ANCHE LA MIGLIOR MASCHERA LASCIA GLI OCCHI SCOPERTI

Per Luca Telese la foto di Fabio Fazio con Ramy Shehata e Adam El Hamami,
i due studenti che con le loro telefonate hanno sventato la strage lo scorso 20 marzo nel Milanese, è inquietante.

Il rischio, infatti, è quello di passare dal cattivismo stupido e ottuso al buonismo melenso e ipocrita.

È immorale manipolare i ragazzini. La sinistra ha da sempre il monopolio nella scuola
ed invece di educare buoni cittadini forma individui deboli e complessati, rivendicativi e pieni di autocompassione.
Quando poi si tratta di figli di stranieri, potenzialmente italiani al compimento dei 18 anni, la vicenda diventa doppiamente pericolosa.

Penso che si sia trattato di ” sciaccallaggio ” giornalistico/politico .
Utilizzare il gesto eroico ( la paura fa diventare eroi ) di questi due ragazzini per bilanciare il gesto criminale del Senegalese.
Come per farci sapere ( già lo sappiamo ) che non tutti gli extracomunitari sono criminali .
L’altro ragazzino , la bidella , la maestra , gli altri bambini sono solo ” normali ” italiani !
Non si tratta di buonisti contro cattivisti , si tratta di Giornalisti koglioni o non koglioni.
 
04:03 Flat tax, imbarazzante articolo della Gabanelli. Un mix di ideologia e ignoranza.

05:40 Ius soli, Repubblica arruola Chiesa e bambini.

07:00 Roma nel casino più totale: non funziona la metro, la gestione dei rifiuti e altro ancora? Le colpe?
Di chi ha governato nel passato, ma anche e soprattutto di Virginia Raggi.

08:40 Fermi tutti: Russia Gate non c’è mai stato. Che dicono ora i fenomeni alla Rampini?

09:46 Brexit, il pensiero unico prevede un futuro. Ma per fortuna il Corriere della Sera scova Giovanni Sanfelice che ha un’idea un po’ diversa…
 
Emmanuel Macron incontra Xi Jinping, lo invita a Parigi e con lui chiama a raccolta anche Angela Merkel e Jean-Claude Juncker.

Ormai sembra impossibile non vedere in ogni azione del presidente francese
una mossa tesa a colpire gli interessi italiani. Ma è del tutto evidente che questa decisione
di chiamare a raccolta all’Eliseo la triade per eccellenza dell’Ue per vedere il leader cinese
ha un chiaro messaggio politico internazionale. Macron vuole parlare a nome della Francia ma anche dell’Europa.
E guarda caso, proprio dopo la visita di Xi in Italia: viaggio che ha creato una breccia
di non poco conto sia nei rapporti Italia-Europa che nei rapporti fra Italia e Stati Uniti.

L’impressione che si ha in questi giorni è che la Cina non sia il vero e proprio “rivale sistemico” dell’Europa,
come definito in questi giorni dai vertici Ue. Il rischio è che quella del capo dell’Eliseo e di Frau Merkel
sia l’ennesima mossa per fare in modo che l'Italia non abbia modi di beneficiare di una pur minima posizione di vantaggio.

Anzi, la premiata coppia franco-tedesca sembra aver messo in atto un piano perfetto,
sfruttare l’allontanamento fra Roma e Washington e colpire subito dopo dall’Europa le possibilità italiane nella Nuova Via della Seta.

Il doppio gioco di Francia e Germania sulla Cina è a questo punto un metodo a dir poco perfetto.

Ma facilmente individuabile.
Macron ha dapprima urlato allo scandalo per l’approccio italiano alla Nuova Via della Seta,
ribadendo che fosse necessario un approccio comune europeo nei confronti della Cina.
Poi però cosa ha fatto? Ha steso il tappeto rosso all’imperatore di Pechino
facendo capire fisicamente a Xi Jinping che l’Unione europea è a trazione franco-tedesca.
E questo non implica una sudditanza, ma una doppia strategia:
mostrarsi come i veri (unici) interlocutori in Europa e frenare qualsiasi tipo di avanzata cinese in Ue
che non sia autorizzata da questo duopolio. Una strategia a tutto tondo che prevede diversi obiettivi.

Parigi vuole intrattenere con Pechino rapporti proficui.
E questo è confermato dal fatto che anche in Francia verranno sottoscritte alcune intese
che andranno dal settore nucleare a quello aerospaziale fino all’energia pulita,
tema particolarmente caro proprio a Macron in funzione anti Trump.

“Abbiamo molte cose da fare assieme, in termini di azione climatica e multilateralismo,
ma dobbiamo anche difendere i nostri interessi”, ha detto Macron a Bruxelles giovedì scorso.

E nel frattempo prepara una manovra che ha un significato molto profondo,
a dimostrazione di quanto sia fondamentale capire che il capo dell’Eliseo non sia per niente uno sprovveduto.

Da un lato si proporrà come interlocutore europeo privilegiato rispetto alla Cina.

Dall’altro lato, prepara insieme alla Merkel le contromosse per fermare la Cina in Europa.

Come? Con una proposta che l’asse franco-tedesca pensa di rispolverare dai cassetti della Commissione europea,
dove giace indisturbata da qualche anno. Come spiega Repubblica, il progetto di chiama Ipi ed è una norma
“che vieterebbe alle imprese di Paesi extra Ue, cinesi in primis, di partecipare alle gare pubbliche d’appalto in Europa,
se quei Paesi non garantiscono parità di accesso alle aziende comunitarie.
Di fatto significa escludere Pechino da tutte le commesse infrastrutturali, che sul proprio territorio il Dragone ‘riserva’ ai campioni locali”.

L’idea franco-tedesca arriva insieme al nuovo sistema di monitoraggio sugli investimenti extra Ue approvato dall’Unione in questi giorni.
Uno scudo che guarda caso è arrivato proprio alcuni giorni prima della visita di Xi Jinping in Italia
e cui sia il governo italiano che quello britannico si sono astenuti. Una scelta che serve a Roma
per entrare nella Nuova Via della Seta e per aprire agli investimenti cinesi.

E che adesso ci porta a vedere un pericoloso avvicinamento fra i desiderata di Donald Trump e quelli della coppia Macron-Merkel.
 
Nessuna prova di una collusione fra Donald Trump e la Russia nelle elezioni presidenziali del 2016.

Si chiude con un nulla di fatto l’indagine del procuratore speciale Robert Mueller passata alla storia come Russiagate.
E il rapporto di 33 pagine costituisce senza ombra di dubbio la più grande vitoria politica e giudiziaria
di Trump dal momento in cui è entrato alla Casa Bianca.

Dopo più di 2.800 citazioni in giudizio, 500 mandati di perquisizione eseguiti, più di 230 richieste di documenti di comunicazione ottenuti,
circa 50 registrazioni di comunicazioni telefoniche e ben 13 richieste a governi stranieri con 500 testimoni ascoltati, il Russiagate si è rivelato un fiasco totale.


Le conclusioni del documento sono chiare.
Secondo il riassunto inviato dal procuratore generale William Barr al Congresso,

“l’inchiesta non ha stabilito che membri della campagna di Trump abbiano cospirato
o si siano coordinati con il governo russo nelle loro attività di interferenza elettorale”.

Secondo Barr, il rapporto conferma che vi siano stati “da parte di Mosca due sforzi principali di interferire” nella campagna elettorale per il 2016.
E questi due tentativi si rifarebbero ad attività dell’Internet research agency russa per svolgere
“operazioni di disinformazione e reti sociali negli Usa” volte a “seminare discordia sociale e interferire nelle elezioni”
. Il secondo tentativo, invece, sempre secondo il riassunto, consisterebbe nel fatto che
“il governo russo ha hackerato i computer e ottenuto email da persone affiliate alla campagna di Hillary Clinton
e alle organizzazioni del Partito Democratico e ha diffuso tali materiali attraverso vari intermediari, tra cui WikiLeaks”.

Ma senza alcuna collusione con i repubblicani. E la conclusione di Mueller è netta: non ci sarà alcuna nuova incriminazione.

C’è solo un punto a sfavore del presidente:
il fatto che non sia stata tolta l’incriminazione per ostruzione alla giustizia.
Ed è lì che si concentrerà la battaglia dei democratici, che, a questo punto,
hanno solo uno strumento per colpire la tenute del presidente Usa,
uscito rafforzato in maniera cristallina da questa decisione finale del procuratore Mueller.

Secondo il deputato democratico e membro della commissione Giustizia della Camera, David Cicilline,
il fatto che il ministro Barr parli di “indicazioni evidenti che il presidente si è impegnato a ostacolare la giustizia”
significa che il ministro debba consegnare queste prove al Congresso “immediatamente, insieme all’intero rapporto di Mueller”.

Ma è chiaro che adesso tutta la costruzione dell’impeachment fallirà miseramente.

Per i democratici si tratta di una sconfitta su tutta la linea che conferma quanto fino a questo momento detto dallo stesso presidente Trump.

Le accuse sulla collusione con la Russia sono da sempre il marchio di fabbrica dei democratici
e di una parte dello Stato profondo americano (anche di parte repubblicana) che ha voluto per anni
colpire la leadership del tycoon parlando di infiltrazioni del Cremlino, di presidente burattino di Vladimir Putin,
di un leader che non rappresentava gli interessi statunitensi ma quella della Federazione russa.

Ma tutti i critici avevano subito capito che fosse una trappola.

Il Russiagate è sempre stato lo strumento degli oppositori del presidente Trump per colpire la sua leadership.

Un cappio da stringere introno alla Casa Bianca per evitare che il leader repubblicano potesse svolgere la sua politica in modo libero.

Non poteva approvare alcuna decisione vagamente aperta nei confronti di Putin
per non essere colpito dalla scure del Russiagate. E non poteva decidere alcun cambiamento di rotta
nella politica estera Usa prima di ricevere la mannaia dei presunti oscuri rapporti con il Cremlino.


L’indagine, cavalcata da Barack Obama e Hillary Clinton e da tutti quei rivali del leader repubblicano, si è rivelata un fiasco.

Furiosi per una vittoria elettorale che aveva di fatto eliminato quel bel mondo cui avevano fatto riferimento per anni,
i dem e gli altri grandi segmenti dei repubblicani hanno cercato in qualsiasi modo di colpire la leadership di The Donald.

Ma hanno fallito.

La trappola fatta di presunte spie, da Paul Manafort a Maria Butina, è stata solo una grande pericolosa montatura. E adesso Trump può festeggiare.
 
Quando hanno guardato fuori dal finestrino si sono trovati ad ammirare un tipico paesaggio scozzese.


Peccato che i passeggeri di un volo della Britsh Airways fossero diretti in Germania.

"Benvenuti a Edimburgo", ha annunciato il pilota subito dopo l'atterraggio.
Un messaggio che ha lasciato a bocca aperta tutti i passeggeri che non si aspettavano di arrivare in Scozia.
L'aereo infatti sarebbe dovuto atterrare a Düsseldorf, in Germania, ma al pilota era stato consegnato un piano di volo sbagliato.

Come riporta il Messaggero, constatato l'errore, l'aereo è ripartito per la sua vera destinazione.

Il volo era gestito dalla compagnia aerea tedesca Wdl per contro della British Airways

. "Ci siamo scusati con i clienti per l'interruzione del loro viaggio e ora li contatteremo individualmente", ha assicurato la compagnia britannica.
 
Laganà chi ?

Il sodalizio tra la Rai e il Palio di Siena
, che dura sin dal lontano 1954, potrebbe interrompersi bruscamente.

Tutta colpa di un commento che i telecronisti Andrea De Luca e Alessandro Ballan
si sono lasciati sfuggire durante la cronaca della corsa di ciclismo Strade Bianche,
trasmessa il 9 marzo sui canali Rai: “La tristemente famosa curva di San Martino…
curva pericolosissima per i poveri cavalli lanciati”, hanno detto i due giornalisti sulla curva di Piazza del Campo.

Un’uscita che a Siena ha scatenato le polemiche dei contradaioli.
Il sindaco della cittadina toscana, Luigi De Mossi, ha definito “inaccettabili” le parole dei due telecronisti.
“I rapporti sono formali e corretti con tutti. Io prendo le decisioni a tutela del Comune.
Dico solo che i tempi cambiano. Io non entro nel merito delle loro scelte.
Le parole dei telecronisti sono inaccettabili: la nostra è la corsa più sicura del mondo”,
ha detto durante una recente conferenza stampa.

Secondo il Corriere di Siena, il primo cittadino senese vuole tutelare l’immagine della giostra medievale e della città,
anche a costo di chiudere anticipatamente il contratto triennale che era stato stipulato nel 2018.

Il futuro del Palio sarà lontano dalla Rai, dunque? Nessuna decisione è stata ancora presa, ma non sarebbe una novità.
Già nel biennio 1994-1995 la competizione era stata trasmessa su Canale 5 e poi su Telemontecarlo.
Ora Luigi De Mossi sembrerebbe intenzionato a intavolare con la Rai una valutazione a 360 gradi
per capire le intenzioni future del servizio pubblico
.
Secondo la stampa locale non è esclusa una vendita ad altre emittenti nazionali
dei diritti della manifestazione gestiti dal Consorsio per la Tutela del Palio.

Intanto la Rai si è espressa per voce del consigliere Riccardo Laganà.
“Personalmente ritengo urgente riflettere sull’opportunità di mandare ancora in onda sulla tv di servizio pubblico
spettacoli che, seppure simbolo di tradizioni secolari, esprimono valori non più in linea con la società contemporanea,
che spettacolarizzano il dolore, giocando con la vita e la morte di animali innocenti.
Al di là di come la si pensi in merito al Palio, è infatti innegabile il pericolo a cui sono esposti i cavalli costretti a correre”, ha detto.
 
Ah, lui ? Capisco tutto.

Nato a Roma nel 1975, Perito Industriale Capotecnico in Elettronica e Telecomunicazioni ed esperto in linee di telecomunicazioni e impianti.

Nel luglio 2018 è stato eletto componente del Consiglio di Amministrazione a seguito della votazione dell'Assemblea dei dipendenti di Rai S.p.A.

Assunto in RAI nel 1996, attualmente ricopre il ruolo di Tecnico della Produzione e opera all'interno del Centro di Produzione di Roma.

Da sempre attivo per la tutela dei valori fondanti del Servizio pubblico radiotelevisivo, collabora con diversi movimenti e associazioni
, tra le quali Articolo 21, Move On Italia, Associazione Stampa Romana, Libertà e Giustizia, Appello Donne e Media, Assoprovider, Libera Cittadinanza, Net Left.

Nel 2011 istituisce la piattaforma web "lndigneRAI" con l'obiettivo di creare uno spazio aperto di ascolto e confronto sulla Rai
e dibattere sulle principali questioni riguardanti il Servizio pubblico, in particolare in tema di lavoro.
La piattaforma diviene in pochi anni punto di riferimento per dipendenti, cittadini e organi di stampa.

Nel 2015 costituisce l'associazione Rai bene Comune, finalizzata alla tutela del Servizio pubblico radiotelevisivo, e ne diviene Presidente.

Attivista e volontario nel campo della tutela e della salvaguardia degli animali e dell'ambiente,
collabora con diverse associazioni, dedicandosi, in particolare, anche alla formazione
e agli aspetti divulgativi per lo sviluppo di una cultura del rispetto di animali e ambiente.
 
Destituirla subito. E rimandarla nel suo bel paese.

Ilhan Omar, politica di origine somala ma naturalizzata statunitense,
membro della Camera dei Rappresentanti del Minnesota ed eletta col Partito democratico,
ha incitato i musulmani a “scatenare l’inferno negli Stati Uniti” e a “creare disagio alla popolazione”,
come riportato domenica dal Washington Times.

Un’esternazione che ha tutti le caratteristiche del cosiddetto “hate speech”
e che ha scatenato il putiferio nell’opinione pubblica americana
, con alcuni utenti sui social che ipotizzano persino l’incitamento al terrorismo.

Tutto ciò dal palco del Council on American-Islamic Relations (Cair) durante un evento di raccolta fondi a Los Angeles.
Il Cair è un’associazione ben nota per essere stata inserita nella black list degli Emirati Arabi nel 2014
per legami con i Fratelli Musulmani e già più volte additata come sostenitrice del gruppo terroristico palestinese Hamas.

La Omar ha poi aggiunto: “Perché ecco la verità, ecco la verità: per troppo tempo abbiamo vissuto nel disagio
di essere cittadini di seconda classe e francamente sono stufa e ogni singolo musulmano di questo Paese dovrebbe esserne stufo”.

La congressista islamica non ha poi perso occasione per attaccare il presidente Donald Trump,
accusandolo di diffondere odio nei confronti dell’islam e arrivando persino ad affermare
che il tycoon è parzialmente colpevole per l’attentato presso la moschea di Christchurch, in Nuova Zelanda.

La Omar era già finita nell’occhio del ciclone per aver accusato le lobby ebraiche di influenzare i politici statunitensi;
affermazioni che avevano scatenato dure critiche da parte dell’opinione pubblica e dagli ambienti ebraici,
preoccupati per le dichiarazioni della donna, definite come “antisemite”.

Gli stessi congressisti democratici avevano criticato le parole della Omar,
non prendendo però in considerazione l’eventuale rimozione della donna dal suo ruolo nella House of Foreign Affairs Committee.

Ilhan Omar aveva anche invocato la chiusura della United States Immigration and Customs Enforcement (Ice),
l’agenzia federale, parte del Dipartimento della Sicurezza Interna degli Stati Uniti,
responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione.

Secondo quanto illustrato dalla Omar sul proprio sito, Ice sarebbe un’agenzia “brutale, militarizzata e inaffidabile”
e la giusta strategia da adottare in ambito immigrazione sarebbe quella d
i “accogliere gli immigrati negli Stati Uniti e fornirli di semplici e accessibili mezzi per diventare regolari”
ma anche quella di “incrementare il numero di rifugiati e richiedenti asilo accettati negli Stati Uniti”.
 
Beoti mascherati da esperti.

Lunedì 25 marzo Il Sole24Ore esce con un curioso servizio a 4 pagine col seguente scoop:
l’Italia è sempre più calda, col 2018 anno record.

Più che scoop sembra la scoperta dell’acqua calda.
Sappiamo che non l’Italia, ma l’intero pianeta sta godendo (dico io, ma patendo dicono loro)
un riscaldamento globale, e non si capisce perché mai l’Italia avrebbe dovuto esserne esente.
A parte questo scoop che scoop non è, fanno una gran confusione.

A caratteri cubitali, accanto al titolo scrivono che la temperatura tra il 1880 e il 2018 è cresciuta di 2.3 celsius,
ma l’informazione è poco significativa visto che hanno deciso (e qui non sbagliano)
di confrontare le temperature col loro valor medio negli anni 1970-2000.

E rispetto a questo valor medio il 2018, in Italia, è stato più caldo di 1.5 celsius.

Perché l’informazione precedente è poco significativa?

Perché, a leggere la sequenza di dati che essi riportano, si può parimenti affermare, per esempio,
che l’anno 1996 fu 0.5 celsius più freddo del 1950.
 
Ben 270mila euro per l'ampliamento del campo rom di via Martirano, a Milano.


È questa la decisione approvata con una delibera dall'amministrazione comunale targata Pd.
Il progetto - che costerà per la precisione 269.971 euro - prevede interventi di messa in sicurezza e allargamento.

Quello di Muggiano - estrema periferia ovest del capoluogo lombardo -
è stato definito dalla sinistra "il villaggio nomadi più bello d’Europa".

E invece, come si può vedere da un reportage, i veri protagonisti di questo ghetto di illegalità sono,
ancora una volta, spazzatura, macerie, rottami e decine di biciclette rubate. (GUARDA IL VIDEO)

Sulla decisione del Comune guidato da Sala si è espressa Silvia Sardone, consigliere regionale:
"Altri soldi sperperati dalla sinistra in nome di un’integrazione che esiste solo nelle favole:
dal 2013 i nomadi di quello che doveva essere il miglior villaggio rom d’Europa,
infatti, non stanno facendo altro che infrangere le leggi".

E aggiunge: "La giunta Sala, di fronte a ciò, anziché sgomberare stanzia altri fondi:
una situazione a dir poco tragicomica che non fa altro che ripercuotersi sui cittadini di Muggiano,
esasperati dalla criminalità e dal degrado che gravitano attorno al campo rom”.
 

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