L’auto tedesca e il lusso europeo tirano il freno anche sui mercati
di Fabio Pavesi12 Agosto 2015
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Forse la reazione dei mercati europei,
con la caduta dei settori più esposti alla ex locomotiva cinese, sarà parsa eccessiva e potrebbe rientrare nei prossimi giorni. Ma di sicuro è un campanello d’allarme su un eventale drastico cambio di prospettiva per i prossimi mesi. L’arma della svalutazione competitiva dello Yuan è stata messa in campo per la prima volta dopo anni e, pur in misura contenuta, dice che Pechino non è più disposta a vedere crolli dell’export come quello fatto registrare a luglio con una flessione di oltre l’8%.
Cala l’export, ma con esso anche l’import in egual misura, segno che il corpaccione della seconda economia mondiale è in fase di stallo se non di forte raffreddamento. Sono mesi che molti osservatori mettono in guardia su una frenata di Pechino assai più pronunciata di quanto si pensi. Certo i dati ufficiali dicono che il Pil si mantiene a un passo di marcia al 7% annuo e le stime collocano la crescita futura tra il 6 e il 7%, ma gli scricchiolìì sono numerosi. Dalla caduta della produzione industriale scesa dal 9% di tasso di crescita annua di fine 2014 all’1,5% attuale; alla violenta contrazione dell’immobiliare che decresce a tassi negativi del 10% e agli ultimi dati sul crollo di import ed export. Ieri si sono aggiunti i pessimi dati sul mercato dell’auto che è sceso del 2,5% a luglio, il peggior dato da febbraio 2014. E non è un caso che i produttori di auto, soprattutto tedeschi, siano stati i principali bersagli delle vendite sui listini.
Perdite tra il 3 e il 5% hanno visto affondare Daimler; Bmw; Porsche e Volkswagen. Non a caso, dato che i gestori sanno bene quanto l’auto tedesca sia esposta al paese della Grande Muraglia. La sola Volkswagen vanta in Cina il 9% dei suoi ricavi, ma vi produce il 22% dell’utile operativo e il 45% dell’utile pre-tasse. Anche il lusso europeo è stata la vittima sacrificale con cadute tra il 4 e il 6% di titoli come Lvmh; Richemont; Swatch; Burberry e che hanno visto in Italia flettere di oltre il 5% Ferragamo e del 3% Tod’s. Altre vittime nei prossimi giorni potrebbero essere i produttori di beni d’investimento di cui il listino di Francoforte è ricco. È stata proprio la Germania, il paese europeo più esposto nel commercio con la Cina, con il suo listino ad accusare il colpo peggiore. Molti gestori pensano a un effetto passeggero. In fondo le cadute di ieri avvengono su titoli che avevano molto corso in passato. E la stessa Francoforte si era riavvicinata, chiusa (per ora) la crisi greca, ai suoi massimi storici.
Occasioni per prese di profitto? Può essere. Ma gli investitori dovrebbero fare attenzione. La mossa di svalutazione competitiva della valuta cinese e un’ ulteriore frenata dell’economia potrebbero danneggiare seriamente ricavi e profitti dei grandi esportatori europei verso Pechino. In prima fila l’auto, il lusso, ma anche gli industriali. Si rischia insomma di veder cambiare paradigma. In tutti gli anni della crisi finanziaria e della lunga stagnazione dell’eurozona, la Borsa ha puntato molto su chi aveva forti quote di mercato ed export verso il Dragone. Era un atout vincente che sopperiva alla stasi dei consumi in Europa e teneva alta la redditività dei titoli. Il rialzo di titoli come Bmw, Volkswagen e altri deve molto al traino cinese. Ora quell’esposizione così accentuata rischia di tramutarsi in un peso. Si vedrà.
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