BANCHE: il 2008 è di nuovo qui ....

Vi chiedete ancora a cosa servono le crisi bancarie? A evitare che questo grafico esca dall’oscuro meandro degli addetti ai lavori e diventi argomento di conversazione in tram o alla cassa del supermarket o alla macchinetta del caffè in ufficio.

Oggi il tasso di delinquencies relative a complessi abitativi multi-familiari negli Usa è superiore a quello registrato durante la crisi subprime. E la conseguente crisi finanziaria globale innescata dal decesso sacrificale di Lehman Brothers.
Vedi l'allegato 732807
Qualcuno ne ha contezza?
Nessuno.
Probabilmente nemmeno negli Usa, dove ovviamente i media sono monopolizzati da altro.

il fondo salva-banche Btfp chiuderà l’11 marzo.
Lasciando gli istituti creditizi esposti per miliardi a prestiti Cre con un buco da 160 miliardi di fondi alla settimana. E attenzione, qui si sta alzando l’asticella della criticità. Perché il tasso di inadempienze record del grafico riguarda immobili multi-familiari. Non uffici sfitti a San Francisco o Seattle.

nfine, date un’occhiata a questa immagine. Dopo tanto reverse repo, ecco tornare il repo. Ovvero, la facility Fed di finanziamento. E non di deposito. Il 22 febbraio scorso, qualcuno ha avuto necessità di 100 milioni di dollari in liquidità emergenziale. Casualmente, il giorno seguente ai risultati record di Nvidia.

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L’ultima volta che qualcuno aveva bussato a quella porta era il 7 dicembre, quando la giapponese Norinchukin Bank, il creditore cooperativo di pescatori e contadini che gioca con derivati e con le sue esposizioni allegre, fu ammessa alla chetichella alla platea di controparti accreditate della Fed. Tutte coincidenze. L’economia Usa è sana. Forte. Soft landing. Quantomeno in superficie, tutto appare così
 
il vice-governatore della Bank of England in persona, Dave Ramsden, ricorda alla platea che le Banche centrali non hanno nel loro statuto la manipolazione di mercato a spese del contribuente, allora tutto può accadere. Soprattutto se all’orizzonte si stagliano processi degni di un equilibrista sul taglio dei tassi di interesse. A livello globale.
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Al centro della questione, nemmeno a dirlo, un acronimo: Pmrr. Ovvero, Preferred Minimum Range of Reserves. Il cuscinetto di detenzioni obbligazionarie post-Qe che le Banche centrali mantengono a bilancio come strumento – tanto implicito, quanto operativo – di stabilizzazione delle riserve nel sistema bancario. Nel caso della Bank of England, dal picco di 895 miliardi di sterline raggiunto con il Qe pandemico, quel target sarebbe fissato nel range 335-495 miliardi di sterline. Ancora oggetto di dibattito.

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un'altra banca regionale americana nei guai
Vedi l'allegato 730804

vi è da ricordare

I depositi non legati alle criptovalute detenuti dalla ex Signature Bank (ora Signature Bridge Bank) saranno assunti da Flagstar Bank, NA, una filiale di New York Community Bancorp, a partire da lunedì in base a un accordo di acquisto e assunzione, ha affermato la FDIC in un comunicato stampa Domenica ora degli Stati Uniti.

Paura a Wall Street, la banca Nycb alla ricerca di capitali di emergenza. Il titolo crolla del 40%​


 

SPY FINANZA/ I guai delle banche “spifferati” dalla Bce​

Pubblicazione: 15.03.2024 - Mauro Bottarelli

Rischia di passare inosservato quanto deciso dalla Bce in settimana, come pure il tentativo di stimolare l'economia tramite le costruzioni edilizie​

Qual è il mantra del momento, chiaramente con sguardo strumentalmente fisso alla propaganda da elezioni europee?
Fuori dall’Ue che da oggi ci obbliga anche alla casa green, spese pazze per trasformare le nostre abitazioni in habitat degni di Greta Thunberg.
Proprio sicuri che il fine sia l’ossessiva rincorsa per fermare il cambiamento climatico e l’innalzamento globale delle temperature?
Proprio certi che l’efficientamento energetico sia qualcosa di eticamente perseguito e perseguibile e non soltanto l’ennesimo alibi socialmente acclamato?
Date un’occhiata al grafico. Ci mostra come l’assunto in base al quale l’out-performance economica di Croazia e (fu) Club Med europeo sia unicamente da ricondurre al turismo risulti tanto fallace, quanto strumentalmente stereotipata.
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Ci sono i servizi ad alto valore aggiunto, ad esempio. Ma, soprattutto, c’è quella linea azzurra che in empatia cromatica vola verso il cielo. Per tutti. Le costruzioni.
Ora date un’occhiata all’altra immagine, Europe’s unlikey outperformer ci ha definito il Financial Times.
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Già, siamo noi.
Anzi, tanto per dare a Conte ciò che è di Conte, è il Superbonus al 110%.
Quanto ci ha dato? Quanto ci è costato? Sicuramente, qualche rogna bancaria. E, soprattutto, un 7,2% di deficit contro attese della Nadef del 5,3%. Tradotto, procedura di infrazione quasi certa. E manovra correttiva a ottobre, certa. Ma il problema è altro: l’Europa sta saltando per aria. Ormai è questione solo di guadagnare tempo ed evitare fall-out incontrollati.
C’è in ballo Target2, ad esempio. E lì c’è poco da scherzare.

E cosa può tenere a galla due mondi totalmente differenti, se non un mega-intervento da buca keynesiana come l’intero impianto del Green New Deal? Ovvero, nulla più che assistenzialismo da spesa pubblica politicamente corretta. Talmente ben congegnato da aver mandato in overdrive persino la ratio del debito tedesca, ormai da quattro anni costretta a derogare alla politica di debt-brake. Ovvero, saldo zero e indebitamento zero. Addio, perché prima ti schianto l’industria col green e poi ti sveno con i costi energetici da sanzioni. Casualmente, prorogate oggi per altri sei mesi in contemporanea con il via libera alla casa green. Quindi, chi chiede di uscire dall’Ue per l’eccessiva regolamentazione dovrebbe leggere quanto accaduto dal Covid in poi sotto un’altra luce: la fine è ormai scritta, qui si sta solo cercando di evitare escursioni bendate fra le rovine. D’altronde, la Cina come ha gestito gli anni allegri del leverage e del Pil lunari? a perdita d’occhio, cattedrali nel deserto.
E gli Usa non utilizzano forse il real estate ciclicamente prima come boost e poi come alibi per il reset da indigestione finanziaria? Nulla come il mattone può edificare, nulla come il mattone può simboleggiare il crollo. Nel frattempo, cazzuola in mano, deficit a tracolla e costruire.

Ma attenzione, perché l’intera operazione della sostenibilità ambientale rappresenta un alibi strutturale tutt’altro che a somma zero di un quadro mistificatorio ed emergenziale ben più ampio.
A partire dallo scontro in atto all’interno del board Bce riguardo l’implementazione del regime Mmr. Ovvero il livello minimo di riserve bancarie, attualmente all’1% del capitale. Questione che poteva tramutarsi in una criticità immediata, poiché il vertice della Banca centrale dedicato al tema era in programma mercoledì. E Germania e soci parevano intenzionate ad alzare barricate reali. O, quantomeno, a ottenere un do ut des, se Christine Lagarde avesse voluto o dovuto giocare la carta della profittabilità degli istituti in un momento globale di enorme tensione per rinviare tutto e perpetuare lo status quo.
Siamo proprio certi che tutto passerà in cavalleria e che invece l’Eba non sia decisamente meno prona a compromessi, stante una Bis che deve piantare qualche bandierina a livello di regolamentazione bancaria per prevenire crisi di sistema?
E se stante la fine del reinvestimento titoli del Pepp prevista per la fine dell’anno, qualcuno tornasse alla carica con la limitazione delle detenzioni di debito sovrano per banche e assicurazioni?
Se Basilea III non passa dalla porta, può rientrare dalla finestra. E in questo caso, cogliere l’Italia e il suo doom loop strutturale con la guardia abbassata. Nel pieno di una manovra correttiva e di una minaccia di procedura di infrazione per deficit eccessivo. Casualmente, Matteo Salvini rispolvera il meno Europa. Spifferi dal Mef a guida leghista? Ma, in realtà, cosa si è deciso l’altro giorno nella riunione virtuale e da remoto?


Alcune modifiche all’operational framework della Banca centrale, ad esempio la riduzione dello spread fra tasso delle aste di rifinanziamento e di deposito, il quale dal 18 settembre scenderà a 15 punti base. Ma questo estratto del comunicato ufficiale mostra ciò che conta davvero, ancorché scritto in codice.

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Di fatto, la Bce ha deciso nuove aste di rifinanziamento bancario a lungo termine e la creazione di un altrettanto strutturale portfolio di securities a garanzia di liquidità per il sistema.
In caso di crisi? No, a fronte di più stringenti requisiti di capitale e accantonamenti! Una democristiana quadratura del cerchio fra la volontà dei falchi di proseguire con l’implementazione di Basilea III e il terrore della Bce nell’applicare ciò che, a parole, insieme all’Eba aveva trionfalmente annunciato prima del Covid come bacchetta magica anti-crisi. Insomma, la Bce ha appena ammesso che il sistema bancario europeo ha un problema. Ma per farlo non ha avuto la decenza di utilizzare la consueta conferenza stampa post-board o un comunicato. No, ha utilizzato lo spiffero. Ovvero, voci fatte filtrare a Bloomberg. Che, ovviamente, ha raccontato.

E cosa dicono? Che per quanto il caso dell’austriaca Signa sia stato debitamente insabbiato, nonostante i primi rimborsi parziali ai creditori e che le due banche tedesche più inguaiate godano di garanzia implicita proprio dall’Eurotower per evitare l’insolvenza, i rischi sui prestiti corporate collateralizzati attraverso il settore del commercial real estate stanno crescendo.

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Questo nonostante sei anni di retorica Bce sulla necessità di prepararsi per tempo a eventuali shock. Ma signori, parliamoci chiaro: siamo di fronte a un cane che si morde la coda. Perché la stessa Bce che predica prudenza e cuscinetti, di fatto mercoledì ha dato vita a un triplo carpiato per evitare che le banche debbano ammettere lo stato di salute reale dei loro bilanci e delle loro esposizioni. Basterebbe mettere mano – seriamentea una regolamentazione sui requisiti prudenziali, la cartina di tornasole di controparte. La stessa ipocritamente chiesta dai falchi del Nord Europa, a vario titolo stracarichi di derivati all’olandese, di esotici Level 3 alla transalpina o prestiti teutonici molto allegri verso il mattone. Quanto manca prima che qualcosa scricchioli davvero e strutturalmente e non si limiti a default tanto sporadici quanto clamorosi come quello di Signa?

Nel frattempo, attenzione all’ultimo grafico. La stessa Europa che a livello bancario calcia il barattolo e si raccomanda l’anima al reinvestimento titoli e alle aste Tltro, a livello di produzione industriale – ovvero, carne e sangue e non indici manipolati – oggi è ai minimi dal 2020. Cioè dal Covid. Dall’era glaciale della pandemia.

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Come si concilia questa realtà con la narrativa del va tutto bene, Piazza Affari vola? Forse tacendola?
 

Charles Schwab Bank​

tonfo del titolo di Charles Schwab Bank nelle ultime sei sedute consecutive di contrattazione.

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tutti gli istituti sotto esame sono risultati promossi a pieni voti negli stress test della Fed non più tardi di un mese fa. In questo contesto e in assoluta solitudine, Charles Schwab Bank si schianta.
 
date un’occhiata a questo grafico: ci mostra i controvalori di vendita di titoli azionari di Bank of America effettuati da Warren Buffet dal 19 luglio scorso all’altro giorno.

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Che dite, forse il problema non è solo delle banche giapponesi? E forse non è nemmeno questione di controparte su quei carry trades che stanno saltando come tappi di champagne a Capodanno.
In 20 giorni, l’oracolo di Omaha ha scaricato quasi 4 miliardi di dollari in azioni di una delle Big 4 del credito statunitense.
Cosa sa che noi comuni mortali ancora ignoriamo?
Qual è la criticità di fondo?
Forse l’esposizione creditizia al real estate commerciale che sta per presentare il conto?
O forse c’è anche dell’altro?
 

Torna lo spettro della crisi dei “too big to fall”​

Dopo la crisi di Lehman si è continuato a riempire il sistema di liquidità e oggi, complici le Banche centrali, si rischia una crisi profonda​

Giovanni Passali
Pubblicato 12 Agosto 2024

Quello che stiamo vedendo sui mercati finanziari sembra un déja-vù di quanto visto precisamente diciassette anni fa, nell’agosto nel 2007, quando la caduta dei mercati finanziari iniziò quella che poi divenne nota come crisi del 2008; io insisto a chiamarla crisi del 2007, non solo perché altrimenti si rischia di non comprenderne le radici, ma anche perché nel settembre 2007 si verificò la tanto temuta “corsa agli sportelli” (la banca colpita allora fu l’inglese Nothern Rock) che iniziò a mettere in fibrillazione tutto il sistema bancario mondiale, poiché in quel settore tutti si resero conto che quella banca non aveva fatto nulla di speciale rispetto a quanto facevano allora (e stanno facendo tuttora) le altre banche.

E mentre tutti dicevano che era solo un caso isolato, che il sistema bancario era solido, che i fondamentali erano solidi, che non vi sarebbero stati problemi, io e pochi altri dicevamo che invece tutta l’architettura bancaria e finanziaria era entrata in una crisi profonda, una crisi strutturale e che quindi tale crisi sarebbe durata a lungo.


Nel febbraio 2008 la Nothern Rock venne nazionalizzata, ma la storia non finì li. I mercati ormai erano in allarme rosso e i titoli di tutte le maggiori banche mondiali continuarono a scendere, fino al collasso della Lehman Brothers (ottobre 2008) che fece temere il collasso dell’intero sistema bancario americano e mondiale; a quel punto intervenne direttamente la Fed, che mise in atto l’unica ricetta che conosceva: iniezioni mostruose di liquidità per impedire la fuga dei capitali e il collasso del sistema.

L’operazione non fu indolore dal punto di vista politico e ideologico, perché nella mentalità americana, nella mentalità ultraliberista, il fallimento è un fatto strutturale ma non catastrofico, cioè viene considerato come parte del sistema economico e finanziario, un elemento che serve a far “chiudere” ciò che è inefficiente e a far crescere e lasciar spazio a ciò che è efficiente. Ogni intervento statale volto a impedire un fallimento veniva e viene considerato, anzi bollato, come “comunista”. Chi fallisce, deve essere lasciato fallire: questo è stato il mantra di sempre di quella ideologia.

Ora, qual è il cuore del problema? Il cuore del problema è la combinazione di due elementi cruciali, entrambi riguardanti la moneta:
il primo è che ogni singolo dollaro (e ogni singolo euro) nasce come debito, cioè viene creato dal nulla ma contabilmente viene inserito tra i passivi della banca centrale che lo ha creato;
il secondo è che, sia per colmare tale debito sempre crescente sia per permettere la crescita dell’economia, l’unica ricetta nota e praticata è la continua stampa di altra moneta (e quindi altro debito!). Quest’ultimo dato è indiscutibile, basta vedere i dati storici dell’aggregato monetario M2 (vale sia per il dollaro che per l’euro).

Tale stampa di moneta era già eccessiva prima della crisi, dopo è divenuta mostruosa. Ma la stampa di moneta senza mettere mano al cuore del problema è come nascondere la polvere sotto il tappeto: prima o poi i nodi vengono al pettine, prima o poi i problemi esplodono, con la differenza che poi esplodono ancora più grossi e con effetti incontrollabili.

Allora, nel 2008, i politici ed esperti di ogni categoria (nessuno dei quali però aveva previsto la crisi) si spesero a dire che c’erano alcune grandi banche che erano troppo grandi per lasciarle fallire (“too big to fail” si disse allora) e che quindi era un dovere intervenire per salvarle.
E oggi?
A che punto siamo?
Allo stesso punto di prima, solo che il problema è oggi più grosso e potenzialmente fuori controllo.


Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet (Google), Amazon, Meta (Facebook) e Tesla hanno una capitalizzazione mostruosa: circa 13 mila miliardi di dollari, un valore che è superiore (per fare un confronto improprio ma efficace) al Pil di tutta la zona euro.
Ma il Pil della zona euro è valore vero, quello di queste aziende è solo ipotetico, perché basato su modelli di crescita presunti. Ora si scopre che tali previsioni di crescita sono in dubbio (o che i modelli non erano proprio corretti) e quindi tali aziende calano tutte insieme (dopo essere cresciute tutte insieme in questi anni).
Tutti sanno da anni che le borse mondiali “sono cresciute troppo”, ma ora che calano, tutti iniziano a impallidire. Infatti, le azioni di questi colossi della tecnologia (e non solo) si sono gonfiate anche perché sono state acquistate da un gran numero di fondi di investimento e di banche, le quali ora si trovano in profonda crisi per la caduta di questi valori. Hanno iniziato a vendere, ma questo non ha fatto altro che accelerare la caduta.
Ora il problema è sempre lo stesso, sono “too big to fail”: se falliscono queste (o sono brutalmente ridimensionate) trascinano al ribasso una tale quantità di aziende da provocare una catastrofe per il Pil, una catastrofe per l’occupazione, una catastrofe per i debiti dei Paesi coinvolti, cioè tutto il mondo occidentale.

Una visione troppo “catastrofista”? Può essere, ma difficile pensare che gente come Biil Gates (Microsoft), Jeff Bezos (Amazon) e Zuckerberg o lo speculatore Soros si siano tutti sbagliati: eppure proprio loro hanno venduto quote importanti delle loro stesse aziende. È difficile pensare che si siano sbagliate le maggiori Banche centrali del mondo, le quali negli ultimi anni hanno accumulato importanti quantità di oro, soprattutto quella cinese e quella russa. Sarà un caso?

Quello che non è un caso è il comportamento miope delle Banche centrali. Prima hanno tenuto i tassi bassi per troppo tempo, favorendo la liquidità, finita nei mercati finanziari cresciuti in questi anni in maniera abnorme. Poi, scoppiata l’inflazione (che per oltre un anno e mezzo hanno negato) hanno innalzato bruscamente i tassi, deprimendo quindi l’economia. Con la depressione economica, l’inflazione ha smesso di crescere e ha iniziato una breve discesa. Ma il problema è che questa inflazione non era dovuta da eccesso di moneta (l’eccesso di moneta c’era, ma sui mercati finanziari); era dovuta a fattori esogeni (la ripresa economica dopo la pandemia, la crescita dei prezzi delle materie prime, poi lo scoppio del conflitto in Ucraina).

In ogni caso, con l’inflazione in discesa, le banche centrali hanno iniziato a far scendere i tassi, molto piano, perché tutti sapevano e sanno che una nuova fiammata inflattiva è dietro l’angolo. Quindi, hanno messo in pausa la discesa dei tassi, pianificando un prossimo taglio per settembre. Ora una serie di dati negativi ha accelerato la caduta dei mercati e messo in crisi il piano, tanto che ora si ipotizza un taglio più robusto, forse dello 0,50%.

Ho fatto questo breve riassunto delle recenti mosse delle Banche centrali per evidenziare un semplice fatto: questo è il vicolo cieco delle Banche centrali, per cui qualsiasi mossa compiono, fanno dei danni. Se alzano i tassi, fanno male all’economia e crollano i mercati; se li abbassano, danno benzina all’inflazione e fanno soffrire i grandi capitali e pure l’economia.

La foglia di fico che stanno sventolando è che “seguono i dati”, ma se i dati cambiano ogni volta, ecco che le banche centrali sbattono la testa contro i muri del vicolo cieco, perché “seguono i dati”.

Ovviamente la via d’uscita c’è ed è il ritorno di una moneta sovrana per gli Stati, una moneta con la quale gli Stati non si indebitano e non sono costretti a chiedere il denaro in prestito. La Bce è nata proprio per impedire questo; tornare alle monete nazionali segnerebbe di fatto la fine della Bce. Anzi, io sono convinto che prima o poi questo succederà. Resta solo da capire quanto ci faranno soffrire prima di arrendersi all’inevitabile.
 

Banche italiane, quanto sono esposte ai prestiti sugli immobili commerciali dopo l’allarme Bce rivelato da MF-Milano Finanza


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di Luca Gualtieri

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