Offerta di Swisscom per l'italiana Fastweb
Questa volta Berna dice sì
Mario Tettamanti
I «Santi in Paradiso» di Carsten Schloter sono più potenti di quelli di Jens Alder? Così sembrerebbe, dopo la notizia di ieri della volontà di Swisscom di acquistare l’italiana Fastweb e, soprattutto, dopo l’incondizionata «benedizione» da parte del Consiglio federale che ha fatto sapere a chiare lettere che «l’iniziativa di Swisscom è importante sul piano strategico, offre nuove possibilità di sviluppo ed è conforme agli obiettivi strategici dell’azienda». Ricordiamo a questo proposito che alla fine dello scorso anno il coraggioso tentativo di Swisscom di acquistare la società telefonica irlandese Eircom era terminato in malomodo con le dimissioni forzate del CEO Jens Alder e addirittura con l’azzardato tentativo del Consiglio federale di privatizzare l’ex monopolio svizzero della telefonia. A nemmeno quattro mesi di distanza, Swisscom, questa volta addirittura con la benedizione di Berna, ha deciso di mettere sul tavolo 6 miliardi di franchi per la Fastweb. Per Swisscom, la decisione presa ieri non rappresenta niente di nuovo, anzi, è la riprova che i nuovi dirigenti dell’azienda telefonica sono (come lo erano già i vecchi) fortemente intenzionati a proseguire nella strategia dell’espansione all’estero nel tentativo di diversificare e di cercare gli utili che presto mancheranno sul mercato interno. La scelta dell’Italia e di Fastweb è dunque puramente strategica (i dirigenti di Swisscom hanno intravisto buone potenzialità a livello di Paese, di settore di mercato e di azienda) e probabilmente opportunistica: Fastweb rappresenta una preda potenzialmente valida in un mercato europeo ormai saturo di occasioni interessanti. Fin dal suo ingresso sul mercato all’indomani della liberalizzazione telefonia Fastweb (prima e.Biscom) ha sviluppato una nuova generazione di reti di trasmissione estese alle principali città ed aree metropolitane italiane. Sono in parecchi a sostenere che Fastweb (focalizzata nello sviluppo e nella fornitura di telecomunicazione a banda larga in Italia), potrà presto capitalizzare gli investimenti intrapresi nella cosiddetta Triple Play che realizza la convergenza tra telefono, internet e televisione.
Più interessante da analizzare è invece l’atteggiamento del Consiglio federale che, in questa occasione, si è detto persino convinto della bontà strategica dell’operazione italiana. Come mai il Consiglio federale è diventato improvvisamente così accondiscendente con lo shopping estero di Swisscom? La risposta a questa domanda presenta alcune varianti: potrebbe essere che il Consiglio federale abbia ritenuto strategicamente più valido il progetto italiano che non quello irlandese. Può darsi, ma sarebbe alquanto strano perché l’Esecutivo non può inventarsi (salvo il fatto di avere nel cassetto consulenti di provata capacità), profondo conoscitore del mercato telefonico europeo e dunque in grado in grado in poco tempo di bocciare un progetto e di avallarne un altro in modo così categorico. Un’altra lettura della benedizione del Consiglio federale alla «missione italiana», potrebbe trovarsi nelle cifre che Swisscom pubblicherà oggi sull’andamento degli affari nel corso del 2006. Può darsi che questa volta le cifre siano particolarmente significative tanto da convincere finalmente l’Esecutivo della necessità di tentare la strada estera. Una terza lettura è quella che ieri hanno abbracciato all’unisono i Sindacati secondo i quali Berna ha semplicemente deciso di «lasciare volare da solo» l’ex monopolio della telefonia svizzera, dimostrando chiaramente che «la crescita strategica di Swisscom è possibile anche con una maggioranza detenuta dalla Confederazione».
C’è però anche una quarta lettura alla vicenda. Una lettura forse più azzardata, ma di cui bisogna tenere conto visto il repentino cambio di opinione dell’Esecutivo: il Consiglio federale dopo aver abbassato in tempi brevi la sua partecipazione in Swisscom dal 64 al 54% ha deciso che la strategia estera (sbagliata o giusta che sia) potrebbe aiutare il processo di privatizzazione che fa fatica a passare dalla porta del Parlamento ma che potrebbe invece riuscire attraverso la finestra del mercato.
CdT 12/03/2007