1987: Crash del Dow Jones

Son riuscito a ritrovare alcuni articoli de LaRepubblica usciti sull'argomento in quei giorni :

la Repubblica - Domenica, 18 ottobre 1987 - pagina 55
di ENRICO FRANCESCHINI
Dopo il crollo di venerdì la Borsa si prepara a riaprire i battenti. Baker: "Niente panico"
LA PAURA DI WALL STREET

Gli esperti temono la fuga dei risparmiatori

DOPO il venerdì nero più brutto della sua storia, Wall Street adesso ha paura di un lunedì nero anche più terribile: gli analisti temono che milioni di piccoli risparmiatori, titolari di miliardi di dollari di investimenti in fondi comuni, si lascino contagiare dal panico durante il fine settimana, e che domani, alla riapertura dei mercati, telefonino ai loro agenti di borsa, ai manager dei loro portafogli, con l' ordine di vendere. Il vicepresidente di una grossa banca d' investimenti riassume questa grande paura con una tipica espressione gergale: I smell blood on the street, sento odore di sangue in strada: strada che, non c' è bisogno di specificare, è ovviamente Wall Street. Nella sola giornata di venerdì, la borsa newyorchese ha perso quota per un valore totale di 145 miliardi di dollari (circa 200 mila miliardi di lire), secondo l' indice Wilshire, che misura l' andamento di oltre 5000 titoli. E dallo scorso 25 agosto, quando l' indicatore Dow Jones (che misura le 30 blue-chips più forti del mercato) toccò il suo apice, la borsa ha perso 486 miliardi di dollari, pari a 650 mila miliardi di lire. La perdita di 108 punti registrata venerdì (la più alta in assoluto per una singola giornata) equivale in percentuale ad un declino del 4,6 per cento, il sesto più grosso del dopoguerra. Per l' intera settimana, il calo è anche più vistoso, 235 punti, pari al 9,49 per cento, che segna un altro record negativo, il maggiore ribasso settimanale dal 1945 ad oggi. Uno sbalzo che si avvicina, per dimensioni e gravità, a quello del 12,82 per cento di un altro lunedì nero, nell' ottobre 1929, quando il crollo di Wall Street aprì la Grande Depressione. Non sempre la caduta della borsa significa una crisi economica (anche se spesso la anticipa di alcuni mesi); ma non c' è dubbio che il terremoto di questi giorni ha dimensioni preoccupanti. La borsa di New York si era abituata da un paio di anni a sussulti di 40 o 50 punti, in parte favoriti da programmi di compravendita computerizzati, che venerdì hanno contribuito a portare il volume delle azioni scambiate ad un nuovo massimo: 338 milioni. Molti autorevoli osservatori ritengono però che l' economia Usa sia oggi infinitamente più sofisticata e stabile di mezzo secolo or sono, e che una crisi non sarà né imminente né del livello della Grande Depressione degli anni 30. L' economia americana rimane in stato di discreta salute; i profitti societari sono forti, l' inflazione cresce ma a ritmo modesto. E nonostante la spettacolare caduta degli ultimi due mesi, bisogna ricordare che il Dow cominciò il 1987 a quota 1900, per cui la chiusura di venerdì rappresenta pur sempre un aumento del 18 per cento su base annua. In questi cinque anni di ascesa, l' indice ha guadagnato il 250 per cento. Non bisogna farsi prendere dal panico ha dichiarato in un' intervista televisiva il ministro del Tesoro James Baker, è un grosso calo, certo, ma da un livello estremamente alto. Gli esperti predicevano da tempo una correzione. Se sarà solo una correzione, una pausa prima che il Toro riprenda la sua corsa, o se sia l' avvento del pessimismo, dell' Orso, a Wall Street, è uno sviluppo che dipende in parte da ciò che la Riserva Federale deciderà nei prossimi giorni. Gira con insistenza la voce che la banca centrale Usa si prepara ad aumentare di nuovo il tasso di sconto, scatenando un' ascesa dei tassi d' interesse che influirebbe negativamente sulla borsa. E intanto un' altra fonte dell' amministrazione Reagan ha smentito al Washington Post che gli Usa intendano forzare ad ogni costo un ulteriore calo del dollaro, per risollevare il deficit commerciale, ma ha anche avvertito minacciosamente la Germania Federale che gli Stati Uniti non intendono seguire Bonn sulla strada della deflazione. L' accordo sull' equilibrio valutario raggiunto dalle potenze occidentali al palazzo del Louvre rischia così di saltare, con una nuova, imprevedibile discesa della divisa Usa.
 
la Repubblica - Martedì, 20 ottobre 1987 - pagina 2
di MASSIMO FABBRI
Cinque ore di sgomento a Milano con le orecchie tese oltre Atlantico e alle altre principali piazze europee
IN ITALIA "BRUCIATI" BEN 12 MILA MILIARDI

La paura di Wall Street si ripercuote in Piazza degli Affari e il Mib scende del 6,26 per cento, il ribasso più forte dal maggio dell' anno scorso quando subì l' effetto tasse

MILANO Cinque ore di paure e di sgomento, l' orecchio teso al dramma che si consumava nelle principali piazze europee e alla fine un tracollo sistematico del 6,26 per cento che ha tranciato via, di colpo, alle nostre società quotate quasi dodicimila miliardi di valore di mercato. Questo l' effetto dello sconvolgente venerdì nero di Wall Street sulla nostra Borsa che, per quanto atteso, è stato più rovinoso del previsto. Per trovare una giornata analoga bisogna risalire al maggio dello scorso anno quando si verificò una perdita del 9,82 per cento per il forte timore che venisse introdotta con decreto la tassazione sui guadagni di Borsa. Un senso d' impotenza Ma nel crollo di ieri mattina c' è ben di più che il timore di un provvedimento fiscale. C' era in tutti quanti gli operatori un senso di impotenza di fronte al flusso ininterrotto e indiscriminato di vendite. Come l' avvertimento di un pericolo che viene da lontano e del quale non si conoscono i contorni e le conseguenze. Una Borsa assediata da ribassi quasi sempre definiti storici: c' è Londra che perde il 12 per cento, Zurigo il 10 con punte fino al 30 per cento, Parigi il 9 per cento come quando ci fu l' avvento delle sinistre al potere, Francoforte il 7,6 per cento. Così subentra il panico. Si vende più del dovuto. I ribassisti incalzano. Corre voce che alla Borsa di Parigi siano state sospese le contrattazioni, che quella di Bruxelles sia stata chiusa addirittura. I gestori dei fondi azzardano qualche acquisto. Ma le vendite hanno il sopravvento. Le Fiat, sempre le più vulnerabili in occasioni di questo genere, perdono inizialmente il 4,6 per cento ma poi scendono a 10.750 lire rispetto alle 11.445 della chiusura. Le Montedison subiscono la stessa sorte. Riescono a chiudere a 2.130 lire con una perdita del 3 per cento ma poi resistono a stento a 2.030 lire. In caduta libera la maggior parte degli altri valori guida. Le Olivetti subiscono una decurtazione del 6,68 per cento chiudendo a 10.520 lire ma erano state scambiate anche a 10.350 lire. La Generali è crollata del 5,77 per cento per finire poi nel dopolistino ad un minimo di 100.700 lire rispetto ad un prezzo di chiusura di 102 mila lire. Non parliamo degli altri assicurativi che per essere stati più blanditi dalla speculazione hanno ricevuto delle autentiche mazzate. Basta ricordare che Fondiaria, Sai, Ras, Previdente e Unipol hanno perso dal 10 all' 11,6 per cento. Mediobanca e le tre Bin che avevano sostenuto il mercato in relazione al progetto di privatizzazione dell' istituto di via Filodrammatici hanno subito perdite dal 6 all' 8,6 per cento. Mediobanca, che nei momenti di grande tensione speculativa era volata l' altro giorno fino a 273 mila lire, veniva offerta ieri senza ritegno a 238 mila lire. E gli altri titoli che per una ragione o per l' altra erano i più seguiti non hanno potuto sottrarsi all' ondata di panico. L' operazione Montedison La Montefibre ha così lasciato sul terreno oltre il 10 per cento, la Me.Ta. quasi il 10, la Sme l' 11 per cento ma nel dopo-Borsa risaliva a 1900 lire rispetto alle 1850 della chiusura. Anche i titoli del gruppo Ferruzzi per i quali sembrava giunto il momento della rivincita sono stati travolti dall' effetto Wall Street. Agricola e Silos Genova hanno perduto rispettivamente il 4 e il 5,7 per cento. Ma qui il discorso si allarga. Il pensiero va immediatamente alla Montedison che ora oscilla sulle 2000 lire e che si trova alla vigilia di un aumento del capitale a 1900 lire, va al prezzo di carico cui la Silos detiene la partecipazione Montedison (certamente superiore alle 2600 lire), va alle difficoltà che il gruppo di Ravenna potrà incontrare per le successive operazioni se i mercati azionari internazionali dovessero invertire bruscamente la tendenza e i tassi di interesse tornare a salire. E i fondi di investimento? Il mese magico di recupero che si è chiuso così drammaticamente ieri mattina stava rasserenando il timoroso mondo dei risparmiatori e pertanto c' era la probabilità che i riscatti subissero un sensibile rallentamento. Ora è difficile fare previsioni, ma sembra molto probabile che si ritorni al punto di prima. Diciamolo francamente: sui tre fronti operativi dei fondi i gestori hanno accumulato in questi mesi solo sconfitte. L' ultima in ordine di tempo è avvenuta sui mercati internazionali e proprio quando questi stavano toccando i massimi e ora stanno tutti vacillando in seguito al gran terremoto che ha come epicentro Wall Street. Ma i fondi, come vanno ripetendo i loro paladini, non vanno visti come risultato nel breve periodo, ma nel medio-lungo. E' vero, alla gente però non si può togliere il diritto all' emotività che gli stessi paladini confondono con la immaturità. Tutto questo per dire che forse è venuto il momento in cui i fondi possono distinguersi per professionalità e in cui i sottoscrittori possono scegliere il migliore. Lo scenario che abbiamo davanti con i crolli delle Borse più o meno storici non ha forse precedenti. Attendere gli eventi Raramente si è verificato un ribasso consistente dei mercati azionari indistintamente in tutto il mondo. Dando sfogo all' immaginario stamattina tutti i giornali del mondo occidentale avranno grosso modo gli stessi drammatici titoli. E per i risparmiatori non vi sarà, al momento, altra scelta che attendere gli eventi. Anche il presidente della Consob Franco Piga, è dello stesso parere: A me pare che il fenomeno investa tutte le Borse del mondo. Aspettiamo comunque di vedere i fatti. BUONO! DARE IN PAGINA
 
la Repubblica - Martedì, 20 ottobre 1987 - pagina 3
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
L' indice Dow Jones ha perso in un giorno 508 punti, pari al 22,6 per cento. Si tratta del tonfo numerico e percentuale più alto della storia, di gran lunga superiore a quello che si verificò nell' ottobre ' 29. Un' atmosfera da manicomio. I deficit Usa spaventano la gente
IL GRANDE TRACOLLO DI WALL STREET

Una valanga di vendite si abbatte sulla piazza di New York

NEW YORK La Borsa di Wall Street ha sofferto il crollo numerico peggiore della sua storia, perdendo in un giorno 508 punti, pari al 22,5 per cento, un calo quasi doppio di quel 12,8 per cento del 29 ottobre 1929 che avviò la Grande Depressione. L' indice dei 30 blue-chips, i titoli più solidi del mercato, si ritrova così sotto il fatidico muro dei duemila punti: era giunto al suo apice il 25 agosto scorso, con quota 2722, ieri è precipitato a 1738, scendendo di mille punti in meno di due mesi. Ieri ha sfondato anche il numero di azioni scambiate, 6O4 milioni (388 il record precedente, stabilito venerdì scorso). Degli oltre 1500 titoli in listino, solo qualche decina ha guadagnato valore. E' stata una giornata sconvolgente per gli addetti ai lavori, con il Dow Jones che perdeva terreno a ondate di cento punti per volta, in rapida progressione. In tutta la città, la gente si è affollata davanti ai nastri luminosi che trasmettono le quotazioni di Borsa, dentro gli sportellidelle maggiori banche. Novanta minuti dopo l' apertura dei mercati, il Dow era già sotto di 200 punti, il doppio dei 108 punti persi venerdì, record precedente. Ma David Ruder, presidente della Sec (Securities and Exchange Commission, l' organismo che controlla l' attività finanziaria) ha deciso di non chiudere la Borsa, pur dichiarando in un comunicato che tale possibilità è stata discussa durante la giornata, come mezzo per restaurare l' ordine e frenare la caduta libera del Dow, che ha trascinato in basso anche tutti gli altri indici azionari più importanti. Ieri sera, John Phelan, presidente della New York Stock Exchange, ha detto in una conferenza stampa alla tivù che egli non prevede per stamane una chiusura precauzionale della Borsa. La Casa Bianca ha reso noto che Reagan ha ordinato ieri ai suoi collaboratori di restare in stretto contatto con i maggiori esperti finanziari, compresi i dirigenti della Riserva Federale, della Sec, e della Borsa. Il presidente ha seguito con preoccupazione il declino a Wall Street ha detto il suo portavoce, ma le nostre consultazioni ci hanno confermato l' impressione che l' economia reale rimane solida. Siamo nella più lunga espansione economica in tempo di pace della storia, l' occupazione è ai più alti livelli, la produzione è in aumento, il deficit commerciale, aggiustato ai cambiamenti valutari, sta migliorando, e come ha detto recentemente il presidente della Fed, non ci sono prove di una ripresa dell' inflazione negli Stati Uniti. Il comunicato della Casa Bianca non dà alcun segnale di ciò che Reagan potrebbe fare se la caduta del Dow continuasse. Interpellato al volo da un cronista mentre si recava in ospedale dalla first Lady, Reagan ha così commentato l' accaduto: Mi lascia perplesso, tutti gli indici vanno in su. Il crollo delle altre Borse internazionali (Tokyo e Londra, soprattutto), il ribasso del dollaro, la caduta dei buoni del Tesoro Usa, e l' azione militare americane nel golfo Persico, foriera di nuovi rischi di guerra, di nuovi problemi per il petrolio, sono le ragioni più citate a freddo dagli analisti per spiegare quanto è accaduto ieri. Ma, in concreto, si è verificato durante il fine settimana il fenomeno psicologico temuto da molti osservatori: la gente si è lasciata prendere dal panico, i piccoli e medi risparmiatori hanno deciso di vendere tutti insieme, prima che si vanificassero del tutto i profitti accumulati in molti mesi di prodigiosa ascesa. E dietro questa grande paura collettiva sembra emergere il fantasma di un' amministrazione incapace di risolvere i fondamentali problemi che la assillano da anni: deficit federale e deficit commerciale. E' come se di colpo il pubblico vedesse il trucco nel gioco di prestigio su cui è retta la Reaganomics: tagliare le tasse, aumentare le spese militari, e provare a ridurre nel contempo la spesa pubblica. Qualcosa dovrà cambiare, ma non è chiaro se l' attuale amministrazione, giunta al suo ultimo anno di vita, travagliata da scandali e dissidi interni, avrà la forza per agire. Wall Street ha vissuto una delle due peggiori giornate della sua storia in un' atmosfera da manicomio, secondo il parere di un agente che ha corso da un telefono all' altro senza un attimo di sosta per rispondere a tutti gli ordini di vendere. Le strade del distretto finanziario sono rimaste sinistramente vuote per tutta la giornata, nemmeno durante il lunch si è affacciato qualcuno fuori dalla sala della New York Stock Exchange. I venditori di hot-dog hanno invano atteso clienti: Brutto segno commentava uno di loro, si vede che lì dentro sta succedendo qualcosa di terribile, i nostri amici debbono essere con la ... fino al collo. La galleria della Borsa, riservata a stampa e pubblico, era piena zeppa di cronisti, fotografi, cameramen e curiosi. Vengo dal Michigan confessa una turista, e questa è la cosa più emozionante che mi sia mai successa, essere qui, testimone della più brutta caduta di tutti i tempi dello stock market. Giù, nella sala, fra gli agenti di borsa, sono persino volati i pugni, una rissa per mettere la mano sui telefoni e sui videoterminali che trasmettono gli ordini di compravendita. Per strada, nei bar, in metrò, la gente pare non parlare d' altro. Newsweek è uscito ieri con la copertina dedicata al crollo in borsa (titolo: E' finita la festa?), e un articolo del suo columnist economico, Jane Bryant Quinn, che consigliava ai risparmiatori di non lasciare in borsa nemmeno un penny e di dividere così i propri investimenti: 20 per cento azioni, 30 per cento obbligazioni, 50 per cento contante. Quest' ultimo punto è ora la nuova preoccupazione del mercato: se comincia la corsa a raccogliere contante (l' economista Ravi Batra, nel suo best-seller La Grande Depressione del 1990, suggerisce di tenere migliaia di dollari in cassette di sicurezza, o sotto il classico materasso), potranno reggere le banche?
 
la Repubblica - Mercoledì, 21 ottobre 1987 - pagina 2
Frenetiche consultazioni fra le Borse europee che ritardano l' apertura di un' ora per conoscere i risultati dell' incontro fra Baker e Stoltenberg. Poi a Wall Street interviene la Federal Reserve e tutto finisce senza un nuovo panico
UNA BATTAGLIA CAMPALE DURATA 24 ORE
Il crollo di Tokyo spaventa l' Europa poi l' attesa si sposta sull' America Alla fine di una giornata certamente migliore della precedente, ma convulsa e piena di timori, restano due domande inevase. La prima riguarda il comportamento delle autorità monetarie tedesche: si deciderà Pohel ad uscire dallo splendido isolamento o resterà asserragliato per difendere la stabilità del marco? Gli Usa invece sapranno risanare il deficit federale?

ERA l' una e mezzo del mattino a New York, ma nonostante che la giornata di lunedì 19 fosse stata massacrante nessuno dormiva nelle centrali finanziarie di Wall Street. Poche ore prima era arrivata la notizia che il segretario al Tesoro, Baker, e il ministro delle Finanze tedesco, Stoltemberg, si erano incontrati a Francoforte ed avevano firmato una specie di armistizio (ancora presto per chiamarlo pace): il governo della Germania federale avrebbe dato un segnale fin dalla mattina seguente, capace di ristabilire un minimo di ordine e di sicurezza sui mercati mondiali sconvolti dall' uragano. Quale sarebbe stata la natura di quel segnale non veniva detto, ma era chiaro che la Bundesbank, la Banca centrale tedesca, avrebbe provocato una riduzione dei tassi d' interesse, poiché era stata appunto la guerra dei tassi ad innescare quel putiferio. La notizia proveniente da Francoforte aveva infatti provocato un' immediata ripresa del dollaro e questa era certamente una buona notizia. Ma sarebbe bastata ad arginare il crollo del mercato? A metà della notte era questa la domanda di chi dai grattacieli che circondano la Borsa stava ancora contando i morti e i feriti rimasti sul campo. E per rispondere gli gnomi di Wall Street aspettavano l' apertura della Borsa di Tokyo che proprio in quel momento apriva le contrattazioni. Da Tokyo però arrivò una vera e propria doccia fredda: al ribasso del giorno prima, che in realtà era stato il più contenuto in confronto alle altre piazze,il mercato giapponese fece seguito con un calo massiccio: l' indice Nikkei, che fornisce la media tendenziale dei corsi delle azioni giapponesi, stava scendendo in picchiata. A fine seduta aveva perso più del 13 per cento rispetto al giorno prima. Intanto Baker aveva fatto precipitosamente ritorno a Washington mentre i banchieri centrali e gli organi di controllo delle Borse di tutto il mondo s' interpellavano affannosamente sul da fare. La giornata di martedì si è aperta così: un nervosismo estremo, un' incertezza sui provvedimenti da prendere, il dollaro in recupero, la Borsa giapponese ancora sotto l' effetto dello shock, e l' attesa delle dichiarazioni di Stoltemberg che dovevano raddrizzare le sorti d' una battaglia campale apparentemente già perduta. Su un punto le autorità finanziarie europee si sono messe subito d' accordo: bisognava ritardare l' apertura dei mercati fino a quando l' ondata di panico non si fosse almeno attenuata. Parigi, Londra, Amsterdam, Madrid, Francoforte fissarono per le 11 del mattino l' apertura delle contrattazioni. A Milano l' ordine della Consob di ritardare l' apertura della Borsa arrivò esattamente un minuto prima delle dieci. Ma oltre le 11 non si poteva andare. Fu convenuto però che tutti i titoli chiamati che registrassero ribassi superiori al 1O per cento sarebbero stati sospesi e richiamati in coda, affinché la media delle quotazioni non ne risultasse influenzata. Stoltemberg aveva annunciato che il segnale da parte tedesca sarebbe stato lanciato pubblicamente alle 1O e mezzo, ma alle 11 ancora non aveva pronunciato sillaba. Intanto la campana di Borsa dava l' inizio in tutte le capitali del vecchio continente alla nuova corrida. Alle 11 e mezzo il comitato degli agenti di cambio di Milano aveva già sospeso Fiat, Montedison e Generali per eccesso di ribasso. L' indice in quel momento dava un calo di oltre il 5 per cento. Intanto il tam tam ribassista suonava cupamente anche da Londra, dove l' indice del Financial Times registrava in apertura un ribasso di 135 punti. C' è qualche acquisto d' occasione riferiva un autorevole official della Banca d' Inghilterra interpellato da un suo pari grado della Banca d' Italia ma si tratta d' un rivolo contro un torrente di vendite. Ma la vera partita si sarebbe giocata di lì a qualche ora, quando anche a Wall Street la campana avrebbe suonato il suo tradizionale rintocco. Prima dell' inizio della seduta a New York ci furono tuttavia due interventi rassicuranti: il primo veniva dalla Federal Reserve, la Banca centrale degli Stati Uniti, che annunciò d' esser pronta a finanziare il mercato per evitare un collasso di liquidità e il pericolo che il ribasso si avvitasse su se stesso e si autoalimentasse; il secondo fu effettuato da due della maggiori banche di Manhattan, la Midland e la Chemical, che annunciarono di aver ribassato di mezzo punto il prime rate, cioè il tasso d' interesse di riferimento per la clientela primaria. Infatti, all' apertura, lo Stock Exchange partì al galoppo recuperando 2OO punti sulla catastrofe del giorno prima. La notizia, rimbalzata in Europa dove le Borse erano arrivate alle battute finali, procurò un gran respiro di sollievo e un sensibile recupero di tutti i titoli ancora in battuta e nelle contrattazioni dei dopo-borsa. Poi, col passar delle ore, quando già in Europa i mercati si erano chiusi dopo aver manifestato confortanti segnali di ripresa, il ballo è continuato a New York con alterne vicende. I 2OO punti guadagnati in apertura si sono ridotti a 1OO a metà seduta, poi sono risaliti a 12O, poi sono di nuovo discesi a 8O per terminare la giornata con un rialzo di 121 punti. Erano scesi in lizza i due tradizionali partiti dei rialzisti e dei ribassisti; alcuni fondi d' investimento compravano, altri vendevano, i borsini delle banche erano prevalentemente al ribasso, le grandi banche, abbondantemente innaffiate di liquidità dalla Federal Reserve, intervenivano in controtendenza: insomma un mercato estremamente contrastato e contradittorio, con un livello speculativo altissimo e di massimo rischio. La discesa però era stata arginata, il primo obbiettivo raggiunto. A metà pomeriggio le autorità di controllo decidevano di sospendere le contrattazioni a premio della Borsa di Chicago, che è specializzata in questo genere di operazioni, per bloccare la speculazione al ribasso e dare al mercato una boccata d' ossigeno supplementare. In tutto questo vorticoso alternarsi di eventi era nel frattempo arrivato il famoso e tanto atteso segnale da Francoforte, ma in realtà più che d' un segnale robusto pareva piuttosto un sottilissimo filo di fumo: il ministro delle Finanze della Germania federale si era limitato a confermare che con il suo collega americano aveva raggiunto il giorno prima un' intesa soddisfacente per stabilizzare il corso del dollaro ai livelli attuali e aveva preannunciato che la questione avrebbe dato luogo a decisioni operative giovedì, nel corso d' un' apposita riunione del comitato direttivo della Bundesbank, alla quale lui stesso avrebbe partecipato data la situazione di eccezionalità. Non molto per chi si aspettava l' annuncio immediato d' un ribasso del tasso d' interesse tedesco, e questa parziale delusione è una delle ragioni che spiega il contrastato andamento della Borsa di New York. Alla fine d' una giornata certamente migliore della precedente, ma non meno convulsa e ancora gravida di timori, restano due domande ancora largamente inevase. La prima riguarda appunto il comportamento delle autorità monetarie tedesche: si deciderà la Bundesbank, si deciderà il governatore Pohel, ad uscire dallo splendido e nefasto isolamento in cui la Germania federale continua a restare asseragliata per difendere la stabilità del marco e dei prezzi interni? Tutte le informazioni disponibili indicano che all' interno della Banca centrale tedesca è in corso una dura confrontation tra chi - più sensibile alle indicazioni del governo - è disponibile a collaborare con gli Stati Uniti e ad allargare i cordoni del rigore monetario, e chi invece vuole mantener ferma la politica economica fin qui seguita. Lo scontro all' interno della Bundesbank è reso ancor più complicato perché a due diverse strategie economico-monetarie si affianca il problema dell' autonomia della Banca centrale rispetto all' autorità politica: un tema al quale il direttorio della Bundesbank è particolarmente sensibile. La seconda domanda tocca un tema assai più impegnativo e riguarda la capacità dell' America di risanare sia il bilancio federale sia l' enorme disavanzo della bilancia commerciale senza però precipitare l' economia nazionale e internazionale in una fase recessiva. La disponibilità della Federal Reserve di iniettare liquidità nel sistema per arginare il crollo di Borsa è stata senza dubbio apprezzata dal mercato e sopratutto a questo si deve se il crollo di lunedì ha trovato un argine martedì. Ma allargare la base monetaria, se può essere una misura di tamponamento opportuna e addirittura inevitabile, non va certo nella direzione necessaria al risanamento. Un aumento di liquidità rischia infatti d' innescare di nuovo un processo inflazionistico del quale del resto s' intravvedono alcuni segnali, rischia di alimentare una domanda interna fin troppo eccedente rispetto all' offerta e quindi di aggravare lo sbilancio degli scambi commerciali con l' estero. Ovviamente non è questa la politica che l' Amministrazione americana intende portare avanti. Ma quale allora ? E qui si ritorna al dilemma che ormai da anni divide gli esperti, gli uomini politici, i banchieri di là e di qua dall' Atlantico: svalutare il dollaro ancora di più ? Innalzare una barriera di protezioni doganali che scoraggi l' acquisto di prodotti stranieri ? Aumentare i tassi d' interesse per attrarre capitali dall' estero e proseguire per quella via nel sistema che ha consentito agli Stati Uniti di finanziare con le risorse del resto del mondo il proprio eccesso di domanda interna? Quest' ultima strada sembra preclusa, visto il terremoto che un rialzo dei tassi in realtà moderato ha provocato sui mercati finanziari. Una svalutazione del dollaro come quella minacciata da Baker lunedì in ritorsione contro le misure tedesche metterebbe fuori mercato una parte notevole dell' industria europea, esportatrice di prodotti nell' area del dollaro, con effetti pesantemente recessivi in una vasta area del mondo industrializzato. Analoghe conseguenze avrebbero misure doganali. Non resta dunque che sperare che la famosa locomotiva tedesca si metta in moto risolvendo da questa parte dell' Atlantico quei problemi che dalla costa occidentale sembrano di quasi impossibile soluzione. Ma si muoverà la Germania ? La chiave, o almeno una delle chiavi di questa difficile situazione, è lì. Una prima risposta dovrebbe arrivare domani, ma i mercati non sono in grado di prevedere quale ne sarà il tenore e l' efficacia. Per questo sono così incerti e nervosi. Per questo la paura è ancora ben lungi dall' esser passata. Alla fine della giornata di ieri, sebbene il fondo fosse molto più consistente, i titoli in calo superavano quelli in rialzo nella proporzione di quattro a uno. Oggi si capirà meglio come stanno le cose. E' ancora presto per dire che il peggio è passato.
 
Azz Fleursdumal !!!!

Ma vuoi farlo cadere tutto in un botto !


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Zen lento ha scritto:
Azz Fleursdumal !!!!

Ma vuoi farlo cadere tutto in un botto !


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Nahh Zio Lento :lol: solo curiosità storica, alcune situazioni macropolitiche sono spaventosamente simili a quelle recenti : calo del dollaro per risollevare deficit commerciale , tensioni nel Golfo Persico, braccio di ferro economico tra US e Germania
 
Salve , l'argomento mi riporta un bel pò indietro nel tempo ,
e come sempre accade la mente gioca scherzi strani ,
i ricordi sbiadiscono e alcuni si "selezionano" forse eliminiamo ciò
che non ci piace ricordare , per questo scusate per eventuali strafalcioni:D

Ricordo benissimo che il ribassone fu colpa dei sistemi computerizzati di
vendita , che intersecandosi come in un gigantesco stop loss
impedirono di ragionare o di fare qualunque cosa , in pratica fu come
se in un palazzo di 10 piani crollasse il tetto e ogni piano crollasse
a sua volta incapace di sorreggere il peso extra .

La cosa che più mi rimane impressa ad oggi fu il ribasso di Londra :
-10% il lunedì e replica stessa cifra il martedì .

Altra cosa che mi rimase impressa fu il motivo di fondo , o almeno quello
che ad oggi ancora reputo il motivo di fondo del crollo ; la guerra valutaria
che l'amministrazione Usa aveva iniziato due anni prima e che quel
venerdì precedente il Baker aveva ribadito non essere :
"affare interno Usa , semmai il problema riguarda i nostri partner"
Il mercato prese semplicemente atto (già da una settimana era chiaro
che degli accordi del Plaza o del Louvre agli Usa interessava un fico) ,
che il dollaro era alla deriva e che gli unici a poterlo sorreggere ,
ovvero l'amministrazione Usa e la sua banca centrale non erano interessati
a farlo , quindi il mercato tirò le somme .

Trovo non corretto affermare che il crollo non generò una recessione ,
a parte che nessun crollo di borsa ha MAI causato una recessione ,
ma direi che un crollo di borsa non fa altro che registrare una situazione
economica difficile che potrebbe presentarsi STANTI LE ATTUALI CONDIZIONI , un campanello d'allarme insomma , tanto più forte quanto
più complicatoe brutto si presenta il futuro .

Solo che l'economia reale ha tempi di gran lunga più lenti della borsa ,
infatti la recessione arrivò nel 90-92 e fu una gran "bella" recessione ,
una recessione dura e cruda , guarda caso arrivò proprio nei pressi del
minimo del dollaro .

Se si cercano raffronti , direi che il $ è il miglior metro di paragone ,
allora fu il Baker a dichiarare guerra in quel fine settimana ,
lasciando capire che la svalutazione del $ era ben lungi dall'essere finita ,
e oggi come allora i mercati stanno aspettando segni di riscossa del $
per poter giustificare economia in ripresa e ripresa delle borse ,
se invece arrivasse , come allora una dichiarazione di guerra ci sarebbe
da "ridere" .

Personalmente ritengo che i tempi siano ancora prematuri ,
un accordo politico non è ancora stato tentato (tipo PLaza o Louvre) ,
e forse questa è la cosa che più mi impensierisce , se non c'è ancora
preoccupazione e mosse politiche , ma dove sta andando il $ ?
 
ecco ripescato questo 3d storico, vi aggiungo un intervendo di pierrone "catturato" su altri lidi:

il crollo dell'87 ebbe quelle proporzioni stratosferiche per colpa di programmi di "copertura dinamica" molto in voga fino a quel giorno (e poi sparirono): con mercati dei derivati poco liquidi ed efficienti non c'era sufficiente disponibilità di opzioni put per proteggere i portafogli. I programmi di copertura dinamica perciò davano ordini di acquisto o vendita sulle azioni in maniera da simulare il comportamento di una ipotetica put (non disponibili efficientemete sul mercato), e quindi ricavare la medesima protezione che avrebbe garantito il possesso di tali opzioni.

Tali programmi erano però talmente diffusi, che i loro ordini sul mercato "autorealizzarono" il disastro: le put "teoriche" infatti a mano a mano che si scendeva diventavano sempre più a delta negativo, quindi per ricavarne lo stesso effetto protettivo (visto che non le avevano) venivano vendute azioni in maniera tale da abbassare i delta dei portafogli. Le vendite provocavano ribassi, e i ribassi richiamavano a nuove vendite per ricopiare le protezioni offerte dalle opzioni di cui volevano ricopiare il comportamento, e la spirale esplose.

Grazie a quel giorno presero definitivamente slancio i mercati dei derivati, la cui mancanza provocò quel crollo. Con mercati derivati liquidi come oggi probabilmente il lunedì nero non ci sarebbe mai stato

ex. pratico:

Supponi che hai 100.000 euro investiti in Enel, e che negli anni prima l'azione sia salita molto. Puoi vendere e monetizzare il rialzo, oppure puoi oggi comprare una put su Enel e proteggerti (con un piccolo costo) da eventuali ribassi violenti, senza per questo rinunciare a ulteriori rialzi.

Nell'87 la put non la trovavi, perchè non c'era. Come fare a proteggersi nella stessa maniera? compri una "put virtuale".

Se tu oggi compri una put, questa avrà un valore matematico di protezione (delta): per esempio se una certa put su Enel protegge per il 10% (delta 0,1%), significa che ogni 1% di discesa di Enel sulla put guadagni lo 0,1%. Se percio compri 10 put, ti proteggi totalmente: se Enel scende dell'1%, sulle put guadagni 0,1%*10= 1%. La protezione è totale.

Il problema è che se Enel scende, anche la percentuale di protezione offerta dalla put varia: non sarà più lo 0,1% ciascuna, ma mettiamo lo 0,2%. Se perciò parti coperto dalle put e Enel scende, alla fine non sarai più neutro ma avrai una protezione eccessivamente coperta, sarai perciò ribassista. A quel punto compri un pò di enel, oppure vendi un pò delle tue put, e torni a essere coperto.

Nell'87 non c'erano le put. Come costruirsi una put virtuale? attraverso un sistema automatico di vendita/acquisto sull'azione stessa, in maniera da avere una posizione di protezione analoga a quella offerta da una put.

LA questione è abbastanza "perversa" ma era questa:

Ipotizza di avere 100.000 azioni che costano 10 dollari. Vorresti (ma non puoi) comprare una put strike 8 per proteggere la posizione in modo che non perdi più di 2 dollari per azione.
Facendo dei calcoli abbastanza complessi che non starò qui a spiegare, si sarebbe per esempio trovato che all'inizio la put proteggeva il 20% delle azioni.

Si parte perciò da questa posizione:

100.000 azioni "core investment" + 20.000 azioni short (put virtuale) = 80.000 azioni

Poi supponi che l'azione scende, la put virtuale aumenta il suo livello di protezione, mettiamo che passa al 30%. Tu però hai in mano una protezione solo per il 20%, devi arrivare al 30%, e devi quindi vendere 10.000 azioni. Alla fine avrai:

100.000 azioni "core" + 30.000 azioni short (put virtuale)

Poi il mercato scende, e si devono per esempio shortare altre 20.000 azioni, che fanno passare la posizione a:

100.000 azioni "core" + 50.000 azioni short (put virtuale).



Nell'87 erano talmente diffusi questi sofisticati sistemi di copertura, che provocarono una spirale perversa alla fine della quale il mercato fece il più grosso crollo della storia:

piccola discesa----->vendite ordinate dal programma di gestione----->a causa di queste vendite il mercato scende------>i programmi ordinano nuove vendite------> a causa di queste nuove vendite il mercato scende-------> partono altri ordini di vendita, etc. etc.
 

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