio film è tutto molto realistico. Non mi sono inventato niente, e non poteva concludersi nel classico lieto fine, non è questa la realtà".

La realtà è che una corrispondenza tra le missioni all'estero e la malattia "è ancora negata dalle autorità militari", sottolinea Marra, che ha voluto inserire nel film un avvocato che sta raccogliendo prove per conto di altri soldati che, come Enzo, si sospetta si siano ammalati per l'uranio impoverito. Un personaggio che costringe ancora una volta il protagonista a reagire. "Il finale lascia molte speranze” conclude l%u2019autore, "non soltanto perché la sua famiglia ha trovato una casa, ma anche perché quell'avvocato rappresenta una società civile che non si arrende".
 
Le morti silenziose dell'uranio
Il nuovo fronte adesso è l'Iraq
di Stefano Citati - «La Repubblica» 26 luglio 2004

ROMA - Ci sono militari italiani che muoiono nel silenzio. Sono vittime di malattie di guerra. "Sindrome del Golfo", "Sindrome dei Balcani", adesso, forse, una "nuova sindrome del Golfo". Due decessi nell'ultimo mese, l'ultimo il 13 luglio. All'ospedale militare del Celio, a Roma, da alcune settimane sarebbero ricoverati in un padiglione speciale una ventina di militari che avrebbero interrotto la missione in Iraq per l'insorgere di patologie legate all'uranio impoverito. Le associazioni di tutela dei militari hanno inoltre una lunga lista di giovani soldati che, in tutta Italia e a loro spese, sono in cura per varie forme tumorali.
Da quando lo scandalo dell'uranio impoverito è scoppiato, nell'inverno 2000-2001, sarebbero ormai una trentina le morti riconducibili all'esposizione delle polveri di quello che gli americani chiamano dal '91 "metallo del disonore". E sarebbero ormai quasi 300 i militari con malattie "sospette". È per cercare d'arginare questa marea montante che la Difesa sta per far partire un progetto che dovrebbe mettere la parola fine alla diatriba sul pericolosità dell'uranio impoverito. E che secondo le associazioni di tutela dei militari rischia invece di seppellire definitivamente la verità.

Le morti dei militari colpiti da queste sindromi tumorali si assomigliano tutte, ma non sono state finora riconosciute ufficialmente. Questi mali portano alla morte, ma la morte non porta al riconoscimento della causa di servizio, a un risarcimento per l'impegno nelle missioni di pace che in questo decennio - dalla Somalia in poi - hanno coinvolto decine di migliaia di militari italiani.
Non è bastata la Commissione Mandelli, istituita più di 3 anni fa e presieduta dall'ematologo romano, per stabilire un nesso certo tra D. U. - depleted uranium, l'uranio impoverito di cui sono composti i proiettili, e le corazze, usate prevalentemente dagli americani. Ma la commissione non ha neanche potuto escludere del tutto una relazione tra malattie ed esposizioni alle polveri: tanto è vero che ha istituito un vasto programma di esami per tutti quei militari che sono stati (e sono tutt'ora) impegnati nel teatro balcanico.

Oltre 40mila persone che ogni 4 mesi per almeno 3 anni - e almeno una volta l'anno nei due anni successivi - si sarebbero dovute sottoporre a controlli che ne avrebbero dovuto confermare il buon stato di salute nel tempo. Questi esami periodici non si stanno invece effettuando con la regolarità e nel numero stabilito. Secondo fonti mediche delle Forze armate gli ospedali militari - concentrati soprattutto nel nord - non sono in grado di svolgere tutti gli screening: manca il personale e manca la possibilità di tenere sotto controllo una così vasta popolazione presa in esame.
La percentuale di test svolti si attesterebbe attorno al 50 per cento. Eppure era stata la stessa commissione Mandelli, sia pur criticata per i metodi statistici stabiliti per le rilevazioni dei tassi di patologie tra i militari, ad affermare che un numero percentualmente elevato rispetto alla media di linfomi Hodgkins (forme tumorali degli apparati ghiandolari) era stato riscontrato nei gruppi prese in esame.
Dopo tre anni di procedure non rispettate, con esami non compiuti o compiuti in ritardo, senza tener conto delle tabelle, adesso i vertici militari avrebbero deciso di trasferire quel che resta del programma di controlli dagli ospedali militari a quelli civili. Così facendo i costi degli esami (che variano da pochi euro a qualche decina), si moltiplicheranno - per un totale di diverse decine di milioni l'anno - così come si innalzeranno i tempi di attesa per i risultati, visto che le strutture pubbliche difficilmente riusciranno a rispettare i tempi prescritti. In tal modo, dicono alcuni esperti, l'efficacia dell'intera procedura verrà vanificato. L'unica soluzione, si sottolinea, sarebbe quella di "riunire tutti i malati in un unico ospedale e sottoporli a esami continui e approfonditi".

Ed è forse per ovviare all'impossibilità d'ottemperare alle raccomandazioni della commissione istituita nel 2001 che il governo ha lanciato un nuovo progetto: Signum. Acronimo di "studio di impatto genotossico nelle unità militari". Finanziato attraverso la legge del 12 marzo 2004, n° 68 con l'articolo 13-ter (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 18 marzo) che autorizza "la spesa di 1.175.330 per il 2004 (...) per lo studio d'accertamento dei livelli di uranio e di altri elementi potenzialmente tossici".
A illustrare le modalità e i tempi è stato poi il generale Michele Donvito direttore generale della sanità militare durante l'audizione alla Camera del 29 giugno. Su mille militari, scelti su base volontaria, verranno effettuati esami prima dell'invio in Iraq, considerato "ambiente significativamente degradato" (in alternativa vi sarebbero i Balcani); screening che verranno ripetuti sui soggetti, tutti dotati degli equipaggiamenti di protezione da agenti nucleari, chimici e batteriologici (Nbc), nei teatri d'operazione e al ritorno dei volontari in patria.
Prelievi di urine, sangue e capelli che dovrebbero permettere ai diversi laboratori militari e civili coinvolti nel programma un'osservazione completa di eventuali "elementi potenzialmente tossici" (uranio, arsenico, cadmio, nichel - questi ultimi metalli contenuti nelle batterie di armamenti e mezzi, ndr), ma forse anche i "cocktail" di vaccini iniettati prima delle missioni e che qualcuno considera come possibili responsabili dell'insorgere di patologie tumorali.

Signum dovrebbe partire alla metà d'agosto e darebbe i primi risultati "entro 18 mesi". Dovrebbe durare 10 anni, non sarebbe focalizzato solo sull'uranio ma anche sugli altri agenti ambientali potenzialmente nocivi, e permetterebbe di porre una "pietra miliare per tutto il consesso scientifico internazionale".
Per le associazioni di tutela dei militari Signum porrebbe invece una "pietra tombale" sulle possibilità d'accertare la verità sull'uranio e sulle altre possibili cause delle malattie che stanno uccidendo tanti militari. I presupposti della ricerca vengono considerati sballati, al punto da rendere inefficace, se non falsato, ogni risultato. Non è possibile considerare scientificamente rilevante - fanno osservare gli esponenti delle associazioni - un gruppo di militari dotato d'ogni protezione, mentre si fa rilevare che in passato (e la pratica durerebbe ancora in Iraq) il personale militare non ha praticamente mai seguito le misure di sicurezza stabilite dalla Difesa a partire dal 22 novembre del '99 (gli americani le hanno adottate dal 14 ottobre del '93).

La sanità militare - che ha sempre ribadito che non vi è alcun nesso tra esposizione all'uranio e le patologie della "Sindrome del Golfo/Balcani" - è certa che grazie a Signum potrà confermare definitivamente le sue convinzioni. Ma allora, si chiedono diversi parlamentari e anche dei militari, perché lo studio viene condotto solo su soggetti dotati dell'equipaggiamento Nbc? E perché, nella scheda d'indagine che i volontari compileranno vi è un punto su "interruzioni spontanee di gravidanza, patologie dei nati", che sembra confermare i consigli che da tempo vengono rivolti a chi parte per certi teatri di guerra: astenersi dal procreare nei successivi 3 anni dal rientro dalla missione?
Perché in tempi di ristrettezze economiche, alla vigilia della riforma radicale d'un esercito di soli professionisti, che dovrebbe esser capace di offrire prospettive attraenti, viene deciso d'investire una cifra ragguardevole (se la si moltiplica per i 10 anni di durata del progetto) invece di destinare, come è stato chiesto da alcuni parlamentari, a istituire un fondo che garantisca le cause di servizio a tutti quei militari che s'ammalano nello "svolgimento del loro dovere"?
È quello che chiedono alcuni dei militari che soffrono di patologie tutte simili, quasi sempre tumorali, e che nelle loro case o nei letti di ospedali, accuditi da familiari o da commilitoni, impegnati in cure lunghe e costosissime, pronti a divenire cavie della ricerca scientifica, sperano gli venga riconosciuto di star morendo per un male che li ha colpiti durante il servizio, mentre pattugliavano un area contaminata, mentre pulivano armi o mezzi con solventi chimici, mentre conducevano test con armi in poligoni militari (in Sardegna, ma non solo), dove negli ultimi decenni sarebbero stati provati ordigni anche per conto degli altri paesi Nato (dunque anche americani).

Alcuni dei malati si chiedono perché altri, nello loro stesse condizioni non parlano; ma si rispondono ricordando il riserbo e la ritrosia, dovuti allo spirito di corpo, al legame con le istituzioni, forte come - se non più - della paura, che porta a tacere e a tenere presente che anche se si fa parte della "forza assente", ovvero si è stati messi in malattia ma non congedati, si sottostà comunque alle regole dell'ordinamento militare.
 

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