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L'AUSTERITA' NON FUNZIONA PER LA RIPRESA MA SOLO PER DISTRUGGERE LA DEMOCRAZIA


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1. Ancora sulla ripresa fantasma, "a dispetto del QE" e delle sue attese irrealistiche.
Questi i dati principali di un'analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo cui nell'ultimo anno, ogni mese non sono stati spesi o investiti, in media, 6,5 miliardi.

"Le famiglie non spendono e lasciano in banca oltre 30 miliardi di euro in un anno: vuol dire che ogni mese vengono accantonati 2,5 miliardi. Negli ultimi 12 mesi è passato infatti da 861 a 891 miliardi, in aumento di oltre il 3%, l'ammontare delle riserve degli italiani.



"C'è paura di spendere e paura di investire, paura di nuove tasse o di ulteriori difficoltà coi bilanci'', spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. Una tendenza seguita anche dalle aziende e dalle imprese familiari, con i salvadanai cresciuti, rispettivamente, di 13 miliardi (da 190 a 203 miliardi) e di 2 miliardi (da 43 a 45 miliardi), oltre che dalle onlus (+717 milioni) e dagli istituti di credito (+32 miliardi); in leggero calo i depositi delle assicurazioni (-1,3 miliardi). Complessivamente, le provviste finanziarie sono salite di 78 miliardi (+5%) passando da 1.457 miliardi a 1.535 miliardi.
Secondo l'analisi dell'associazione, basata su dati della Banca d'Italia, da gennaio 2014 a gennaio 2015 complessivamente le riserve bancarie sono salite di 78,1 miliardi (+5,36%) passando da 1.457,7 miliardi a 1.535,9 miliardi: nell'ultimo anno, ogni mese non sono stati spesi o investiti, in media, 6,5 miliardi. Nel dettaglio, i fondi delle aziende sono cresciuti di 13,8 miliardi (+7,30%) da 190,1 miliardi a 203,9 miliardi: l'incremento medio è superiore a 1 miliardo al mese.




I salvadanai delle famiglie sono aumentati di 30,4 miliardi (+3,54%) al ritmo di oltre 2,5 miliardi al mese, passando da 861,2 miliardi a 891,7 miliardi.
Gli accantonamenti delle imprese familiari sono incrementati, poi, di 2,2 miliardi (+5,25%) da 43,5 miliardi a 45,7 miliardi. In salita anche i depositi delle onlus (organizzazioni non lucrative), cresciuti di 717 milioni (+3,13%) da 22,9 miliardi a 23,6 miliardi, e quelli delle banche, aumentati di 32,1 miliardi (+10,2%), probabilmente come conseguenza delle nuove regole europee sui requisiti di capitale diventate più stringenti, da 315,3 miliardi a 347,5 miliardi. In leggero calo, invece, di 1,3 miliardi (-5,35%) i depositi delle assicurazioni diminuiti da 24,5 miliardi a 23,2 miliardi (ndr; qui i tassi in forte calo, dei titoli in portafoglio, parrebbero indurre il settore assicurativo a cercare di tamponare con le riserve la difficoltà di garantire le prestazioni e i rendimenti promessi)



CARTELLINO CONTO CORRENTE

Tra i risultati più rilevanti dell'analisi per strumento, il comparto del conto corrente ha registrato la crescita più alta tra gennaio 2014 e gennaio 2015: da 789,6 miliardi a 873,1 miliardi in aumento di 83,5 miliardi (+10,57%).
Sale anche l'ammontare del denaro circolante, passato da 158,6 miliardi a 170,9 miliardi in crescita di 12,3 miliardi (+7,77%). Sono leggermente cresciuti i depositi rimborsabili con preavviso: lo stock di denaro è passato da 310,6 miliardi a 313,5 miliardi in aumento di 2,9 miliardi (+0,94%). I depositi vincolati a breve scadenza, invece, sono diminuiti sensibilmente, probabilmente in corrispondenza del calo degli interessi riconosciuti dagli intermediari, da 165,4 miliardi a 137,1 miliardi con una diminuzione di 28,3 miliardi (-17,14%).




''Le famiglie e le aziende, che pure avrebbero la possibilità di far circolare denaro, incrementando i consumi e scommettendo sul futuro, preferiscono la via della prudenza'', afferma Longobardi. Si temono momenti ''ancora peggiori, magari accompagnati dall'ennesimo inasprimento fiscale interno o nuovi scossoni in arrivo dal fronte internazionale''. Ma se i flussi finanziari sono deboli, avverte il presidente, ''possiamo dire addio alla ripresa: ecco perché è fondamentale e urgente far ripartire i consumi".


2. A margine di questa impressionante serie di dati, c'è da dire che il problema non sembra soltanto quello dell'aspettativa di nuove tasse - problema che certamente si connette alla "bomba ad orologeria" delle clausole di salvaguardia (v.P.9) contenute nella legge di stabilità, in coerenza con l'inasprimento fiscale comunque preannunziato nel DEF per i prossimi due anni,- ma, in termini tragicamente attuali, quello del timore di non farcela neppure a pagare le tasse già vigenti, alle prossime scadenze.


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3. E' evidente che se sussiste un confluire di queste due potenti pulsioni difensive, l'aumento del risparmio è solo un segnale di crisi persistente mentre le famiglie e le imprese scontano, più o meno consapevolmente:
a) la rinuncia persino alla speranza che gli investimenti netti (cioè quelli che vanno al di là del mero mantenere in funzione le strutture e gli impianti esistenti) possano dar luogo a profitti più elevati dei rendimenti finanziari di breve e medio termine: questi oggi già ai minimi termini. Come dire che nessuno si aspetta che i profitti ci possano proprio essere e, anzi, intraprendere nuove iniziative sarebbe una probabilissima prospettiva di perdita;
b) la stessa complessiva situazione - che si pone in continuità con il crollo e la proseguita caduta degli investimenti- e che determina che le eventuali assunzioni di lavoratori determinate dall'incentivo, peraltro transitorio (P.6, lett.b)), legato al jobs act, saranno effettuate su una struttura produttiva che,a malapena, potrà considerarsi immutata e stagnante, nel mantenimento, cosa che sarebbe già un risultato difensivo accettabile (specie per le imprese che si basano essenzialmente sulla domanda interna);


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c) il fatto che la eventuale diminuzione del tasso di disoccupazione si manifesterà, - se pure si verificherà (e non è detto, sussistendo fattori traumantici di incertezza oggi sottovalutati)-, su un numero di "posti" inalterato: cioè avremo il rafforzamento dell'attuale tendenza al part-time involontario, subito dal lavoratore contro le sue aspirazioni (assumo due per svolgere, a minor costo, il lavoro che in precedenza era svolto da uno);


Cigno nero Austria fa prima vittima in Germania- Fallisce azienda erogatrice di mutui, che paga a caro prezzo esposizione a bad bank(!) della banca austriaca Hypo Alpe Adria. Interviene fondo garanzia depositi.

d) che a questo insieme di elementi si aggiunge il demansionamento: assumo al posto di un lavoratore anziano (divenuto più agevolmente) licenziabile, un "giovane" meno qualificato e comunque inquadrato ad un livello retributivo inferiore; o ancora, sostituisco a un quadro (licenziato o pre-pensionato) un lavoratore di livello inferiore, senza variarne inquadramento e retribuzione ma soltanto le mansioni, sfruttando lo scollamento, ora consentito, tra mansioni per cui si viene assunti e mansioni di cui organizzativamente è possibile imporre lecitamente lo svolgimento.


4. Questo quadro di politiche economiche (divenute vincoli normativi su spinta €uropea), ci dice come le aspettative di crescita della domanda, e quindi la propensione a investire, non possano aumentare: e anche come queste aspettative, coscienti o meno che ne siano gli "operatori economici", siano legate al mercato del lavoro.
E' chiaro che la situazione potrebbe apparire favorevole solo al limitato numero di imprese che possono contare su un prevalente fatturato di esportazione della rispettiva produzione.
Ma di certo, la percezione di una domanda interna che non "può" riprendersi, proprio per via di questo assetto del mercato del lavoro, rende il carico tributario già oggi una prospettiva tale da portare il sistema nella "trappola della liquidità," alimentando una spirale deflazionistica che è innescata, senza alcuna contromisura nemmeno lontanamente ipotizzata, dalla correzione fiscale in pareggio di bilancio intrapresa all'interno dell'eurozona.
Insomma, disoccupazione "strategica" e diminuzione "forzosa" delle importazioni indotta dal consolidamento fiscale e dal violento calo dei redditi disponibili, possono pure aggiustare (transitoriamente) i conti delle partite correnti; ma solo al prezzo di innescare un ritardo nell'effettuazione degli investimenti che si struttura in una vera e propria deindustrializzazione, rendendo lo stock del risparmio (passato) la mera garanzia di un'escussione futura da parte dei creditori bancari o fiscali. In ogni caso, esecutori per conto dell'€uropa.


5. Contrariamente a quanto dice qualcuno, con frettolosa considerazione soltanto di un effetto correttivo sul breve, l'austerità NON funziona: certamente ristruttura l'offerta produttiva del paese che vi è costretto, ma in un avvitamento distruttivo verso il basso. Un avvitamento che, superato un certo limite di durata, diviene irreversibile.


Che le cose stiano così, non ci vuole poi molto a capirlo, se lo si vuole capire. E Kaldor lo aveva spiegato molto bene (come riportato in questo post ispirato al lavoro di Nuti):
"...sappiamo che in una depressione prolungata la capacità produttiva non solo rimane inutilizzata ma in realtà viene distrutta: le imprese chiudono e solo tutt’al più una frazione del loro capitale produttivo viene ri-utilizzato altrove in altri usi produttivi. Anche il capitale umano viene distrutto: i lavoratori in esubero si disperdono, e le loro qualifiche vanno perdute o dimenticate o diventano obsolete. Quando la produzione reale cade al di sotto della produzione potenziale a un certo punto l’investimento lordo cessa e l’investimento netto cade sotto lo zero, quando il capitale obsoleto o in eccesso non viene sostituito, riducendo non solo il numero degli occupati ma anche quello dei lavoratori “occupabili”, facendo cadere il sentiero di sviluppo della produzione potenziale (Vianello 2005).
Una domanda insufficiente protratta nel tempo inevitabilmente genera un rallentamento nella formazione di nuova capacità produttuva e quindi di reddito potenziale” (ibidem). I lavoratori scoraggiati smettono di cercare lavoro e il tasso di partecipazione cade. Come Nicholas Kaldor (1983) aveva affermato, “È illegittimo assumere che esista un sentiero di sviluppo di equilibrio di lungo periodo, per un singolo paese o anche per il mondo nel suo complesso, determinato dallo sviluppo della popolazione, l’accumulazione di capitale e il tasso di progresso tecnico, tutti presi esogeneamente [il corsivo è nostro].” (p. 95).




In tali condizioni, nel mondo che conosciamo, il consolidamento fiscale certamente può danneggiare la crescita e lo sviluppo economico, anche se non è coordinato internazionalmente. Cio’ non significa che non ci siano limiti alla abilità di un paese o anche di un gruppo di paesi di sostenere uno stimolo fiscale.
Ma il consolidamento fiscale va assolutamente evitato fintantoché il rapporto PIL/Debito Pubblico (attenzione: è proprio PIL su debito, ndr.) è inferiore al moltiplicatore fiscale – anche se altrimenti il paese sta crescendo più lentamente del tasso di interesse sul suo debito, perche’ con un consolidamento fiscale perverso il paese continuerebbe a fare aumentare il proprio rapporto Debito Pubblico/PIL ancora più rapidamente che con uno stimolo fiscale continuato.

Questo è vero anche se la spesa pubblica consiste nella proverbiale politica keynesiana di ingaggiare dei lavoratori per scavare delle buche e altri lavoratori per riempirle, che Tanzi (2012) vorrebbe relegare “al museo delle idee vecchie e sbagliate” (p. 11). Ovviamente la sostituzione di spesa improduttiva con investimento produttivo porta benefici addizionali significativi rispetto alla continuazione di investimento improduttivo come scavare e riempire buche o costruire piramidi o cattedrali, ma anche la continuazione di tale investimento improduttivo è superiore al consolidamento fiscale perverso".




Pubblicato da Quarantotto a 13:00 Nessun commento: Invia tramite emailPostalo sul blogCondividi su TwitterCondividi su FacebookCondividi su Pinterest






sabato 14 marz
 
tradotto... tassare un paese per farlo prosperare ,equivale a mettere un ometto nudo dentro ad un secchio,che per alzarsi tira il manico,,,,,,,wiston c.
 
L’Ucraina e i Rothschild

marzo 17, 2015 Lascia un commento

Valentin Katasonov Strategic Culture Foundation 17/03/2015Un gruppo di grandi investitori internazionali ha acquistato titoli del governo ucraino. La Franklin Templeton è una di essi. Il gruppo d’investimento derubava il debito internazionale ucraino per un valore nominale di quasi 5 miliardi di dollari, a fine agosto, quasi un quinto dei titoli di Stato del Paese in circolazione. La Franklin Templeton ha i tratti dell'”avvoltoio finanziario”. Fino ad oggi la somma versata per il 20% del debito nazionale dell’Ucraina rimane un segreto commerciale. Gli avvoltoi acquistano titoli quasi spazzatura, valutati con prezzi bassi esigendone poi il completo pagamento dall’emittente. L’Argentina è un buon esempio dell’attività distruttiva degli avvoltoi. Il Paese ha un accordo sulla ristrutturazione del 95-97% dei titolari di debito, ma il resto è nelle mani di avvoltoi finanziari che hanno rovinato tutto, esigendone il pagamento completo. Gli avvoltoi (due fondi di investimento statunitensi) hanno avviato un procedimento giudiziario per mandare in bancarotta l’Argentina. Il Paese può essere spietatamente saccheggiato nel caso accetti gli ultimatum degli avvoltoi e la sentenza del tribunale degli Stati Uniti. La storia è un avvertimento per l’Ucraina che ha venduto i suoi titoli alla Franklin Templeton. Secondo un articolo di Bloomberg, il fondo d’investimento agisce sotto la giurisdizione degli Stati Uniti ed è controllato dalla famiglia Rothschild, nota per la sua efferatezza. L’anno scorso ho scritto nel mio articolo sulla situazione finanziaria del regime di Kiev e le prospettive sul default dell’Ucraina che essa affronterà una bancarotta che “non arriverà mai”, secondo le assicurazioni del premier ucraino Arsenij Jatsenjuk. Alcuni potrebbero perdere miliardi, altri acquisire ricchezze inaudite. Come l’esperienza globale dimostra, il default raramente è estemporaneo. Normalmente viene previsto. A volte i preparativi possono durare alcuni anni. L’Ucraina non è un’eccezione, non adempiendo ai debiti. Il tempo sarà definito da sponsor e modeste organizzazioni beneficiarie come Franklin Thompson. Al momento della stesura dell’articolo non sapevo i loro nomi, ma ora sono venuti allo scoperto. E’ un segno che il dramma si avvicina all’epilogo.
La famiglia Rothschild ha messo a punto un’iniziativa per creare un gruppo di titolari di obbligazioni ucraine per plasmare una politica comune sul regolamento dei debiti. Banque Rothschild&Cie, una banca francese appartenente al gruppo Rothschild, ha offerto i suoi servizi d’intermediazione nei colloqui del ministero delle Finanze ucraino con i creditori sulla ristrutturazione del debito. Ora i creditori attendono che Kiev presenti le proposte a metà marzo, secondo Giovanni Salvetti, co-responsabile per Russia e CSI presso la Rothschild Inc., che si occupa di Europa centrale ed orientale e della Comunità degli Stati Indipendenti. Salvetti ha detto che ci sono due opinioni fra i creditori sull’istituzione del comitato: chi vuole aspettare e vedere cosa il governo dirà e chi vuole impostare “alcune linee dure sulla possibile ristrutturazione, dicendo di aspettare le proposte ma è consapevole di non poter accettare X, Y, Z”. Le informazioni di Bloomberg non sono dettagliate ma permettono di trarre le seguenti conclusioni: in primo luogo il default dell’Ucraina è inevitabile e i titolari del credito ne sono consapevoli; secondo, il default sarà accompagnato da ristrutturazioni con dure condizioni sfavorevoli per l’Ucraina. Un dettaglio colpisce, la fuga sulla ristrutturazione del debito e il default è coincisa con l’annuncio del Fondo monetario internazionale che l’11 marzo ha firmato un prestito di 17,5 miliardi di US per l’Ucraina a corto di liquidità, per mantenerne a galla l’economia. Il prestito del FMI coprirà quattro anni nel quadro del programma di stabilizzazione. La coincidenza può essere interpretata in vari modi.
Primo. Non vi è alcun coordinamento tra Fondo monetario internazionale e gruppo Rothschild; si contendono il controllo dell’economia ucraina.
Secondo. Non è una decisione “genuina” del Fondo monetario internazionale, ma piuttosto un’azione di PR intrapresa per impedire l’ulteriore caduta degli investimenti e del credito dell’Ucraina.
Terzo. La decisione è “autentica”. L’Ucraina riceve il denaro ma non per qualche effimero “programma di stabilizzazione economica”. Lo scopo è garantire che la Franklin Templeton e altri predatori finanziari che agiscono sotto la maschera di rispettabili “fondi di investimento” ricevano il pieno rimborso dei titoli dell’Ucraina. Se è così, Rothschild e Fondo monetario internazionale coordinano efficacemente le loro attività.
I titolari della sicurezza sono fiduciosi sull’inevitabilità dell’inadempienza dell’Ucraina. In questo caso il Paese sarà governato dal duumvirato tra governo degli Stati Uniti e oligarchia finanziaria mondiale sulla base dell’accordo per la ristrutturazione del debito firmato da Kiev con i Rothschild. Si può presumere che l’accordo confermi il consenso del governo dell’Ucraina sulla completa privatizzazione del Paese, tra cui il resto dell’industria statale, territorio e risorse naturali. Franklin Templton e altre strutture dei Rothschild vi guadagneranno. Andrej Fursov, sociologo, storico, scrittore e pubblicista russo (autore di diversi libri di storia moderna), ritiene che i Rothschild siano invisibilmente presenti in tutte le regioni dell’Ucraina, compresa la parte orientale del Paese e in settori dell’economia. La missione principale è controllare l’Oblast (provincia) di Dnepropetrovsk, al centro dell’Ucraina, dove la Rothschild Europe Bank e la controllata Royal Dutch Shell già operano. Può essere definito centro dell’intelligence legale dei Rothschild. Gli esperti ritengono che la rappresentanza illegale sia molto più efficace includendo molti individui ed aziende controllati dai Rothschild. In realtà l’attuazione del programma di ristrutturazione del debito sovrano dell’Ucraina si baserà sui dati ricevuti dalle stazioni di spionaggio legali e illegali dei Rothschild in Ucraina. Non è tutto così facile. I Rockefeller hanno un punto d’appoggio nella parte occidentale dell’Ucraina, dove perseguono i propri obiettivi. I due gruppi cercano di dividersi le sfere d’interesse ma non possono farlo senza litigare. Ad esempio, molti esperti ritengono che il magnate Dmitrij Firtash sia il principale rappresentante dei Rothschild in Ucraina. La sua rimozione dalla scena è attribuita ai Rockefeller che effettivamente utilizzano il potere amministrativo di Washington a Kiev. Il duumvirato emergente in Ucraina e l’imminente bancarotta rendono la situazione in Ucraina poco prevedibile.
Mark Mobius, responsabile della Franklin Templeton

Dmitrij Firtash

La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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La truffa dell’Unità d’Italia: dal ladro Garibaldi ai Rothschild
DI Enrico Novissimo per Collana Exoterica
Il processo di Unità di Italia ha visto come protagonisti una sfilza di uomini più o meno celebri, i cosiddetti padri del Risorgimento. Dal nord al sud Italia ogni piazza o via principale si fregia di nomi illustri: Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele etc.
Il popolo viene indottrinato fin dalla più tenera età a considerare costoro dei veri eroi, gli artisti li raffigurano esaltando il loro valore in maniera da rafforzare il mito che li circonda. Innumerevoli sono infatti le opere d’arte che ritraggono l’eroe dei due Mondi ora a cavallo…ora in piedi che impugna alta la sua spada, alcune volte indossa la celebre camicia rossa…altre volte si regge su un paio di stampelle come un martire. Tuttavia un ritratto che di certo non vedremo mai vorrebbe il Gran Maestro massone, Giuseppe Garibaldi, privo dei lobi delle orecchie. E dire che nessuna raffigurazione potrebbe essere più realistica poiché al nostro falso eroe furono davvero mozzate le orecchie, la mutilazione avvenne esattamente in Sud America, dove l’intrepido Garibaldi fu punito per furto di bestiame, si vocifera che fosse un ladro di cavalli. Naturalmente nessuna fonte ufficiale racconta questa vicenda.
È dunque lecito chiedersi quante altre accuse infanghino le gesta degli eroi risorgimentali? Quante altre macchie vennero lavate a colpi d’inchiostro da una storiografia corrotta e pilotata? Ma soprattutto quale fu il ruolo dei banchieri Rothschild nel processo di Unità d’Italia?
La Banca Nazionale degli Stati Sardi era sotto il controllo di Camillo Benso conte di Cavour, grazie alle cui pressioni divenne una autentica Tesoreria di Stato. Difatti era l’unica banca ad emettere una moneta fatta di semplice carta straccia. Inizialmente la riserva aurea ammontava ad appena 20 milioni ma questa somma ben presto sfumò perché reinvestita nella politica guerrafondaia dei Savoia. Il Banco delle Due Sicilie, sotto il controllo dei Borbone, possedeva invece un capitale enormemente più alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere moneta per 1.200 milioni ed assumere così il controllo dei mercati.
Cavour e gli stessi Savoia avevano ormai messo in ginocchio l’economia piemontese, si erano indebitati verso i Rothschild per svariati milioni e divennero in breve due burattini nelle loro mani. Fu così che i Savoia presero di mira il bottino dei Borbone. La rinascita economica piemontese avvenne mediante un operazione militare espansionistica a cui fu dato il nome in codice di Unità d’Italia, un classico esempio di colonialismo sotto mentite spoglie. L’intero progetto fu diretto dalla massoneria britannica, vero collante del Risorgimento. Non a caso i suddetti eroi furono tutti rigorosamente massoni.
La storia ufficiale racconta che i Mille guidati da Giuseppe Garibaldi, benché disorganizzati e privi di alcuna esperienza in campo militare, avrebbero prevalso su un esercito di settanta mila soldati ben addestrati e ben equipaggiati quale era l’esercito borbonico. In realtà l’impresa di Garibaldi riuscì solo grazie ai finanziamenti dei Rothschild, con i loro soldi i Savoia corruppero gli alti ufficiali dell’esercito borbonico che alla vista dei Mille batterono in ritirata, consentendo così la disfatta sul campo. Dunque non ci fu mai una vera battaglia, neppure la storiografia ufficiale ha potuto insabbiare le prove del fatto che molti ufficiali dell’esercito borbonico furono condannati per alto tradimento alla corona. Il sud fu presto invaso e depredato di ogni ricchezza, l’oro dei Borbone scomparve per sempre. Stupri, esecuzioni di massa, crimini di guerra e violenze di ogni genere erano all’ ordine del giorno. L’unica alternativa alla morte fu l’emigrazione. Il popolo cominciò a lasciare le campagne per trovare altrove una via di fuga. Ben presto il malcontento generale fomentò la ribellione dei sopravvissuti, si trattava di poveri contadini e gente di fatica che la propaganda savoiarda bollò con il dispregiativo di “briganti”, così da giustificarne la brutale soppressione.
A 150 anni di distanza si parla ancora di questione meridionale. Anche i più distratti scoveranno diverse analogie con quella che oggi viene invece definita questione palestinese. Stesse tecniche di disinformazione, stesse mire espansionistiche e soprattutto stesse famiglie di banchieri.
 
DERIVATI DI STATO": CHI FRUISCE VERAMENTE DELLA COPERTURA DEL RISCHIO?


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1. Ho aggiornato questo post di Poggiopoggiolini annettendovi un commento alla successiva audizione parlamentare della responsabile ministeriale del debito pubblico, in data 26 febbraio 2015, relativa ai contratti in "derivati" stipulati dalla Repubblica italiana.
Quello che "parrebbe" chiaro è che, variandone il "nozionale" (cioè il valore di mercato), tali contratti determinerebbero attualmente una differenza NEGATIVA, -in relazione alla capitalizzazione del flusso in entrata (nelle casse dello Stato) e del flusso negativo in uscita (nelle casse delle banche) -, di circa 42 miliardi.
Questa perdita ("in conto capitale") non sarebbe corrispondente (pare) a un esborso attuale, a meno che la controparte non possa far valere un diritto di recesso (più che di risoluzione), derivante dal contratto volontariamente accettato dal nostro Tesoro. Cioè, in questi casi, la perdita statale viene consolidata in una corrispondente plusvalenza privata.
I casi concreti in cui ciò possa accadere non sono "conoscibili" perchè i relativi contratti sono "secretati" e non resi neppure disponibili al Parlamento.


Inoltre, è senz'altro ammesso, - ma senza precisarne la misura effettivamente erogata annualmente-, che tra i flussi in entrata e quelli in uscita può esservi, di anno in anno, una differenza: quest'ultima, tuttavia, se negativa, non può che implicare una copertura mediante emissione di debito pubblico addizionale.
A quanto poi, questa copertura di "differenziale" negativo, tra flussi in entrata e in uscita, sia corrisposta (nel caso sia stata, COME PARE DAI NOZIONALI ATTUALI, a saldo COMPLESSIVAMENTE NEGATIVO) non è dato sapere.


2. NON APRITE QUELLA PORTA


"Il film che state per vedere è un resoconto della tragedia che è capitata [..]; il fatto che fossero giovani rende tutto molto più tragico, le loro giovani vite furono stroncate da eventi così assurdi e macabri che forse neanche loro avrebbero mai pensato di vivere... per loro [..] si trasformò in un incubo e i fatti [..] portarono alla scoperta di uno dei crimini più efferati della storia .."
(voce narrante all'apertura della proiezione del horror-indi film, regia Tobe Hopper, 1974)
Ci sono abitatori che preferiscono l’horror, altri meno anche quando l’horror è”indi”, cioè indipendente.


Con qualche dubbio che gli invitati avessero storia e cognizione dei fotogrammi proiettati il 10 di febbraio 2015 dalla dr.ssa Maria Cannata, da sempre direttore del debito pubblico del Tesoro del Bel Paese, rititolati, nel remake, "INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FINANZIARI", fugacemente interrotti dal “buon cuore” dell'on Capezzone, presidente della VI Commissione Finanze, nelle aule Parlamentari.
Ne rimane, comunque fortunosamente, il copione per quanti ne hanno – sempre più stracchi – la voglia di leggerlo e farne considerazioni per quello che congiunge le piste crittografiche di questo tratto di Storia: la nostra e quella degli altri, tutte interconnesse dall’internazionalismo della finanza.
Sfogliando le pagine, appaiono le figure e, sempre, lo stupore nel verificare che il MI(ni)STERO DELL’ECONOMIA E FINANZA del Bel Paese ricorra alle referenze di US Bloomberg per certificare l’andamento storico dei tassi EURIBOR confrontati ai BOT 6M (ref pag 14), quando le tabule dei Supplementi della BdI potrebbero riportare “imparzialità e attentibilità” istituzionale.










Sarebbero – Alalà al “pellerossa” - da commentare i differenziali del 2007-2008 e i picchi 2011-2012 dei tassi di interesse EURIBOR (l’interbancario soggetto di manipolazione) ed i "richiesti/concessi" delle obbligazioni BOT ma s’aprirebbero litigiosità antiche di comari litigiose separate – consensuale o meno, richiesta/dovuta - tra Banca d’Italia e governo dell Bel Paese.
Ella, tirata per la gonnella, comincia a mostrare qualche lato “approssimativo” del carico finanziario dei contratti OTC conclusi dallo Stato del Bel Paese:
· prodotti “derivatives” Statali: circa € 159,6 mld


o 14% di cross currency swap (assicurazione sulla fluttuazione del rischio di cambio di titoli emessi in valuta estera)
o 72% interest rate swap (assicurazione sulla variazione dell’interesse contrattualizzato FISSO/VARIABILE espressi dal “libero” mercato)
o 12% swaption (opzioni contrattuali tra creditore e debitore per “entrare” nell’applicazione di un tasso d’interesse fisso in un determinato momento al variare del tassi – Linneo non l’aveva ancora censito)
o 2% collaterale di INFRASTRUTTURE SpA (società finaziaria, parte di C.DD.PP., per il finanziamento attraverso obbligazioni, mutui e cartolarizzazioni di opere infrastrutturali pubbliche, )
· prodotti “derivatives” Enti Locali: circa € 25 mld
· aggiornamento dei totali in “rosso”: circa € 36,87 mld (+ € 21 mld rispetto al 2013 .. ahah)
· varie non legate al debito “pubblico”: circa € 3,5 mld 3


I “grigi” tabulati del bollettino statistico n. 6/2015 della BdI riportano in dettaglio il portafoglio in strumenti derivati della Repubblica Italiana.


C’è da credere che agli “auditor” frettolosi, - senza minimamente ridurre il significato del BLITZKRIEG ALLA COSTITUZIONE ITALIANA, (c'è chi lo chiama golpe)-, siano sfuggite POSTILLE, recanti i CONCETTI e i COSTI DI RISOLUZIONE ANTICIPATA UNILATERALE (in english: “additional termination event”) della “contrattualistica” ISDA MASTER ancorata alle valutazione dei “derivatives”.
Il tutto con i voti (=quotazione di mercato) decretati dalle AGENZIE DI RATING; sebbene con qualche conflitto di interesse tra gli azionisti (in comune) degli istituti di credito/fondi di investimento “privati” e delle agenzie. Quella è l’ufficialità internazionale della LEX MERCATORIA& LAW FORM...


Come lo stupore non sarebbe mai troppo nel leggere di VINCOLI e CONDIZIONALITA’ - “break clauses” e “credit events”, ovviamente interconnesse alle categorie del “merito del credito” dagli analisti s/prezzolati delle agenzie di rating- che consentono l’attivazione della risoluzione anticipata con un ragionieristico calcolo.


3. C’è poi da rammentare che - qualche settimana dopo l’insediamento dei "monti...salvatori" - dopo dati e notizie della US SEC nella calza della Befana 2012, gli italiani, tronfi di un natalino silente, hanno sborsato US$ 3,4 md per il pagamento della clausola di risoluzione anticipata, chiesta unilateralmente da Morgan Stanley su contratti “derivatives” conclusi qualche decennio prima dagli allora DG del Tesoro; "monti salvatori" che inviano il “povero” maestro elementare (il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Marco Rossi Doria) a rispondere su interrogazioni parlamentari per avvallare € 60 mld di risorse del Bel Paese erogate per garantire i crediti di “alleati” €urisici.
E la risposta all'interrogazione chiarisce:
"Ad oggi il nozionale complessivo di strumenti derivati a copertura di debito emessi dalla Repubblica italiana ammonta a circa 160 miliardi di euro, a fronte di titoli in circolazione, al 31 gennaio 2012, per 1.624 miliardi di euro. Quindi, il nozionale ammonta, per rispondere alla domanda, a circa il 10 per cento dei titoli in circolazione.
Degli strumenti derivati in essere, circa 100 miliardi sono interest rate swap, 36 miliardi cross currency swap, 20 swaption e 3,5 miliardi degli swap ex ISPA.
I 36 miliardi di euro di nozionale dei cross currency swap corrispondono alla quasi totalità dei titoli emessi nel corso degli anni in valuta non euro, sotto il programma delle missioni internazionali. Pertanto, la quasi totalità delle missioni estere sono state coperte dal rischio valutario.
In data 27 dicembre 2006 l'insieme delle passività contratte da ISPA, sia in forma di titoli sia di mutuo, nonché i contratti derivati a loro associati, sono stati trasferiti, per legge, alla Repubblica.

In particolare, gli interest rate swap presentano un tasso a pagare medio ponderato a carico della Repubblica che è inferiore a quello pagato sul debito di durata comparabile. Con questi swap il Tesoro si è immunizzato, dunque, dai rialzi dei tassi di interesse sulla parte di nozionale interessata, contribuendo all'allungamento della durata finanziaria del proprio debito.
Risulta, peraltro, fuorviante associare ai derivati, nella forma e nelle modalità utilizzate dal Tesoro nell'ambito della gestione del debito pubblico, il concetto di guadagno o perdita. Infatti, coerentemente con la finalità di utilizzo dei derivati e in considerazione del loro limitato ammontare relativo allo stock di debito esistente, per ogni anno si sono verificati - e si verificheranno in futuro - differenziali positivi o negativi tra quanto pagato e quanto incassato, derivanti dall'andamento dei parametri di indicizzazione della gamma variabile (generalmente l'Euribor), che sono riportati annualmente con chiarezza nei documenti statistici ufficiali.
In merito al valore di mercato del «portafoglio derivati» della Repubblica italiana, si precisa che lo stesso è definito come il valore attuale dei flussi futuri scontati al presente e che varia continuamente al variare sia del livello dei tassi di mercato sia della conformazione della curva dei rendimenti. Appare evidente che lo stesso è, quindi, un valore in continuo mutamento, la cui rilevanza per uno Stato sovrano risulta essere limitata.
Qualora un titolo di Stato dopo la sua emissione, a seguito di una diminuzione dei tassi di mercato, si trovasse a presentare un prezzo al di sopra della pari - 100, che è il valore di rimborso e quello a cui viene contabilizzato il debito contratto dallo Stato con la sua emissione -, allora si dovrebbe contabilizzare a tale valore superiore, definendo così un aumento del debito che non corrisponde ad un incremento effettivo dell'impegno dello Stato nei confronti dei creditori.
Specularmente, si verifica l'opposto in caso di aumento dei tassi di mercato.
Appare evidente l'incongruità, dato che il debito è sempre pari a cento, a meno che non si proceda ad un riacquisto pagando il prezzo di mercato sotto la pari.
A differenza di un titolo di Stato, gli swap di tasso d'interesse non sono debiti che devono essere ripagati a scadenza, ma solo scambi di flussi su un nozionale convenzionale, la cui chiusura anticipata può essere effettuata esclusivamente su base volontaria e consensuale, da parte di entrambe le controparti coinvolte, a meno di precise clausole contrattuali che predetermino un evento di chiusura anticipata.
Per quanto riguarda, in particolare, la vicenda relativa alla Morgan Stanley, riportata da alcuni organi di stampa e richiamata nell'interpellanza, si fa presente che, alla fine del 2011 e con regolamento, il Ministero dell'economia e delle finanze, in data 3 gennaio 2012, ha proceduto alla chiusura di alcuni derivati in essere con Morgan Stanley (due interest rate swap e due swaption) in conseguenza di una clausola di «Additional Termination Event» presente nel contratto quadro (ISDA Master Agreement) che regolava i rapporti tra la Repubblica Italiana e la banca in questione.
Tale clausola, risalente alla data di stipula del contratto, nel 1994, era unica e non presente in nessun altro contratto quadro vigente tra il Ministero e le sue controparti, e non è stato possibile, nel corso degli ultimi anni, rinegoziare la stessa.
In virtù di tale clausola, si è proceduto alla chiusura anticipata di alcuni derivati con Morgan Stanley, regolandone il controvalore in 2,567 miliardi senza il coinvolgimento di terze parti.


In merito alle affermazioni ed alle questioni poste a proposito dei cosiddetti "credit default swap" riguardanti la Repubblica italiana come emittente di debito, si riporta una tabella aggiornata al 24 febbraio 2012 (stessa fonte dei dati riportati nell'interpellanza e nei citati articoli di stampa), dalla quale risulterà evidente come non ci sia una particolare rilevanza delle posizioni nette in credit default swap circolanti sul debito italiano, con Paesi come la Francia e la Germania che, oltre ad avere un nozionale dello stesso ordine di grandezza di quello italiano, mostrano un rapporto sul debito esistente maggiore del caso italiano.




PRESIDENTE. L'onorevole Borghesi ha facoltà di replicare.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, signor sottosegretario, mi dichiaro in parte soddisfatto e in parte no. In parte soddisfatto perché finalmente abbiamo alcuni dati precisi che il sottosegretario ha elencato e che ci fanno capire che, comunque, il nostro Paese ha un'esposizione in derivati che non è piccolissima: alla fine, parliamo di circa il 10 per cento dell'ammontare complessivo dei titoli e, in un periodo in cui i derivati possono portare a situazione di difficoltà, certamente qualche problema e qualche necessità di monitoraggio immagino che vi sia.
Non sono, invece, soddisfatto della risposta che riguarda la chiusura anticipata e spiego perché.

Quasi sempre in quel tipo di contrattazioni è lasciata la possibilità di una chiusura anticipata e volontaria - quindi dipende dalla volontà delle parti di procedervi - e non dobbiamo dimenticare che in quel particolare momento, un momento molto difficile per il nostro Paese, anche altri Paesi avevano cercato di liberarsi delle posizioni debitorie verso di noi, la Germania, le banche tedesche, in particolare - mi pare - di qualcosa come 7 miliardi di euro, quindi di qualcosa di assolutamente rilevante.
Dunque, l'idea che ci sia stata una chiusura volontaria anticipata della posizione può dare adito a qualche riflessione che tiene conto anche dei soggetti interessati da questa operazione.
Per carità, nessuno pensa che sia un delitto il fatto che il figlio del Presidente del Consiglio lavori per Morgan Stanley e che il capo country manager per Morgan Stanley in Italia sia Domenico Siniscalco, che è stato Ministro dell'economia e delle finanze in un precedente Governo Berlusconi. Lei esclude che ci sia una terza parte, qualcuno parlava di Banca Intesa il cui amministratore delegato oggi è Ministro di questa Repubblica.
Certo, la trasparenza in questi casi è necessaria perché da qui ad un ipotetico conflitto d'interessi - che basta che sia ipotetico per essere negativo - qualche ragionamento dovrebbe pur essere fatto
.



4. Come non rilevare, senza stupore, la divergenza del MARK-TO-MARKET (il valore attuale dei flussi futuri), che definisce la differenza tra il tasso che si paga e il tasso che si riceve, nel corso della durata dell’obbligazione riportata nei grafici successivi (pag 25)

2006




2014








"Madre” di tante guerre in nome della “democrazia”: nel Bel Paese, in Kosovo, in Bosnia, in Siria, in Libia, in Afghanistan, in Iraq ...


5. APPENDICE (alla successiva e "nuova" audizione della dott.ssa Cannata del 26 febbraio 2015, successiva a quella del 10 febbraio):



L’unica cosa certasui derivati sottoscritti dal Ministero dell’Economia è che non c’è certezza su niente. Gli unici veri dati che sono venuti fuori dalla nuova audizione (ieri) della dottoressa Maria Cannata alla Commisione d’indagine parlamentare sono:

a) l’ammontare totale dei derivati sottoscritti dal Tesoro è di 152 miliardi di euro;

b) il mark to market è negativo per 42 miliardi;

c) sono state vendute opzioni sui tassi d’interesse;

d) i parlamentari non hanno e non avranno accesso ai contratti;




In queste quattro verità c’è tuttavia un indizio importante su come si sia sviluppata negli anni la gestione dei derivati della Repubblica italiana.






Il primo dato è che i parlamentari italiani votano un bilancio di cui non conoscono i documenti sottostanti alla sua formazione. Il secondo è che chi ha gestito il debito pubblico sino ad ora è riuscito a produrre una perdita del 30% sul portafoglio dei derivati, un record assoluto se vogliamo credere che i derivati non nascondano in realtà dei prestiti camuffati contratti dallo Stato italiano con le banche.




Il terzo è che la vendita di opzioni non è qualificabile come copertura di rischio: la dottoressa Cannata ha dunque nei fatti smentito il ministro Padoan che tramite il suo portavoce aveva sostenuto che i derivati dello Stato italiano erano stati sottoscritti solo per copertura “come assicurare un’auto contro in rischio di furto ed incendio “ (http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/italia-deriva-ti-padoan-prova-dissociare-contratti-derivati-91416.htm).
In questo caso il Mef ha venduto un’assicurazione a qualcuno, invertendo completamente il senso della copertura.




Quindi o il Ministro ha mentito oppure non era informato dagli uffici competenti, in entrambi i casi conferma un’ampia zona d’ombra sul bilancio dello Stato.






Questa zona d’ombra è stata perpetuata dal diniego dell’accesso agli atti opposto dal Mef ai parlamentari della commissione finanza. La Cannata motiva tale diniego con “possibili giochetti” degli speculatori contro le posizioni del Tesoro.
Francamente con una perdita del 30% sul portafoglio si potrebbe dubitare che uno speculatore riuscirebbe a fare meglio di così.




La dottoressa Cannata dimentica volontariamente che fondi d’investimento e banche d’affari sono piene di ex direttori generali del Tesoro, quindi l’assurdo è che mentre le banche conoscono le posizioni in derivati del Tesoro il Parlamento italiano non le può sapere.
La commissione d’indagine sui derivati finirà così a tarallucci e vino fra un Ministero reticente ed i parlamentari che in realtà non vogliono o non sanno fare le domande giuste."







Me cargo en el amor


è un mondo difficile ..
è vita intensa ..
felicità a momenti ..
futuro incerto


Basta esserne consapevoli
Tiremm innanz... !











Pubblicato da Quarantotto a 11:48
 
Il Piano B dell’Europa: gli “alleati” mollano Obama aderendo alla Bank of Infrastrutture della Cina

marzo 18, 2015 1 commento

Tyler Durden Global Research, 17 marzo 2015Sembra che il mare della de-dollarizzazione abbia raggiunto le coste dell’Europa. Con Australia e Regno Unito che già aderiscono all’AIIB della Cina, FT riporta che Francia, Germania e Italia sono d’accordo nell’aderire alla banca di sviluppo, il ‘perno in Asia’ appare essere il Piano B dell’Europa. Come Greg Sheridan ha già osservato, “la saga della Banca della Cina è quasi un caso da manuale del fallimento della politica estera di Obama“, ma come conclude FT, le decisioni europee rappresentano una significativa sconfitta per l’amministrazione Obama, che ha sostenuto che i Paesi occidentali potrebbero avere più influenza sulla nuova banca se ne rimanessero tutti fuori. Come nota Forbes, ciò lascia ad Obama 3 opzioni scomode…
Come riporta FT, “Francia, Germania e Italia hanno accettato di seguire l’esempio della Gran Bretagna partecipando alla banca di sviluppo internazionale della Cina, secondo i funzionari europei, colpendo gli sforzi degli Stati Uniti per tenere i principali Paesi occidentali fuori dalla nuova istituzione. La decisione dei tre governi europei viene dopo che la Gran Bretagna annunciava che avrebbe raggiunto l’Infrastructure Asian Investment Bank da 50 miliardi, potenziale rivale della Banca Mondiale di Washington. … Le decisioni europee rappresentano una significativa sconfitta dell’amministrazione Obama, che ha sostenuto che i Paesi occidentali potrebbero avere più influenza sulla nuova banca se ne rimanessero tutti fuori, aumentando gli standard sui prestiti. L’AIIB, ufficialmente inaugurato dal presidente cinese Xi Jinping lo scorso anno, è un elemento dell’ampia spinta cinese nel creare nuove istituzioni finanziarie ed economiche per aumentarne l’influenza internazionale. E’ diventato tema centrale nella crescente contesa tra Cina e Stati Uniti su chi definirà le regole economiche e commerciali in Asia nei prossimi decenni”.
Questo segue Australia e Regno Unito… “L’Australia, alleato chiave degli Stati Uniti nell’Asia-Pacifico, sottoposto a pressione da Washington affinché rimanesse fuori dalla nuova banca, ha detto che ora ci ripenserà su tale posizione. Quando la Gran Bretagna ha annunciato la decisione di aderire all’AIIB, l’amministrazione Obama ha detto al Financial Times che rientrava nella tendenza alla “continua sistemazione” di Londra verso la Cina. I funzionari inglesi furono relativamente trattenuti nel criticare la Cina sulla gestione delle proteste pro-democrazia a Hong Kong, l’anno scorso. La Gran Bretagna ha cercato di acquisire il “vantaggio del promotore” firmando con la nascente banca cinese prima degli altri membri del G7. La Gran Bretagna spera di affermarsi come meta numero uno degli investimenti cinesi e i funzionari inglesi non se pentono”.
Il che, come spiega Forbes, “lascia ad Obama tre opzioni…
1) Continuare a premere sugli alleati per non aderire all’AIIB, finché non ne controlleranno la governance;
2) Partecipare all’AIIB;
3) Eliminare il problema.
L’opzione uno è chiaramente una proposta perdente. Non ha senso spendere capitale politico per convincere attori regionali ed altri a non aderire alla banca. È un problema di piccola portata che fa apparire gli Stati Uniti deboli in un momento in cui la loro influenza nella regione è comunque molto forte. Opzione due, io, come praticamente ogni altro analista sulla Cina al di fuori del governo degli USA, ritiene da ottobre che gli Stati Uniti debbano aderire all’AIIB. Ci sono diversi motivi per cui sarebbe una buona idea. Consentirebbe agli Stati Uniti di sedervi dove potrebbe essere una forza positiva per una migliore governance e un critico interno, se le cose andassero male. Inoltre, contribuirebbe a garantirsi che le imprese statunitensi abbiano un accesso equo alle offerte che scaturiranno dal finanziamento degli investimenti dell’AIIB. Aderirvi ora difficilmente ne salverebbe la faccia, ma gli Stati Uniti potrebbero riconoscere pubblicamente la necessità del finanziamento in Asia che l’AIIB può fornire, avviandosi rapidamente a cooperare con Australia, Corea del Sud e Giappone per elaborare i principi di una comune adesione.
Opzione tre, gli Stati Uniti si allontanerebbero dall’AIIB evitando di premere sugli altri Paesi che potrebbero risentire dall’adesione degli Stati Uniti e lasciare che l’AIIB cresca o cada per propri meriti. Risorse e infrastrutture cinesi incontrano notevoli difficoltà in un certo numero di Paesi, tra cui Zambia, Myanmar, Vietnam, Brasile e Sri Lanka. Se l’AIIB non va meglio delle banche di sviluppo della Cina, sarà una macchia non solo per Pechino, ma anche per tutti gli altri Paesi che vi partecipano. Se non sarà come Banca Mondiale e Banca asiatica di sviluppo, allora sarà una gradita aggiunta al finanziamento del Mondo in via di sviluppo. Gli Stati Uniti non devono aderire ad ogni organizzazione regionale in Asia-Pacifico; non sono nella Shanghai Cooperation Organization, per esempio, e sono solo osservatori alla Conferenza su Interazioni e misure di fiducia in Asia. Possono evitare l’AIIB o assumervi lo status di osservatore. La priorità di Washington dovrebbe essere la promozione di ideali e istituzioni propri con il perno o il riequilibrio, anziché bloccare le iniziative cinesi, se non assolutamente necessario. (Non confondiamo lo sforzo della Cina di sviluppare l’AIIB con la spinta ad attuare l’Air Defense Identification Zone, per esempio). L’opposizione all’Infrastructure Investment Asiatic Bank è diventata una macina al collo di Washington. È tempo di togliersela, in un modo o nell’altro”.
La de-dollarizzazione continua… Come ha recentemente concluso Simon Black, ora possiamo vedere le parole divenire fatti… “‘Gli alleati’ potrebbero essere fin troppo educati nel dire in faccia agli Stati Uniti, “Guardate, avete 18100 miliardi dollari di debito ufficiale, 42000 miliardi di dollari di passività non finanziate, e siete dei cazzoni. Vi molliamo. Così, invece si persegue l’approccio del “non sa chi sono io”. Ma a chi interessa è abbastanza evidente dove tale tendenza porta. Non passerà molto tempo prima che le altre nazioni occidentali saltino sul carro anti-dollaro con i fatti e non solo a parole”.
In fondo non si tratta di teoria o ipotesi. Ogni brandello di prova oggettiva suggerisce che il dominio del dollaro volge al termine.
Copyright © 2015 Global Research
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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