SINIBALDO
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1° PARTE: http://www.investireoggi.it/forum/viewtopic.php?t=15148
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Oggi, a fare i prezzi, sono i contratti future.
Pudicamente la terminologia italiana è di «contratti a termine».
I prezzi che ogni giorno pubblicano i giornali, quelli che fanno notizia, sono quelli dei future.
Si tratta di prezzi ipotetici, cioè si scommette su quello che sarà il prezzo nei futuri cinque mesi, per quantità di petrolio che in effetti non saranno mai consegnate.
La quantità di petrolio trattata con i contratti future è enorme.
Nel 99,9% di tutti i contratti a termine stipulati al NYMEX, nessuna delle due controparti consegna o riceve petrolio reale.
Cifre esatte non vengono fornite, ma ogni giorno si stipulano contratti per multipli (100 o 1000 volte superiori) di quella che è la reale domanda e i reali consumi dell'intero mondo.
Le trattazioni riescono a scambiare anche cinque volte il totale dell'estrazione petrolifera giornaliera mondiale.
Un gioco sporco, sporchissimo: una scommessa che non ha alcun riferimento con l'economia reale, con la produzione e con l'offerta: è solo il gioco delle aspettative che condiziona i prezzi.
Che all'occorrenza possono essere fatti crollare all'improvviso, portando a casa guadagni enormi !!!!!!!!!!!!!!!
E' dunque la speculazione il vero problema, e va fermata !!!!!!!!!!!!!!!
Basterebbe una semplice tassa sulgli scambi cartacei per arginare i danni.
Tassa che potrebbe essere devoluta a quei peasi che soffrono la fame, la sete, l’ignoranza, trasformando un fenomeno negativo in uno positivo.
Ma gli interessi in gioco sono troppo elevati.
Tuttavia, i prezzi così alti stanno facendo muovere le acque internazionali.
La Cina sta cercando nuovi partner per la fornitura del greggio.
Pochissimi giorni fa il governo cinese ha siglato un accordo con il Congo, buon produttore di petrolio, per iniziare l’esportazione e la produzione del greggio già al largo delle coste congolesi.
Grazie ai contratti stipulati fra i due paesi, la compagnia petrolifera di bandiera cinese Sinopec è ora autorizzata a esplorare e sfruttare direttamente le zone denominate “Marine XII” e “High Sea C”, accedendo direttamente alla fonte di erogazione del greggio.
Anche l’India si sta mobilitando in questo senso.
Il presidente del Venezuela Chavez, leader di uno dei paesi più grandi produttori di petrolio e membro dell’Opec, si è recato pochi giorni fa a New Delhi per stipulare degli accordi importanti sulla fornitura più stretta del petrolio all’India.
In una conferenza stampa, Chavez ha minacciato l’amministrazione Bush di troncare completamente le esportazioni di petrolio venezuelane verso gli Stati Uniti nel caso di un qualsiasi tipo di aggressione.
Traspare da tempo ormai nella politica Venezuela, la volontà di distaccarsi dall’influenza americana, e la buona occasione è il rifornimento di un mercato in espansione di circa 1 miliardo di persone.
Questi accordi non giovano di sicuro agli Stati Uniti, che vedono sottrarsi parte del controllo petrolifero mondiale.
Non bisogna dimenticare anche gli avvenimenti degli anni scorsi tra cui la famosa guerra in Iraq, ha avuto come effetto pratico, citandone uno per tutti, quello di mettere le mani sulla produzione petrolifera irachena, seconda solo all’Arabia Saudita.
Un conflitto messo in opera prospettando l’impennata dei prezzi del carburante fossile e le avverse politiche petrolifere internazionali.
Anche la Russia, citando il caso della Yukos, è corsa ai ripari nazionalizzando il colosso petrolifero in mano agli oligarchi, garantendo il totale controllo del Cremlino sulla produzione russa di greggio.
Avvenimenti che hanno contribuito ad innalzare le quotazioni del petrolio, ma soprattutto attuati con l’intento di coprirsi le spalle in previsione di tempi duri nel futuro.
L’Unione europea, da parte sua, sta progettando il primo summit Opec-Ue per maggio-giugno.
L’intenzione è quella di creare una maggiore intesa fra le due parti innanzitutto per cercare mantenere maggiormente la stabilità dei prezzi e produrre migliori benefici per entrambi, tramite la stipulazione di accordi strategici.
Indubbiamente, soprattutto in questo contesto storico, la maggior parte dei movimenti geopolitici è ormai dettata in gran parte dal petrolio, noto carburante di tutte le economie moderne, materia prima che non può mancare, tanto da scatenare anche guerre ad alto spreco di vite umane.
Purtroppo, quando il carburante fossile verrà a scarseggiare, la crisi sarà fonte di grande tensione internazionale,
vista l’evoluzione attuale degli avvenimenti che sembra già incamminarsi in questa direzione e considerando la nostra morbosa dipendenza da una materia in via di estinzione.
Ciò che maggiormente inquieta è che siamo prossimi all’esaurimento delle scorte, senza saperlo però per certo.
I pessimisti stimano che ciò avvenga per il 2010, per i più ottimisti per il 2030, ma di questo ritmo sarà più facile che avvenga prima.
La domanda annuale totale per il 2004 è stata di 82,5 milioni di barili al giorno, mentre per il 2005 la cifra stimata è di 83 milioni, pari ad una produzione annuale di 30,3 miliardi di barili l’anno.
Produzione che deve far fronte ad una sempre crescente domanda globale, che vige intorno al 2,2% annuale a scala mondiale, che probabilmente aumenterà da qui al 2020 circa fino al 40% se non si faranno degli sforzi concreti per la sostituzione del greggio.
Le riserve attualmente conosciute sono stimate a circa 1100 miliardi di barili; alcuni sostengono che ve ne siano ancora da scoprire, ma nuovi ritrovamenti di giacimenti d'idrocarburi sono da tempo ormai rari.
Di questo passo sarà presto raggiunto il famoso picco di Hubbert.
Secondo la teoria del geofisico americano formulata nel 1956 ed empiricamente dimostrata da casi verificati, la produzione di una risorsa minerale segue una “curva a campana”.
Il picco di questa curva è il punto di massima produzione: al di là del quale la produzione comincia inesorabilmente a diminuire, provocando un sempre maggiore scarto fra domanda e offerta, che in parole povere significa una maxi impennata dei prezzi.
Il «picco di Hubbert» descrive una sorta di «legge naturale» assai semplice: ogni giacimento di petrolio può essere sfruttato, incrementando la produzione, fino a un massimo che si colloca grosso modo a metà delle disponibilità originarie del giacimento.
Dopo di che la produzione si abbassa per motivi fisici: da quel momento in poi per far salire il greggio in superficie è necessario pompare gas - in genere vapore acqueo ad alta temperatura - nei pozzi.
In ogni caso, lo sfruttamento di un giacimento termina molto prima che l'«ultima goccia» di petrolio sia stata estratta.
Un po’ perché la conformazione fisica dei giacimenti è altamente irregolare, ma in primo luogo perché la spesa energetica per tirar su il greggio , non risultando più «economica», diventa a saldo negativo.
In sostanza, a un certo punto occorre usare energia equivalente a un barile di petrolio per produrre un barile di petrolio.
Toccato questo «picco», qualsiasi sia il prezzo del greggio, ci si ferma.
Il picco, anche se non è stato ancora raggiunto, ha non poco influenzato la geopolitica degli stati.
Secondo molti esperti, la discesa da questo apice della produzione degli idrocarburi sarà la causa di una crisi economica di proporzioni epiche, maggiore a quella avvenuta negli anni trenta, che è d’altronde stata in buona parte la causa della Seconda Guerra mondiale.
Quindi, massima attenzione !!!!!!!!!!!!!!!
I sistemi economici mondiali rischiano di trovarsi in tal modo sopraffatti tanto da non poter attuare una transizione graduale alle fonti energetiche alternative al greggio, che sono comunque insufficienti, poiché non è determinabile con esattezza quando esso effettivamente finirà.
E’ inoltre inestimabile il costo economico della riconversione di un intero sistema economico mondiale, basato in grandissima parte sul petrolio, a sostanze alternative.
Ma l’aumento del prezzo è in parte sintomatico dell’avvicinamento accelerato verso il famoso picco, e di conseguenza all’inevitabile declino.
In Europa, ma soprattutto in Italia, la dipendenza energetica dal petrolio, aggiunta a fattori monetari come la debolezza del dollaro, si fa risentire sulle esportazioni e sul costo della vita, specialmente in questo periodo.
Nel nostro paese, i ricavi in calo del Made in Italy contabilizzati nella bilancia commerciale si sono visti assorbire quasi completamente dalla quasi triplicata bolletta energetica, che tra rincari del petrolio e l’abbandono del nucleare è passata in dieci anni da 14 a 34 miliardi di euro.
Effettivamente, mentre i principali paesi europei come Francia, Germania, Svezia, hanno sensibilmente ridotto i consumi di petrolio dopo l’ultima crisi petrolifera degli anni ’70, portando la quota sotto il 5%, sostituendo
l'idrocarburo in parte con il carbone e soprattutto con il nucleare, l’Italia da parte sua è riuscita a incrementare il fabbisogno di greggio dal 64% al 69% grazie alla rinuncia dell’atomo.
Ci siamo messi con le nostre mani in totale balia di fattori che non possiamo influenzare e che di certo non prospettano un futuro roseo:
alcuni degli effetti a medio lungo termine sono la perdita della tanto gettonata competitività con l’estero causata dagli elevati costi di produzione con la consecutiva diminuzione delle esportazioni e l’aumento delle importazioni, divenute più convenienti;
l’incremento dell’inflazione esogena creata per l’appunto dalle fluttuazioni al rialzo del petrolio e dei sui derivati; una crescita quasi inosservabile del Pil, che comporta un aumento praticamente nullo dei salari.
Vi pare di avere già sentito questa cantilena?
E’ esattamente quello che tutti noi stiamo vivendo.
Una situazione che ci sta portando dritti verso un fenomeno assai brutto, se non ci siamo già immersi, definibile con il termine di stagflazione, nonché un misto fra stagnazione ed inflazione.
In tre parole: disagi per tutti.
Non bisogna però fare l’errore di attribuire ogni male ai prezzi del dio petrolio, anche se ne contribuisce in buona parte.
La situazione attuale sta creando problemi non indifferenti, ma che pare avere l’effetto positivo di scuotere sia l’opinione pubblica che il governo, sperando solo che non sia troppo tardi.
Infatti, da qualche tempo, si inizia finalmente a sentire parlare ed a concretare progetti per la sostituzione progressiva del petrolio con fonti alternative.
A livello strutturale si sta attualmente in parte sostituendo il petrolio con il carbone ed il gas, ma il rientro al nucleare da tempo auspicato è ormai una certezza grazie alle partecipazioni azionarie extranazionali delle nostre compagnie nei paesi dell’est, Enel in testa.
Si aspetta solo un atteso ritorno all’atomo sul nostro territorio nazionale, ritornato alla ribalta dopo le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
Per il 2006 si attendono con impazienza anche le prime auto ad idrogeno della Fiat, ibride e non, che unite a quelle a gas nel giro di 20 anni potrebbero rimpiazzare la maggior parte delle auto convenzionali a benzina.
Si sta puntando inoltre molto sull’idrogeno, poiché è facile e poco costoso da creare: è una risorsa praticamente infinita che tutti sarebbero in grado di produrre senza creare squilibri internazionali, non dimenticando che, come anche il nucleare, non produce alcuna emissione di gas nocivi.
Grazie a un’incentivata integrazione alle suddette energie con le fonti rinnovabili come il fotovoltaico, l’eolico, il geotermico, l’idrico ecc, l’Italia potrebbe finalmente spezzare le catene che la rendono schiava degli altri paesi a livello energetico: situazione che mina considerevolmente più che ogni altra nazione la crescita economica.
Tutti progetti che sembrano ormai segnati sulla carta.
Un grande passo avanti che se sarà intrapreso potrà essere tangibile a livello economico quanto a livello ecologico:
prima verrà effettuato e prima riusciremo a scrollarci di dosso l’incertezza legata al futuro in salita del petrolio, vero e proprio doping dei sistemi economici internazionali, dio economico indiscusso, e macinio sulle spalle degli italiani.
Speriamo solo che la transizione avvenga in modo poco traumatico.
(fine)__________________________________________________________
SINIBALDO
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Oggi, a fare i prezzi, sono i contratti future.
Pudicamente la terminologia italiana è di «contratti a termine».
I prezzi che ogni giorno pubblicano i giornali, quelli che fanno notizia, sono quelli dei future.
Si tratta di prezzi ipotetici, cioè si scommette su quello che sarà il prezzo nei futuri cinque mesi, per quantità di petrolio che in effetti non saranno mai consegnate.
La quantità di petrolio trattata con i contratti future è enorme.
Nel 99,9% di tutti i contratti a termine stipulati al NYMEX, nessuna delle due controparti consegna o riceve petrolio reale.
Cifre esatte non vengono fornite, ma ogni giorno si stipulano contratti per multipli (100 o 1000 volte superiori) di quella che è la reale domanda e i reali consumi dell'intero mondo.
Le trattazioni riescono a scambiare anche cinque volte il totale dell'estrazione petrolifera giornaliera mondiale.
Un gioco sporco, sporchissimo: una scommessa che non ha alcun riferimento con l'economia reale, con la produzione e con l'offerta: è solo il gioco delle aspettative che condiziona i prezzi.
Che all'occorrenza possono essere fatti crollare all'improvviso, portando a casa guadagni enormi !!!!!!!!!!!!!!!
E' dunque la speculazione il vero problema, e va fermata !!!!!!!!!!!!!!!
Basterebbe una semplice tassa sulgli scambi cartacei per arginare i danni.
Tassa che potrebbe essere devoluta a quei peasi che soffrono la fame, la sete, l’ignoranza, trasformando un fenomeno negativo in uno positivo.
Ma gli interessi in gioco sono troppo elevati.
Tuttavia, i prezzi così alti stanno facendo muovere le acque internazionali.
La Cina sta cercando nuovi partner per la fornitura del greggio.
Pochissimi giorni fa il governo cinese ha siglato un accordo con il Congo, buon produttore di petrolio, per iniziare l’esportazione e la produzione del greggio già al largo delle coste congolesi.
Grazie ai contratti stipulati fra i due paesi, la compagnia petrolifera di bandiera cinese Sinopec è ora autorizzata a esplorare e sfruttare direttamente le zone denominate “Marine XII” e “High Sea C”, accedendo direttamente alla fonte di erogazione del greggio.
Anche l’India si sta mobilitando in questo senso.
Il presidente del Venezuela Chavez, leader di uno dei paesi più grandi produttori di petrolio e membro dell’Opec, si è recato pochi giorni fa a New Delhi per stipulare degli accordi importanti sulla fornitura più stretta del petrolio all’India.
In una conferenza stampa, Chavez ha minacciato l’amministrazione Bush di troncare completamente le esportazioni di petrolio venezuelane verso gli Stati Uniti nel caso di un qualsiasi tipo di aggressione.
Traspare da tempo ormai nella politica Venezuela, la volontà di distaccarsi dall’influenza americana, e la buona occasione è il rifornimento di un mercato in espansione di circa 1 miliardo di persone.
Questi accordi non giovano di sicuro agli Stati Uniti, che vedono sottrarsi parte del controllo petrolifero mondiale.
Non bisogna dimenticare anche gli avvenimenti degli anni scorsi tra cui la famosa guerra in Iraq, ha avuto come effetto pratico, citandone uno per tutti, quello di mettere le mani sulla produzione petrolifera irachena, seconda solo all’Arabia Saudita.
Un conflitto messo in opera prospettando l’impennata dei prezzi del carburante fossile e le avverse politiche petrolifere internazionali.
Anche la Russia, citando il caso della Yukos, è corsa ai ripari nazionalizzando il colosso petrolifero in mano agli oligarchi, garantendo il totale controllo del Cremlino sulla produzione russa di greggio.
Avvenimenti che hanno contribuito ad innalzare le quotazioni del petrolio, ma soprattutto attuati con l’intento di coprirsi le spalle in previsione di tempi duri nel futuro.
L’Unione europea, da parte sua, sta progettando il primo summit Opec-Ue per maggio-giugno.
L’intenzione è quella di creare una maggiore intesa fra le due parti innanzitutto per cercare mantenere maggiormente la stabilità dei prezzi e produrre migliori benefici per entrambi, tramite la stipulazione di accordi strategici.
Indubbiamente, soprattutto in questo contesto storico, la maggior parte dei movimenti geopolitici è ormai dettata in gran parte dal petrolio, noto carburante di tutte le economie moderne, materia prima che non può mancare, tanto da scatenare anche guerre ad alto spreco di vite umane.
Purtroppo, quando il carburante fossile verrà a scarseggiare, la crisi sarà fonte di grande tensione internazionale,
vista l’evoluzione attuale degli avvenimenti che sembra già incamminarsi in questa direzione e considerando la nostra morbosa dipendenza da una materia in via di estinzione.
Ciò che maggiormente inquieta è che siamo prossimi all’esaurimento delle scorte, senza saperlo però per certo.
I pessimisti stimano che ciò avvenga per il 2010, per i più ottimisti per il 2030, ma di questo ritmo sarà più facile che avvenga prima.
La domanda annuale totale per il 2004 è stata di 82,5 milioni di barili al giorno, mentre per il 2005 la cifra stimata è di 83 milioni, pari ad una produzione annuale di 30,3 miliardi di barili l’anno.
Produzione che deve far fronte ad una sempre crescente domanda globale, che vige intorno al 2,2% annuale a scala mondiale, che probabilmente aumenterà da qui al 2020 circa fino al 40% se non si faranno degli sforzi concreti per la sostituzione del greggio.
Le riserve attualmente conosciute sono stimate a circa 1100 miliardi di barili; alcuni sostengono che ve ne siano ancora da scoprire, ma nuovi ritrovamenti di giacimenti d'idrocarburi sono da tempo ormai rari.
Di questo passo sarà presto raggiunto il famoso picco di Hubbert.
Secondo la teoria del geofisico americano formulata nel 1956 ed empiricamente dimostrata da casi verificati, la produzione di una risorsa minerale segue una “curva a campana”.
Il picco di questa curva è il punto di massima produzione: al di là del quale la produzione comincia inesorabilmente a diminuire, provocando un sempre maggiore scarto fra domanda e offerta, che in parole povere significa una maxi impennata dei prezzi.
Il «picco di Hubbert» descrive una sorta di «legge naturale» assai semplice: ogni giacimento di petrolio può essere sfruttato, incrementando la produzione, fino a un massimo che si colloca grosso modo a metà delle disponibilità originarie del giacimento.
Dopo di che la produzione si abbassa per motivi fisici: da quel momento in poi per far salire il greggio in superficie è necessario pompare gas - in genere vapore acqueo ad alta temperatura - nei pozzi.
In ogni caso, lo sfruttamento di un giacimento termina molto prima che l'«ultima goccia» di petrolio sia stata estratta.
Un po’ perché la conformazione fisica dei giacimenti è altamente irregolare, ma in primo luogo perché la spesa energetica per tirar su il greggio , non risultando più «economica», diventa a saldo negativo.
In sostanza, a un certo punto occorre usare energia equivalente a un barile di petrolio per produrre un barile di petrolio.
Toccato questo «picco», qualsiasi sia il prezzo del greggio, ci si ferma.
Il picco, anche se non è stato ancora raggiunto, ha non poco influenzato la geopolitica degli stati.
Secondo molti esperti, la discesa da questo apice della produzione degli idrocarburi sarà la causa di una crisi economica di proporzioni epiche, maggiore a quella avvenuta negli anni trenta, che è d’altronde stata in buona parte la causa della Seconda Guerra mondiale.
Quindi, massima attenzione !!!!!!!!!!!!!!!
I sistemi economici mondiali rischiano di trovarsi in tal modo sopraffatti tanto da non poter attuare una transizione graduale alle fonti energetiche alternative al greggio, che sono comunque insufficienti, poiché non è determinabile con esattezza quando esso effettivamente finirà.
E’ inoltre inestimabile il costo economico della riconversione di un intero sistema economico mondiale, basato in grandissima parte sul petrolio, a sostanze alternative.
Ma l’aumento del prezzo è in parte sintomatico dell’avvicinamento accelerato verso il famoso picco, e di conseguenza all’inevitabile declino.
In Europa, ma soprattutto in Italia, la dipendenza energetica dal petrolio, aggiunta a fattori monetari come la debolezza del dollaro, si fa risentire sulle esportazioni e sul costo della vita, specialmente in questo periodo.
Nel nostro paese, i ricavi in calo del Made in Italy contabilizzati nella bilancia commerciale si sono visti assorbire quasi completamente dalla quasi triplicata bolletta energetica, che tra rincari del petrolio e l’abbandono del nucleare è passata in dieci anni da 14 a 34 miliardi di euro.
Effettivamente, mentre i principali paesi europei come Francia, Germania, Svezia, hanno sensibilmente ridotto i consumi di petrolio dopo l’ultima crisi petrolifera degli anni ’70, portando la quota sotto il 5%, sostituendo
l'idrocarburo in parte con il carbone e soprattutto con il nucleare, l’Italia da parte sua è riuscita a incrementare il fabbisogno di greggio dal 64% al 69% grazie alla rinuncia dell’atomo.
Ci siamo messi con le nostre mani in totale balia di fattori che non possiamo influenzare e che di certo non prospettano un futuro roseo:
alcuni degli effetti a medio lungo termine sono la perdita della tanto gettonata competitività con l’estero causata dagli elevati costi di produzione con la consecutiva diminuzione delle esportazioni e l’aumento delle importazioni, divenute più convenienti;
l’incremento dell’inflazione esogena creata per l’appunto dalle fluttuazioni al rialzo del petrolio e dei sui derivati; una crescita quasi inosservabile del Pil, che comporta un aumento praticamente nullo dei salari.
Vi pare di avere già sentito questa cantilena?
E’ esattamente quello che tutti noi stiamo vivendo.
Una situazione che ci sta portando dritti verso un fenomeno assai brutto, se non ci siamo già immersi, definibile con il termine di stagflazione, nonché un misto fra stagnazione ed inflazione.
In tre parole: disagi per tutti.
Non bisogna però fare l’errore di attribuire ogni male ai prezzi del dio petrolio, anche se ne contribuisce in buona parte.
La situazione attuale sta creando problemi non indifferenti, ma che pare avere l’effetto positivo di scuotere sia l’opinione pubblica che il governo, sperando solo che non sia troppo tardi.
Infatti, da qualche tempo, si inizia finalmente a sentire parlare ed a concretare progetti per la sostituzione progressiva del petrolio con fonti alternative.
A livello strutturale si sta attualmente in parte sostituendo il petrolio con il carbone ed il gas, ma il rientro al nucleare da tempo auspicato è ormai una certezza grazie alle partecipazioni azionarie extranazionali delle nostre compagnie nei paesi dell’est, Enel in testa.
Si aspetta solo un atteso ritorno all’atomo sul nostro territorio nazionale, ritornato alla ribalta dopo le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio.
Per il 2006 si attendono con impazienza anche le prime auto ad idrogeno della Fiat, ibride e non, che unite a quelle a gas nel giro di 20 anni potrebbero rimpiazzare la maggior parte delle auto convenzionali a benzina.
Si sta puntando inoltre molto sull’idrogeno, poiché è facile e poco costoso da creare: è una risorsa praticamente infinita che tutti sarebbero in grado di produrre senza creare squilibri internazionali, non dimenticando che, come anche il nucleare, non produce alcuna emissione di gas nocivi.
Grazie a un’incentivata integrazione alle suddette energie con le fonti rinnovabili come il fotovoltaico, l’eolico, il geotermico, l’idrico ecc, l’Italia potrebbe finalmente spezzare le catene che la rendono schiava degli altri paesi a livello energetico: situazione che mina considerevolmente più che ogni altra nazione la crescita economica.
Tutti progetti che sembrano ormai segnati sulla carta.
Un grande passo avanti che se sarà intrapreso potrà essere tangibile a livello economico quanto a livello ecologico:
prima verrà effettuato e prima riusciremo a scrollarci di dosso l’incertezza legata al futuro in salita del petrolio, vero e proprio doping dei sistemi economici internazionali, dio economico indiscusso, e macinio sulle spalle degli italiani.
Speriamo solo che la transizione avvenga in modo poco traumatico.
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