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Cell Therapeutics e l'arte di vivere senza ricavi
Cell Therapeutics e l'arte di vivere senza ricavi - Il Sole 24 ORE
È un miracolo "bio-finanziario", possibile messaggio di speranza per tutti i manager alle prese con un bilancio disastrato: la società biofarmaceutica Cell Therapeutics (Cti), da sempre sull'orlo del baratro, è riuscita anche questa volta a vedere l'alba del nuovo anno. Un fenomeno che, ripetendosi da due decenni, merita di essere studiato.
L'italoamericana Cell Therapeutics è una pmi con sede a Seattle, impegnata nello sviluppo di prodotti oncologici. Dice di essere una «start up» e sicuramente il suo lavoro di ricerca scientifica merita rispetto. Tuttavia, vista dal mondo finanziario, la biofarmaceutica sembra solo una società con vent'anni di bilanci in rosso che ha trovato il segreto della longevità, la ricetta per sopravvivere in assenza di ricavi.
Grazie alle sue piccole dimensioni, alla doppia natura, biofarmaceutica e finanziaria, il gruppo di Seattle si muove senza liquidità in un deserto d'incassi che farebbe fallire qualsiasi società normale. Cell Therapeutics è sempre lì. Il suo metabolismo è basato su emissioni continue di azioni e bond convertibili, un'alimentazione artificiale che fa da surrogato al fatturato. Nella sostanza, la società promette al mercato lo sviluppo di farmaci antitumorali, che spera sempre di commercializzare a breve, ma nel frattempo vende azioni, non molecole, e i suoi clienti non sono nelle farmacie ma a Wall Street e a Piazza Affari.
Nulla è nascosto, perché Cell Therapeutics, incalzata da Consob e Sec, è prodiga di aggiornamenti finanziari. Tuttavia, fra i grandi eventi del mondo finanziario, le piccole e continue emissioni di Seattle non si notano, scompaiono in secondo piano fra il rumore di fondo. Nell'osservare il gruppo, poi, il problema principale è che i meccanismi con cui Cell Therapeutics si finanzia a getto continuo, alternando emissioni di obbligazioni convertibili con clausole "make-whole" a collocamenti azionari, sono di difficile comprensione per chi si occupa di genoma e chemioterapici, mentre le attività di ricerca sull'aza-antracenedione dicono poco o nulla a chi vive di numeri e valutazioni d'impresa. Insomma, chi si occupa di finanza non comprende bene cosa facciano in laboratorio e chi ha la lettura dei test clinici non ha sempre chiaro il dissesto finanziario del gruppo. Così, a cavallo di questa doppia complessità tecnica, e protetta dal riguardo che è dovuto a chi vive di ricerca sui tumori, la biofarmaceutica italoamericana ha continuato a diluire i propri azionisti, accumulato perdite per 1,54 miliardi di dollari e polverizzando i risparmi di chi ha investito nel titolo, caduto a Wall Street da 2.940 dollari di dieci anni fa agli attuali 36 centesimi. Fra questi risparmiatori molti sono italiani e si presume che una gran parte non abbia inteso sostenere la ricerca scientifica di Seattle con una donazione a fondo perduto ma fare un investimento.
Bisogna dunque distinguere fra i possibili meriti scientifici, che in futuro forse verranno attribuiti alla biofarmaceutica guidata da James Bianco, e i risultati economici, che sono disastrosi