ARABIA SAUDITA: morto Re Fahad

Progresso culturale e strette di mano con gli USA,eh??!!.....vediamo un pò cosa dicono voci diverse dall'ambasciata saudita...

PENA DI MORTE
QUANDO LA VITA GENERA MORTE (LEGALMENTE)

LA SITUAZIONE IN ARABIA SAUDITA


fonte: http://library.thinkquest.org/23685/data/arabia.html

Si viene giudicati in base alla Shâri'a, la legge sacra; nel mese sacro del Ramadan viene osservata una tradizionale moratoria delle esecuzioni. La pena di morte viene comminata per reati sessuali, di droga, sabotaggio, corruzione, stregoneria, masticazione di qat, produzione/distribuzione/assunzione di alcol. Le esecuzioni hanno normalmente luogo al termine di processi iniqui, nell'ambito dei quali mancano le più elementari garanzie. Gli imputati possono non essere rappresentati da avvocati difensori e le confessioni, anche se ottenute mediante tortura, sono accettate come prove valide dalle corti e possono addirittura costituire l'unica prova a fondamento della condanna a morte. I metodi usati sono la decapitazione con una spada affilata per gli uomini e il plotone di esecuzione per le donne; le donne sposate riconosciute colpevoli di adulterio possono anche essere lapidate.
Le esecuzioni hanno luogo nei principali centri del Regno, di solito in occasione delle preghiere del venerdì pomeriggio, in una piazza davani al palazzo del governatore provinciale; un medico è presente ed ha il compito di certificare il decesso del condannato. Il metodo della decapitazione è particolarmente violento sia per la vittima che per coloro che vi assistono: la morte inflitta con questo sistema viene comunemente ritenuta veloce e pietosa, in realtà in diversi casi sono stati necessari più colpi prima che la vittima venisse dichiarata morta dopo essere stata sottoposta ad una sofferenza indicibile.


Sharia,eh?

La pena di morte nel diritto islamico e le sue applicazioni in campo penale e politico hanno conosciuto lunghe e contraddittorie vicende a causa soprattutto della sovrapposizione di società religiosa e società politica e della varietà dei momenti storici.
Punto di riferimento basilare è il Corano, che sintetizza l'azione religiosa e sociale del profeta Maometto. Nel Corano vanno ricondotti lo 'Urf (diritto consuetudinario locale dei diversi gruppi etnico-culturali) e la Shâri'a (sistema delle norme giuridico-religiose fissate sul fondamento dei testi coranici, della tradizione profetica autentica - Hadîth -, del consenso comunitario - Ijma' -, del ragionamento condotto analogamente alle regole coraniche e della tradizione). Il Corano prevede la legge del taglione per gli uccisi, la pena di morte per le adultere (da chiudere in casa senza nutrimento o da lapidare) e per gli eretici (da crocifiggere o da amputare).

Ancora oggi si segue la Shâri'a come base delle leggi negli Stati islamici (come Yemen, Arabia Saudita, Iran), legge molto dura che prevede la pena di morte in innumerevoli casi e applicata con rigore. Le ineguaglianze fra musulmani e non musulmani nell'applicazione e nella varietà delle pene si spiegano non con considerazioni razziali, ma col criterio religioso che fonda la gerarchia delle persone giuridiche sempre secondo la Shâri'a. Il grado più alto di capacità giuridica e, quindi, di responsabilità davanti alla legge è il musulmano maschio sano di mente e sposato legalmente: la sua vita è protetta con precedenza dal sistema penale. Vengono successivamente la donna musulmana libera e legalmente sposata, lo schiavo musulmano maschio, la donna musulmana schiava e gli infedeli.
I giudici, a seconda della loro idea, possono scegliere se applicare le norme della Shâri'a o privilegiare pene quali prigione o multa; le popolazioni rurali, invece, applicano per i reati sessuali che coinvolgono l'onore della famiglia le arcaiche norme dell''Urf. Le autorità si mostrano più dure quando si tratta di eliminare il vecchio diritto di vendetta che porta con sé inutili versamenti di sangue.
 
Donne al volante in Arabia Saudita

fonte: http://pesanervi.diodati.org/pn/?a=130

Imam sauditi, accademici musulmani contro la concessione alle donne del permesso di guidare
DUBAI - Più di cento religiosi musulmani, sceicchi, giudici, studenti islamici, insegnanti di università islamiche ed altri capi musulmani hanno firmato in Arabia Saudita una dichiarazione contro la concessione alle donne del permesso di guidare.

Il quotidiano saudita Arab News ha riportato lunedì che la dichiarazione era stata diffusa fin da venerdì su Internet. In essa si affermava che: I nemici dell'Islam stanno cercando di distruggere il grande ruolo che è stato affidato alle donne nell'Islam, corrompendole e, perciò, corrompendo l'intero mondo islamico.

Essa diceva, inoltre, che i nemici dell'Islam hanno ritratto l'immagine delle donne musulmane come senza diritti, persone con un'ala spezzata, sostenendo che le loro case sono prigioni, che i loro mariti le maltrattano e che i veli e gli abiti che le coprono dalla testa ai piedi sono un segno di arretratezza.

La dichiarazione diceva anche che la regola dell'Islam secondo la quale chiudere tutte le porte conduce alla corruzione era chiara ed esisteva per la protezione delle persone e della società.

Che le donne possano guidare non è ammissibile perché la regola del chiudere le porte che conduce alla corruzione si applica a ciò direttamente, continuava la dichiarazione.

La dichiarazione metteva in evidenza che permettere alle donne di guidare avrebbe prodotto aggravi economici come la multiproprietà di automobili in una stessa famiglia in luogo di una sola usata dal guidatore; la sostituzione di un'auto con un'altra dal momento che è risaputo che le donne amano tutto ciò che è nuovo; e inoltre il costo per il governo di dover aprire speciali sezioni femminili in tutti i Dipartimenti per il Traffico.

L'Arabia Saudita applica una rigorosa interpretazione della legge islamica e proibisce alle donne non solo di guidare, ma anche di viaggiare senza un permesso scritto di un parente maschio.


Per noi italiani, abituati a vedere donne al volante con frequenza sempre maggiore da almeno cinquant'anni, dichiarazioni come quelle dei saggi musulmani dell'Arabia Saudita appaiono sconcertanti. Sappiamo per esperienza che le donne sono addirittura più prudenti degli uomini nella guida, come dimostrano recenti statistiche. Ed infatti il divieto voluto dai musulmani d'Arabia Saudita non ha ragioni tecniche, ma culturali, anzi religiose: l'Islam richiede che la donna non possa chiudere tutte le porte che la separano dal mondo esterno, come accadrebbe - se ho capito bene il senso della dichiarazione - chiudendo gli sportelli della sua automobile. Ciò sarebbe fonte di corruzione morale.

Simili divieti rendono di stringente attualità le considerazioni sulle profonde differenze che esistono tra mondo occidentale e mondo musulmano. E' difficile immaginare una convivenza pacifica, sul medesimo territorio, tra persone che pensano che l'uomo e la donna debbano essere sottoposti a regole differenti in base al sesso e persone, invece, che ritengono tutti gli individui uguali indipendentemente dal sesso.

Non ho paura di affermare che il nostro punto di vista - quello occidentale - sia più intelligente e più giusto rispetto a quello degli arabi musulmani: le nostre democrazie hanno conquistato con fatica e dolore l'uguaglianza di diritto tra uomini e donne, ed è una conquista troppo importante per metterla anche semplicemente in discussione. Però è altrettanto vero che la semplice contrapposizione tra «noi» e «loro» non ha senso, in un mondo in cui i viaggi, l'emigrazione, la televisione e Internet consentono in pratica di realizzare i viaggi nel tempo, creando un rimescolamento di società, di opinioni, di credenze senza precedenti.

E' infatti un vero e proprio viaggio nel tempo, per chi emigra da un paese in cui vige una mentalità basata sulla rigida separazione tra i sessi, il passaggio ad un paese dalla mentalità più aperta, in cui contano gli individui e la loro cultura più che le loro caratteristiche biologiche. Ma questo viaggio nel tempo lo abbiamo compiuto anche noi in un passato non molto lontano: come dovevano apparire, per esempio, le città della Svizzera, del Belgio o dell'Olanda agli emigranti siciliani del secolo scorso, che, da paesini in cui gli uomini e le donne passeggiavano ancora su marciapiedi separati, si trovavano catapultati in città dinamiche, in cui le donne non erano considerate una specie diversa, ma lavoravano, vivevano da sole, potevano addirittura convivere con un uomo senza sposarsi?

La situazione è oggi esplosiva, perché chi vede il progresso - rappresentato dalle democrazie occidentali, dai loro usi, dalla scienza e dalla tecnologia di cui dispongono - come una fonte di corruzione che mina alle radici la rigida separazione tra i sessi, ha i mezzi per indebolire il «nemico», seminando morte e distruzione, ma soprattutto insicurezza, nei luoghi stessi che animano le democrazie occidentali, cioè le grandi città come New York, Londra, Parigi, Madrid, Roma.

A mio parere l'errore più grande che si possa commettere è rispondere alla violenza con la violenza. Questa è una guerra culturale, va combattuta con le idee, non con le armi.

Non è pensabile che si possa estirpare il terrorismo distruggendo tutte le cellule di combattenti estremisti. E' un tentativo inutile come la fatica di Sisifo, costretto a riportare su un monte, all'infinito, un masso che ogni volta rotola a valle. E' altrettanto inutile quanto pensare che si possa estirpare il fenomeno della droga, sequestrando tutti carichi in viaggio e arrestando tutti gli spacciatori. Ciò che esiste per soddisfare un intimo bisogno della gente, o almeno di una sua parte consistente, rinasce all'infinito per quanto possano essere duri i colpi che gli vengono assestati. Perciò la repressione è solo un palliativo, non è mai la vera cura.

La vera cura è la diffusione pacifica delle idee.

Nella visione distorta del mondo musulmano che ci trasmettono i nostri media, l'unica idea che ricaviamo è quella di una società di estremisti fanatici o, tutt'al più, di ignoranti. Per fortuna non è così. A fianco delle frange di estremisti, più o meno numerose e organizzate, esiste anche nei paesi musulmani una società civile, fatta di giovani, di intellettuali, di persone che leggono e usano Internet. Sono queste persone il vero alleato nella lotta per la diffusione di idee di democrazia e di uguaglianza. Sono solo queste persone che potranno far crollare, come giganti di argilla, i regimi autoritari che sfruttano il Corano come chiave universale per garantirsi l'eternità del potere.

A sostegno di quanto detto, mi ripropongo di citare prossimamente qualche brano significativo da un grande libro della studiosa marocchina Fatema Mernissi, intitolato Islam e democrazia. Un libro che molti in Occidente dovrebbero avere la cura di leggere, prima di emettere giudizi radicali e poco informati su un mondo che sostanzialmente ignorano.
 
Vediamo ancora come va nel paese che tanto sta simpatico agli usa di qualsiasi sponda politica...

fonte: http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=7&ida=&idt=&idart=426

19 Novembre 2004

Il regno Saud sempre più stretto da una situazione interna e internazionale insostenibile

“Durante un’operazione anti terrorismo a Riyadh un poliziotto è rimasto ucciso e 8 membri delle forze dell’ordine sono rimaste ferite. L’operazione si è conclusa con l’arresto di 5 terroristi vicini ad al-Qaeda”.

Un portavoce del ministero degli Interni dell’Arabia Saudita ha diffuso ieri questo comunicato che, all’apparenza, potrebbe sembrare un normale bilancio di un’azione di polizia in un mondo che sempre più vive dell’ossessione terrorismo. Ma il problema è che di questi annunci nel Paese simbolo del mondo islamico per la presenza dei luoghi più sacri per i musulmani e Paese chiave per le politiche energetiche del mondo, ne viene dato uno al giorno.

Attacchi giornalieri. Uno stillicidio che, dal maggio del 2003 ad oggi, porta il bilancio totale in Arabia Saudita a 100 morti, tra agenti delle forze di sicurezza, terroristi o stranieri che si trovano nel Paese governato fin dalla sua fondazione dalla dinastia degli Saud.

I numeri farebbero pensare a un vero e proprio conflitto, ma non è questa la linea del governo di Riyadh, che tiene molto a dare di sé un'immagine solida e stabile.
Tutti gli episodi vengono presentati come azioni di polizia volte a colpire il terrorismo fondamentalista islamico in Arabia Saudita. Niente più di uno dei tanti fronti della guerra mondiale al terrore.

In realtà non è così. L’Arabia Saudita, per decenni, ha goduto di un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, un’alleanza solida che, nel 1991 durante la guerra in Iraq, ha portato il governo degli Saud a essere il principale alleato arabo degli Usa nella coalizione. Tenendo ben saldo il timone della politica estera e dell’economia legata a doppio filo all’occidente, gli Saud continuavano però un pericoloso doppio gioco con gli ambienti integralisti della corrente del wahabismo islamico, la corrente più tradizionalista cui fa riferimento lo stesso Osama bin Laden.

Enormi finanziamenti, la possibilità per i wahabiti di aprire le proprie scuole, la tolleranza verso gli ulema più intransigenti che nelle moschee del Paese arringavano le folle all’odio anti occidentale e la tolleranza verso un traffico di armi che finiva nelle mani dei più fanatici. Tutto questo con lo scopo di tenere buone le frange più estreme del radicalismo wahabita, mentre la famiglia degli Saud si arricchiva commerciando con quegli stessi occidentali che i wahabiti odiavano.

Il gioco ha cominciato a non funzionare più proprio nel 1991. Le basi militari degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel Paese che conserva le stesse spoglie del Profeta Mohammed e dell’Islam diventano un fattore intollerabile per i fondamentalisti che, Osama bin Laden in primis, cominciano a guardare agli Saud come un problema per l’Islam.

Ma gli affari per la famiglia regnante e la loro sterminata corte andavano a gonfie vele e non c’era molto di cui preoccuparsi. Il fondamentalismo, sempre foraggiato dalla casa regnante, serrava le fila. L’11 settembre 2001 arriva come un fulmine a ciel sereno: su 19 dirottatori, 15 hanno passaporto saudita.

I rapporti tra Washington e Riyadh non saranno mai più gli stessi. All’improvviso gli Saud si trovano di fronte al conto salatissimo di una politica quantomeno ambigua. Le protezioni internazionali che garantivano di mantenere in un modo o nell’altro l’ordine interno vengono meno e all’interno aumentano le pressioni di un fondamentalismo ormai poco controllabile.

Un anno di attentati. Comincia uno stillicidio di attacchi al potere della monarchia. Il 12 maggio 2003, quattro esplosioni in tre complessi abitati in massima parte da stranieri a Riyadh provocano la morte di 35 persone. L’8 novembre del 2003 sono 18 i morti causati da due esplosioni a Riyadh. Il 21 aprile del 2004, un’autobomba piazzata di fronte al comando della polizia uccide 5 persone a Riyadh. Il 1 maggio del 2004, a Yumbu, un commando attacca gli uffici della ABB, un’azienda del settore energetico. Il bilancio è di 11 morti. Il 29 maggio del 2004, un commando uccide 22 persone a Khobar, cittadina industriale.

Tutto questo senza tener conto delle decine di attentati sventati e di conflitti a fuoco tra poliziotti ed estremisti. Una guerra. Basta fare un confronto tra gli episodi violenti in Arabia Saudita negli ultimi 30 anni: dal 1979 al 2003 ci sono stati 15 episodi riconducibili al terrorismo, dal 2003 ad oggi ben 20. Un’enormità.

Il regime degli Saud reagisce con la repressione poliziesca, ma sempre più vede venir meno l’appoggio della popolazione. Tutti i proventi della vendita del petrolio sono serviti ad arricchire solo la corte che ruota attorno alla famiglia reale, allontanando sempre più la società civile dal potere. Una pressante richiesta di riforme mette in un angolo Riyadh, che vive giorni di forte preoccupazione.

In politica estera, come se non bastassero i problemi interni, Riyadh è preoccupata seriamente dal riarmo dell’Iran. La potenza faro dello sciitismo è sempre stata percepita come un avversario da quella che è la culla dei sunniti più integralisti. Teheran non fa mistero delle sue ambizioni egemoniche sull’area mediorientale e continua a investire in ricerca a fini bellici. Tutto questo preoccupa l’Arabia Saudita, che adesso punta tutto sulla collaborazione con i regimi più affidabili del Golfo: Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Kuwait.

Se di guerra non si può parlare, sicuramente l’Arabia Saudita vive uno dei periodi più difficili della sua storia. Il fondamentalismo violento necessita di una stretta liberticida che si scontra con la pressante richiesta di riforme all’interno. A questo si aggiunge l’isolamento a livello internazionale. La famiglia Saud può contare solo sull’esercito e sulle forze di sicurezza (sulle quali investe 22,2 milioni di dollari all'anno) per restare ancorata a un potere che è stato gestito in modo tale da diventare un pericoloso boomerang.
 
050707131607_jpg11__d5_.jpg
 
Vediamo anche le prime reazioni.....siamo o non siamo in un forum di finanza?? :-D

RIAD (Reuters) - Il re dell'Arabia Saudita Fahd è morto oggi e il principe ereditario Abdullah è stato nominato monarca del primo paese esportatore di greggio al mondo e alleato chiave degli Usa.

Lo ha detto un funzionario leggendo un comunicato della famiglia reale alla tv di stato saudita.

Una fonte saudita ha detto che la politica del regno sul petrolio non cambierà dopo la morte di re Fahd.

Fonti diplomatiche hanno detto di non aspettarsi grossi cambiamenti nella politica estera dell'Arabia Saudita con il nuovo re Abdullah, che come principe ereditario si è occupato degli affari del Regno quotidianamente da quando Fahd ha avuto un debilitante infarto nel 1995.

Il comunicato ufficiale della morte ha anche annunciato che il ministro della Difesa è diventato il nuovo principe della Corona.

I prezzi del greggio negli Usa sono balzati di circa 50 cent a barile dopo la notizia della morte di Fahd.

In seguito alla notizia, un funzionario della Lega Araba ha annunciato che il summit previsto per questa settimana in Egitto è stato rimandato per alcuni giorni.

Il vertice avrebbe dovuto tenersi mercoledì a Sharm el-Sheikh, sul Mar Rosso.

"Ci saranno delle consultazioni per decidere una nuova data", ha detto il funzionario.

Fahd, 83 anni, aveva avuto a lungo problemi di salute ed era stato ricoverato in ospedale il 27 maggio con una polmonite acuta.

Negli ultimi due anni, il Regno aveva dovuto far fronte a una violenta campagna di al Qaeda per mettere fine a sette decenni di dominio della famiglia reale nel Paese che custodisce le moschee più sacre all'Islam.

Fahd era asceso al trono di una delle più ricche nazioni del mondo nel 1982, all'apice del boom petrolifero dell'Arabia Saudita, ma il suo regno è stato segnato da tre guerre regionali e dalla militanza di al Qaeda negli ultimi anni.

La sua forte alleanza con Washington e la sua decisione di consentire il dispiegamento di truppe Usa nel luogo di nascita dell'Islam nel 1990 accese la furia dei militanti legati alla rete del saudita Osama bin Laden.

Al Qaeda giurò di deporre la famiglia reale, il cui regno fu definito dallo stesso bin Laden "un'estensione della guerra dei crociati contro i Musulmani".

Le truppe Usa rimasero fino all'invasione dell'Iraq nel 2003 e la caduta del dittatore iracheno Saddam Hussein.

Ma già al tempo degli attentati dell'11 settembre, condotti in gran parte da kamikaze sauditi, le relazioni con gli Usa, una delle pietre miliari della politica di re Fahd, erano state offuscate.

Gli attacchi suicidi a Riad due anni dopo precipitarono il regno nella divisione interna, mentre l'alleanza con Washington, basata sul petrolio e sulla sicurezza nel Golfo, toccò l'apice della crisi.

Ma le relazioni fra i due Paesi ripresero vigore dopo un'intensa opera di diplomazia da ambo le parti e il supporto offerto da Riad alla guerra a guida Usa contro il terrorismo.
 
nemmeno io!
:-D :-D :-D

ma com'è che sui miei interventi metti il diavolo incaz.zoso??? :-D :-D :-D

Io ti rifuggo ma ti stimo! :-D :-D :-D :smile:
 

Users who are viewing this thread

Back
Alto