Succede sempre così. Quando si costruisce un colosso con i piedi d'argilla.
"Il ministro Tria si sta mangiando il governo, la politica è ferma",
si era sfogato venerdì in piazza
Gianluigi Paragone.
Che a urne chiuse avrebbe persino puntato contro i vertici.
"È stato un errore tenere fuori Alessandro Di Battista", avrebbe detto secondo un retroscena
riportato dal Corriere,
"Deve tornare al nostro fianco e combattere con noi. Perché stiamo diventando forza di sistema.
E non basta fare il compitino, dobbiamo tornare a essere tsunami come una volta. Siamo tutti colpevoli di questa deriva.
Dobbiamo fare un tagliando e cambiare tutto. Se non siamo capaci, beh allora scansiamoci.
Non vale la pena andare avanti così, con questo governo".
Alla base del
flop c'è sicuramente una parte di elettori delusi dalle vicende giudiziarie
(l'arresto di Marcello De Vito a Roma è solo l'ultima) e dalla "normalizzazione" di un movimento
che fa sempre più fatica a distinguersi dagli altri partiti. E poi ci sono le regole rigide
che non permettono ad esempio coalizioni con liste civiche e forze più legate al territorio
(vero motore per i consensi), come fanno gli altri politici.
"Siamo troppo lenti, dobbiamo accelerare", avrebbe detto Di Maio ai suoi parlando dell'ormai famigerata riorganizzazione.
Che potrebbe non bastare per un movimento da sempre "di battaglia" che sembra ora più moderato,
alle prese com'è con le continue trattative con l'alleato di governo. E la mancanza di Di Battista in prima linea
sarebbe - sostengono i malpancisti - una delle cause maggiori di questa rivoluzione che si sta rivelando fallimentare.