bella la democrazia, vero?

tontolina

Forumer storico
c'è chi per costruire una pipeline occupa l'AFGANISTAN

c'è chi invece utilizza i lavori forzati diel regime birmano

http://www.canisciolti.info/articoli_dettaglio.php?id=9434
La Total, il gasdotto e l'imbarazzo della Francia

Mentre s’iniziano a fare i conti dei manifestanti arrestati negli scorsi giorni - più di duemila a sentire la tv di Stato birmana - il presidente francese Nicolas Sarkozy e il suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner si ritrovano a dover dare non pochi chiarimenti sulle posizioni assunte a proposito di un’azienda che in Birmania ci lavora da anni. Sotto accusa, in un tribunale belga, la quarta compagnia petrolifera più potente del mondo, la francese Total. In particolare, ad essere riaperto è il caso del gasdotto di Yadana, quello che dal sud di Myanmar trasporta 17 milioni di metri cubi di gas al giorno nelle centrali nella vicina Thailandia.

Secondo i promotori della causa - quattro birmani rifugiati in Belgio - la ditta francese avrebbe ricorso ai lavori forzati per costruire la pipeline. Lavori forzati e torture che materialmente sarebbero state portate avanti dall’esercito birmano, lo stesso che nel Paese guida dal 1988 un regime dittatoriale, lo stesso che nelle ultime settimane tutti i governi internazionali - Francia in testa - si sono affrettati a condannare fermamente.

Tutto risale agli anni Novanta, quando la Total decise di avviare la costruzione del gasdotto. Costo dell’operazione: seicento milioni di sterline. Una parte di questa cifra, ha ammesso la stessa azienda petrolifera, fu destinata all’esercito birmano, incaricato di “proteggere” il cantiere. La Total, da parte sua, si difende con la scusa più vecchia del mondo: non sapeva e non poteva sapere che i militari stavano violando, sistematicamente, i diritti umani della popolazione locale. Ma secondo gli accusatori, come anche alcune organizzazioni internazionali, la Total non sostenne il regime militare “solamente” a livello economico, ma anche fornendogli sostegno logistico. Una parziale conferma indiretta che i lavori forzati sotto controllo militare non sono un’invenzione ma un fatto realmente accaduto, viene dalla stessa compagnia che, nel 2001, ha indennizzato circa quattrocento operai birmani che avevano partecipato ai lavori del cantiere.

Voci sulle violenze subite dai lavoratori iniziarono a diffondersi all’inizio del Duemila. Così, nel 2003, la Total, per cercare di allontanare da sé un’accusa che rischiava di diventare pericolosa per la propria immagine, decide di chiamare in ballo proprio Bernard Kouchner, allora non ancora uomo politico, ma conosciuto esclusivamente per il suo impegno civile e per l’essere uno dei fondatori di Médecins Sans Frontières. Chi meglio di lui, si devono essere detti i dirigenti della Total, è in grado di tranquillizzare tutti sul modo con cui è stato costruito il gasdotto? Jean Veil, avvocato dell’azienda, propose a Kouchner di fare un viaggio di verifica nell’ex Birmania. Insieme a lui, avrebbe lavorato anche la moglie, Christine Ockrent, giornalista che tempo prima aveva intervistato la premio Nobel Aung San Suu Kyi. Costo della spedizione: 25mila euro. Investimento che alla Total è fruttato un rapporto da pubblicare prontamente sul proprio sito e in cui Kouchner scartava la possibilità che l’azienda abbia svolto “attività contrarie ai diritti dell’uomo”.

Sempre in quel rapporto, la “colomba bianca” sottolineava l’inutilità di embarghi e sanzioni economiche contro il regime birmano. Posizione esattamente opposta non solo a quella sostenuta dalla stessa Kyi, ma anche a quella del presidente francese Nicolas Sarkozy. “Facciamo appello alle società private, per esempio alla Total, a dar prova di grande prudenza per quanto riguarda gli investimenti in Birmania e chiedo che non ce ne siano di nuovi”, ha dichiarato Sarkozy alcuni giorni fa, dopo aver ricevuto uno dei leader dell’opposizione birmana, Sein Win, in esilio a Parigi.

Se il richiamo alla prudenza servirà almeno per il futuro, si vedrà. Per ora, la magistratura belga lavorerà per accertare se nella vicenda del gasdotto, uno dei fiori all’occhiello dell’economia francese ha approfittato di un regime militare e della sospensione dei diritti umani per velocizzare e ridurre i costi. Indagine che la Corte costituzionale del Belgio ha deciso di riaprire dopo che, nel 2005, la Suprema Corte d’appello aveva deciso di rigettare la causa dei quattro rifugiati birmani. Due anni prima, infatti, una riforma del codice penale aveva ristretto notevolmente la possibilità, prevista dalla legge belga, di ricorrere per violazioni di diritti umani, anche se le vittime non sono cittadini belgi.

Agnese Licata
 
certo che questi americani dell'Impero Usa
sono ben contenti di esportare la Loro democrazia ben collaudata dalla Cia e dall'FBI
Non stupisce il comportamento dell'odierno governo in quanto Bush padre et figlio sono della CIA.
da qui si capisce la loro malvagità.

articolo
http://www.ageitalia.net/stanzeAlba.htm
WHO?/CHI?
FBI e i segreti di Edgar J. Hoover.

Nel 1950 Edgar Hoover, capo dell’FBI, aveva pianificato di sospendere le leggi contro le detenzioni illegali per arrestare 12.000 statunitensi che considerava sospetti di tradire la patria.
Lo rivela il ‘The New York Times’, che ha scartabellato tra documenti finalmente accessibili dei servizi segreti americani, in cui si racconta della richiesta dell’allora capo dell’FBI Hoover inviata alla Casa Bianca due settimane prima della guerra in Corea, il 7 luglio 1950.
Non si sa se alla richiesta di Hoover seguì da parte del presidente Truman o di alcuno dei suoi successori la reale intenzione di incarcerare presso prigioni federali o militari tutti quei cittadini americani sospetti ma dal documento appare certo che Hoover chiedesse a Truman di procedere agli arresti per ‘proteggere il paese contro il tradimento, lo spionaggio e il sabotaggio’.
Il piano consisteva nell’arrestare tutti gli individui potenzialmente pericolosi i cui numeri comparivano sulla lista di Hoover, redatta in anni di lavoro. Si contavano più di 12.000 nomi. Per procedere agli arresti era dunque necessario sospendere l’ordine giudiziario dell’habeas corpus.
L’habeas corpus prevede il diritto del cittadino detenuto a comparire davanti a un giudice o un tribunale che si pronunci sulla legalità o meno del suo arresto, e decisa del suo rilascio o della sua detenzione.
I dettagli del piano Hoover fanno parte di una raccolta di documenti degli anni della Guerra Fredda redatti dall’intelligence americana tra il 1950 e il 1955.
Ricordiamo però che l’uomo che fu a servizio dell’FBI per quasi quarant’anni fu accusato a fine carriera della violazione dei diritti civili dei cittadini, perpetuata mediante l'identificazione dei comunisti statunitensi.
 
quella americano poi è addirittura esportata peccato che sia poco democratica ma nazzista

USA bombarda Baghdad. Di nuovo
Maurizio Blondet
11/01/2008
George W. Bush a Ramallah dopo l'incontro con il leader palestinese Abbas

IRAQ - Le forze aeree americane hanno bombardato giovedì un sobborgo meridionale di Baghdad, Arab Jabour.
Due B-1 e quattro F-16 hanno lanciato venti tonnellate di bombe sull'abitato, che secondo il Pentagono è sotto il controllo di «Al Qaeda».
In realtà, si tratta di una rappresaglia per l'uccisione di nove soldati americani uccisi dalla guerriglia nei due giorni precedenti (1).
Una rappresaglia di stampo nazista contro la popolazione civile - una Marzabotto irachena - commessa su una città occupata da quasi cinque anni, e dopo settimane in cui la propaganda americana vantava una «pacificazione» del Paese e una diminuzione (del 62%) degli atti di guerriglia, grazie (ci è stato detto) al fatto che i sunniti si sarebbero alleati con l'occupante per liquidare «gli stranieri di Al Qaeda».
La finzione è caduta.

Il generale Mark Hertling, comandante della forze occupanti nel Nord Iraq, ha ammesso che attacchi «spettacolari» sono stati messi a segno in pochi giorni contro le sue truppe, a forza di autobombe e attacchi suicidi (2).
E ciò nonostante i «successi» delle forze d'occupazione, che hanno ammazzato o catturato «venti importanti militanti».
Ovviamente, secondo la propaganda USA, si tratta di «militanti di Al Qaeda», e non già di civili e resistenti iracheni.

La vasta rappresaglia con bombardamenti dal cielo, denominata Phantom Phoenix, ha investito anche le località di Dyiala e Bakuba, strapiene anch'esse di «militanti di Al Qaeda».
Il generale Hertling ha detto che gli attacchi della resistenza («Al Qaeda», nel suo linguaggio) sono diminuiti in numero («pacificazione»), ma sono «più spettacolari e d'alto profilo», per «intimidire la popolazione».
Ovviamente le 20 tonnellate di bombe sul popoloso quartiere di Baghdad non intimidiscono la popolazione.
Il numero dei morti non è stato riportato, come al solito.

L'Air Force deve ancora bombardare la capitale che occupa.
Dopo gli ulteriori 20 mila soldati spediti da Bush in Iraq nel gennaio 2007 per stroncare la violenza endemica.
Dopo una vasta offensiva nel febbraio 2007, in seguito alla quale fu annunciato che 30 mila soldati USA avrebbero potuto essere ritirati a metà 2008.

Dopo l'arruolamento di 70 mila miliziani sunniti per combattere «gli stranieri di Al Qaeda», una truppa di cui il governo-fantoccio sciita diffida profondamente, armata com'è dagli americani, e che presto si lancerà contro il cosiddetto nuovo esercito iracheno, composto da miliziani sciiti.
In realtà, i diplomatici e i militari ammettono in privato che la «pacificazione» è ben lontana, se non si risolverà la questione della suddivisione degli introiti petroliferi fra le tre etnie che stanno diventando stati separati, curdi, sunniti e sciiti.

La situazione ricorda molto da vicino il martirio di Falluja.
Gli americani dichiararono vittoria contro la città sunnita rasa al suolo nell'aprile 2004, e poi dovettero ripetere la «vittoria» con un nuovo attacco, ferocissimo, su Falluja nel novembre dello stesso anno.
Una strage mai completamente rivelata nelle sue dimensioni, e condotta con l'uso di armi al fosforo.

Allora, un analista militare di Globasecurity, John Pike, diceva al Christian Science Monitor (29 ottobre 2004) con dispetto: «Perché l'Iraq non è come la Germania e il Giappone, che sapevano di essere sconfitti? Una delle sfide che abbiamo davanti oggi è che questa gente non sa di essere stata sconfitta. Falluja sarà l'occasione per loro di essere schiacciati in modo definitivo e di gustare la disfatta» (3).

La resistenza irachena non fa la guerra secondo le regole: bombardata e massacrata, non sa di essere sconfitta.
Essa conduce la vecchia guerra di sempre, la guerra senza l'occhio ai bilanci e ai sondaggi; la guerra fatta di sacrificio e di ostinazione, dove tutto sta nel non darsi per vinti, che magari - in altri tempi e luoghi - si chiamava eroismo.

Chissà che questa fiammata di ferocia coincida con il viaggio di George Bush nell'area è forse simbolicamente significativo: uno spirito di male ha acquistato forza.
Appena atterrato all'aeroporto Ben Gurion, il presidente americano è stato accolto dal rabbino capo degli askenazi, Yona Metzger, che gli ha detto: «Voglio ringraziarla per il sostegno che dà ad Israele, e in particolare per aver fatto guerra all'Iraq».
Bush ha risposto che le parole di rabbi Metzger gli «riscaldavano il cuore».
Nelle stesse ore, i suoi colossali bombardieri lanciavano 20 mila chili di esplosivo su Baghdad.
Secondo Newsweek, rabbi Metzger è una delle «12 figure religiose più influenti del mondo», accanto al Dalai Lama e all'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams (4).

Poco dopo, Bush ha promesso a Ben Netanyahu che gli USA saranno a fianco di Israele anche in caso di un attacco nucleare israeliano contro l'Iran (5).
Lo ha confermato lo stesso Netanyahu uscendo dai 45 minuti di conversazione col presidente al King David hotel.
«Gli ho esposto la mia posizione», ha detto, cioè che un attacco atomico preventivo contro l'Iran è il solo modo di impedire che Teheran diventi una potenza atomica, «e Bush ha concordato».
Netanyahu ha anche detto a Bush: «Gerusalemme appartiene al popolo ebraico e rimarrà sotto sovranità israeliana per l'eternità».
Nella conferenza stampa seguente, a fianco di Olmert, Bush ha minacciato ancora una volta l'Iran.

Maurizio Blondet
 
tontolina ha scritto:


TAMBURI DI GUERRA ALL'IRAN; ARMI NUCLEARI O INTERESSE COMPOSTO?


Il 25 ottobre 2007, gli Stati Uniti hanno annunciato nuove aspre misure nei confronti dell'apparato militare iraniano e del suo sistema bancario di proprietà dello stato. Sanzioni, retorica bellicosa e la minaccia implicita di azioni militari sono l'istigazione per un'altra guerra, un conflitto che i critici temono possa innescare un olocausto nucleare piuttosto che impedirlo. La domanda è: perché l'Iran è considerato una minaccia così seria? La motivazione ufficiale è che sta progettando lo sviluppo di armi nucleari. Ma il responsabile degli ispettori dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica indica che "non c'è alcuna prova certa" di un programma nucleare iraniano (1). E anche se ci fosse, molti paesi hanno condotto test nucleari o possiedono ordigni atomici al di fuori del trattato di non proliferazione nucleare, tra cui Pakistan, Corea del Nord, India e forse Israele. E, in ogni caso, non li consideriamo motivi validi per un'azione militare. L'Iran si aggiungerebbe solamente ad una lunga lista di potenze nucleari.

Un'altra teoria afferma che le pressioni per una guerra riguardano il petrolio, ma l'Iran fornisce solamente il 15 per cento di tutte le esportazioni del Golfo Persico e il suo petrolio è già in vendita (2). Non c'è bisogno di andare in guerra per questo petrolio, possiamo semplicemente comprarlo.



Una terza teoria sostiene che l'intimidazione militare serve a difendere il dollaro. L'Iran sta minacciando di aprire la propria borsa petrolifera mentre sta già vendendo all'incirca l'85 per cento del proprio petrolio in valute che non sono il dollaro. L'Iran ha rotto la morsa dei petrodollari imposta negli anni '70 quando l'OPEC firmò un accordo sottobanco con gli Stati Uniti per vendere il petrolio solo in dollari americani. Questa mossa sospetta è stata spiegata dal dottor Krassimir Petrov in un editoriale del 2006 su Gold-Eagle.com:

èu]Finché il dollaro è stata l'unica forma possibile di pagamento per il petrolio, il suo predominio nel mondo era garantito e l'Impero Americano poteva continuare a tassare il resto del pianeta. Se, per una qualunque ragione, il dollaro perdesse l'appoggio del petrolio, l'Impero Americano cesserebbe di esistere.[/u] Quindi, la sopravvivenza imperiale ha imposto che il petrolio fosse venduto solo in dollari. Se qualcuno avesse richiesto un metodo diverso di pagamento, doveva essere convinto, sia con pressioni politiche che con mezzi militari, a cambiare idea (3).



Una teoria interessante ma che non riesce ancora a spiegare tutti i fatti. In un editoriale del 2006 su Asia Time Online, William Engdahl ha fatto notare che la guerra all'Iran è stata prevista come parte della strategia americana per il Grande Medioriente fin dagli anni '90, molto prima che i paesi islamici come l'IRAN e l'IRAQ minacciassero di aprire la propria borsa petrolifera ad altre valute(4).

E l'Iran non è il solo a voler abbandonare il dollaro.
Per tenere a freno i rischi valutari, la Russia ha in programma di aprire il prossimo anno una Borsa dell'Energia a San Pietroburgo per negoziare il petrolio in rubli, un evento che avrebbe un impatto molto più tangibile sul dollaro rispetto alla borsa petrolifera iraniana.

Le banche centrali di Venezuela, Indonesia ed Emirati Arabi Uniti hanno tutte detto che investiranno minori riserve di beni in dollari a causa dell'indebolimento della posizione globale del dollaro (5).

Quando quei paesi passeranno ad altre valute per gli scambi commerciali che riguarderanno il petrolio, gli Stati Uniti si sentiranno costretti ad invadere anche loro?

Queste teorie sono tutte lodevoli ma nessuna sembra riuscire a spiegare in modo convincente i tamburi di guerra. Cosa c'è di così speciale in Iran? Ecco un'altra possibilità: l'Iran costituisce una minaccia seria, non solo verso il petrolio e il dollaro, ma verso un'arma segreta finanziaria che mantiene al potere un impero bancario globale.

L'interesse composto al 17 per cento: un'arma finanziaria di distruzione di massa
Intorno al 1980, quando i tassi di interesse stavano salendo vertiginosamente, Johnny Carson fece una battuta alla trasmissione The Tonight Show dicendo che "gli scienziati hanno sviluppato una nuova potentissima arma che distrugge le persone ma lascia intatti gli edifici, si chiama tasso di interesse al 17 per cento".


L'interesse composto è l'arma segreta che ha consentito ad un cartello globale di banche di controllare la maggior parte delle risorse del mondo. La tagliola del debito è scattata per molti paesi nel 1980, quando i tassi internazionali di interesse sono schizzati al 20 per cento. Ad un interesse composto annuo del 20 per cento, 100 dollari raddoppiano in meno di quattro anni, e in vent'anni diventano la somma sbalorditiva di 3.834 dollari (6). L'impatto devastante nei confronti dei paesi debitori del Terzo Mondo fu sottolineato dal Presidente nigeriano Obasanjo, parlando nel 2000 a proposito degli oneri sempre crescenti del proprio paese verso i creditori internazionali.
Egli affermava:
Nel 1985 avevamo preso a prestito 5 miliardi di dollari, che abbiamo ripagato con circa 16 miliardi di dollari. Ora ci viene detto che dobbiamo ancora 28 miliardi di dollari e questi 28 miliardi sono spuntati a causa degli ingiusti tassi di interesse dei creditori stranieri. Se mi chiedete qual è la cosa peggiore al mondo, risponderei che è l'interesse composto (7).

Quello che i banchieri chiamano il "miracolo" dell'interesse composto viene definito "usura" nella legge islamica ed è considerato un reato. èriguardatevi il video http://www.youtube.com/watch?v=QZ71zdYGzsM ] Ed era un reato anche nella vecchia legge inglese fino al sedicesimo secolo, quando Martin Lutero ribattezzò l'illecito di "usura" come un modo per ottenere un "eccesso" di interesse. Oggi gli intellettuali islamici non sono contrari al ritorno redditizio di un investimento quando questo prende la forma di "condivisione del profitto", in cui gli investitori si prendono un rischio e condividono le perdite aziendali.
Ma la banca usuraia ottiene comunque il proprio interesse e, non a caso, trae un maggiore vantaggio quando il mutuatario fallisce. Il mutuatario che non può permettersi di restituire il prestito affonda sempre di più nel debito, a causa dell'interesse composto annuo dovuto al prestatore.

La tagliola del debito scattata nel 1980 fu predisposta nel 1974, quando l'OPEC fu indotta a commerciare il proprio petrolio solamente in dollari americani. Il prezzo del petrolio quadruplicò improvvisamente e i paesi che non avevano dollari a sufficienza per soddisfare i propri fabbisogni petroliferi dovettero prenderli a prestito dai prestatori internazionali. Nel 2001, era entrata nelle casse delle banche del Primo Mondo una quantità di denaro proveniente dai paesi debitori del Terzo Mondo sufficiente a ripagare fino a sei volte il prestito iniziale ma l'interesse aveva inciso così tanto su quei pagamenti che il debito complessivo era in realtà quadruplicato (8).

Nel 1980, i redditi medi del 10 per cento dei paesi più ricchi erano 77 volte maggiori del 10 per cento dei paesi più poveri.
Nel 1999, questo divario era aumentato fino ad essere 122 volte maggiore.
Nel dicembre 2006, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto intitolato "World Distribution of Household Wealth" [La distribuzione della ricchezze delle famiglie nel mondo, NdT] nel quale si è arrivati alla conclusione che il 50 per cento della popolazione mondiale oggi possiede meno dell'1% della ricchezza, mentre il 10% più ricco ne possiede l'85 per cento. Con un interesse composto annuo, i debiti delle nazioni più indigenti non potranno mai essere estinti e continueranno ad aumentare.

Lo schema del sistema bancario privato globale
E' questo schema del debito, con la sua arma letale dell'interesse composto annuo, che ha permesso ad una minuscola cricca di finanzieri di dominare gli affari del mondo. Nel libro Tragedy and Hope, il professor Carrol Quigley ha descritto ciò che conosce di questa combriccola finanziaria, che egli definisce semplicemente "i banchieri internazionali". Il dottor Quigley, che fu mentore di Bill Clinton alla Georgetown University, scrive che lo scopo dei banchieri internazionali è "nientemeno quello di creare un sistema mondiale di controllo finanziario che sia in mani private e che sia in grado di dominare il sistema politico di ogni paese e l'intera economia mondiale", un sistema "che sarà controllato secondo un modello feudale dalle banche centrali del mondo che agiranno di concerto, tramite accordi segreti" (9). La chiave del successo dei banchieri è che questi controllerebbero e manipolerebbero il sistema monetario mondiale facendolo in realtà sembrare sotto il controllo dei governi nazionali.

La maggior parte dei paesi è stata ora catapultata in questo schema del sistema bancario privato globale e la maggior parte del denaro mondiale è creato da banche commerciali sotto forma di prestiti gravati da interesse.

Oggi, negli Stati Uniti, l'unica forma di denaro creata dal governo è costituita dalle monete metalliche, che rappresentano solamente un millesimo dell'offerta monetaria complessiva. Le banconote (dollari) con la dicitura Federal Reserve sono create dalla Federal Reserve, un'azienda bancaria privata, e prestate al governo. L'enorme quantità dell'offerta monetaria è tuttavia creata quando le banche commerciali concedono prestiti. E questo viene fatto con la contabilità in partita doppia: la somma del pagherò del mutuatario è semplicemente accreditata come deposito sul suo conto e compensata con la voce di passivo nella sezione riguardante la banca (10). La creazione del denaro è un affare privato anche nella maggior parte degli altri paesi. Anche dove la banca centrale è tecnicamente di proprietà dello stato, come nel Regno Unito e in Canada, questa produce solo la cartamoneta della nazione, lasciando la creazione della maggior parte dell'offerta monetaria alle banche commerciali sotto forma di prestiti gravati da interesse composto (11).

L'alternativa a questo sistema della "banca centrale" indipendente è quello che veniva definito "sistema bancario nazionale". Una banca centrale di proprietà dello Stato emetteva la valuta nazionale come agente del governo, e il governo spendeva il denaro o lo prestava nell'economia per lo sviluppo interno e per le necessità pubbliche.
Il signoraggio praticato su questo denaro (ossia la differenza tra il costo della creazione e il suo valore facciale) proveniva dal governo, che otteneva denaro senza interesse e senza debito. L'obiettivo dei banchieri internazionali fu quello di privatizzare questo sistema e di prenderne il controllo. La banca centrale avrebbe creato ancora l'offerta monetaria nazionale ma avrebbe prestato il denaro al governo, lasciandolo con un debito enorme sul quale gravano anche gli interessi. Una volta caduto nella ragnatela del debito, il governo sarebbe indotto a privatizzare i propri beni pubblici, alla portata dell'acquisto e del controllo del capitale della finanza internazionale.

Nel 1968, durante un incontro del gruppo segreto conosciuto come i Bilderberger, un alto funzionario americano di nome George Ball parlò della creazione di una "azienda mondiale". Ball era sottosegretario del Ministero degli affari economici e amministratore delegato dei due giganti bancari Lehman Brothers e Kuhn Loeb. La "azienda mondiale" doveva essere una nuova forma di colonialismo, nel quale i beni globali sarebbero stati acquisiti dall'economia piuttosto che dall'imposizione militare. La "azienda" si estenderebbe oltre i confini nazionali, impegnandosi aggressivamente in fusioni e acquisizioni finché i beni del mondo non si fossero inclusi in un'unica azienda privata, con gli stati-nazioni sottomessi ad un sistema internazionale di banche centrali private (12).

Prima della Seconda Guerra Mondiale, la mente di questo sistema bancario privato globale era in Inghilterra ma si è spostata a Wall Street con l'ascesa economica degli Stati Uniti.
Con gli accordi di Bretton Woods, il dollaro americano diventò la "moneta di riserva" mondiale insieme all'oro.

Nel 1971, il Presidente Nixon sganciò il dollaro dal gold standard e il dollaro divenne la moneta di riserva del mondo senza più alcun vincolo. I prestatori americani potevano creare e prestare dollari a chiunque. Per garantire che i prestatori ottenessero il proprio interesse, alla fine degli anni '70 la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale iniziarono ad imporre delle "condizioni" sui prestiti ai paesi debitori del Terzo Mondo, richiedendo di aprire i loro mercati di capitali, ridurre drasticamente le spese sui programmi sociali e privatizzare le industrie. Nel frattempo, gli attacchi speculativi sulle valute locali che erano state lasciate "galleggiare" nei mercati borsistici stranieri senza il vincolo dell'oro causarono profonde svalutazioni monetarie, consentendo agli investitori stranieri di rastrellare questi beni privatizzati ad un prezzo stracciato.


Quando i pezzi del domino non cadono

L'Iran è stata una delle poche nazioni ad essere sfuggita a questo schema di privatizzazione globale. L'Iran aveva il proprio petrolio ed è riuscita ad evitare la trappola della svalutazione monetaria speculativa
imponendo restrizioni sugli scambi con l'estero e un controllo sui prezzi nella propria valuta, un processo che è stato possibile grazie alle sufficienti riserve provenienti dalle vendite di petrolio ai paesi esteri (13). L'industria del petrolio di proprietà statale ha consentito all'economia di prosperare, nonostante le sanzioni economiche e le dicerie che sostengono il contrario (14). Un movimento "riformista" incline all'aumento delle privatizzazioni ha portato nel 2005 l'elezione del Presidente Mahmoud Ahmadinejad, un "populista" che ha promesso di redistribuire in modo ancor più cospicuo le ricchezze provenienti dal petrolio iraniano e ha impegnato il governo a sovvenzionare progetti del settore pubblico e investimenti filantropici (15).


Gli studenti islamici stanno cercando di escogitare un sistema bancario globale che possa rappresentare un'alternativa allo schema basato sull'usura che ora ha il pieno controllo a livello internazionale, e l'Iran sta facendo strada nell'ideazione di questo modello. L'Iran si caratterizza come un repubblica islamica democratica che fa valere i principi islamici non solo moralmente ma anche legalmente e politicamente. Lo scià di Persia sostenuto dagli americani fu detronizzato nel 1979, ponendo fine a 2.500 anni di dominio monarchico. Tutte le banche iraniane furono allora nazionalizzate e il governo chiese la creazione di un sistema bancario islamico che sostituisse i pagamenti ad interesse con la condivisione del profitto. La banca centrale di proprietà dello stato iraniano avrebbe emesso la valuta nazionale, con il signoraggio che sarebbe andato al governo e non alle banche private (16). Il governo iraniano è uno tra i pochi ad avere un bassissimo debito estero, perché utilizza le banche di proprietà dello stato per concedere prestiti utili a progetti industriali e agricoli. La caratteristica peculiare del sistema bancario iraniano è comunque quella di perseguire il divieto islamico contro l'usura. E questo significa che i prestiti sono concessi senza interesse (17).

Almeno, questo è vero in principio. Per far funzionare il loro sistema contro lo schema dominante, gli economisti islamici sono dovuti giungere ad una sorta di definizione creativa di "interesse". Supponendo che l'Iran possa sviluppare un modello alternativo attuabile, potrebbe benissimo minacciare il sistema bancario basato sull'usura che ora domina il commercio e la finanza internazionale. Se i governi dovessero iniziare a fare quello che fanno ora le banche, cioè anticipando "credito" creato dal nulla grazie alle registrazioni contabili, potrebbero eludere l'ingombrante interesse che rappresenta oggi il costo principale della maggior parte dei programmi di governo. E' stato valutato che eliminando gli oneri sugli interessi sarebbe possibile dimezzare i costi medi delle infrastrutture, dello sviluppo di energia sostenibile e di altri programmi (18).
Le economie del Terzo Mondo potrebbe finalmente sfuggire alla morsa d'acciaio dei banchieri internazionali, facendo crollare un impero bancario globale che è in piedi da 300 anni.

La portata degli aiuti finanziari è stata suggerita da Tarek El Diwany, un britannico esperto di finanza islamica e autore del libro The Problem with Interest (2003). In una presentazione tenutasi all'università di Cambridge nel 2002, egli ha citato un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo nel quale si affermava:

Esonerati dalla restituzione del proprio debito, i paesi fortemente indebitati potrebbero utilizzare i fondi per gli investimenti che, solo in Africa, potrebbero salvare le vite di 21 milioni di bambini entro l'anno 2000 e fornire a 90 milioni di donne e ragazze l'accesso all'istruzione di base.

El Diwany osserva: "Il Programma delle Nazioni Unite non dice che i banchieri stanno uccidendo i bambini, dice che questo lo sta facendo il debito. Ma chi sta creando il debito? Ovviamente i banchieri, prestando denaro che hanno fabbricato dal nulla. In cambio, i paesi in via di sviluppo pagano al mondo sviluppato 700 milioni di dollari al giorno netti per ripagare i propri debiti". E concludendo la presentazione:

Ma c'è una speranza. Le nazioni in via di sviluppo non devono pensare di essere impotenti di fronte ai propri oppressori. La loro migliore arma a disposizione è ora la dimensione abnorme che ha raggiunto la crisi stessa del debito. Un default coordinato e simultaneo su larga scala degli obblighi internazionali di debito potrebbe facilmente compromettere il sistema monetario occidentale, e l'Occidente questo lo sa. Ci potrebbe essere una guerra, naturalmente, o solamente la minaccia, accompagnata forse da lezioni da moralità finanziaria da parte di Washington. Ma che importa quando c'è così poco da perdere? A tempo debito, ogni popolo oppresso si rende conto che è meglio morire con dignità piuttosto che vivere in schiavitù. I prestatori del mondo dovrebbero anch'essi ricordare questa lezione (19).

Questo potrebbe spiegare i cannoni puntati contro l'Iran e l'inasprimento delle sanzioni economiche contro il paese. I pezzi del domino che non cadono nella trappola del debito devono esservi spinti con la forza. Come per i brutali attacchi avvenuti in Libano nel luglio 2006, è probabile che gli obiettivi militari in Iran siano quelli economici - porti, ponti, strade, aeroporti, infrastrutture di raffinazione (20). La minaccia posta dal modello economico alternativo iraniano sarà cancellata riportando il paese all'età della pietra.

Versione originale:

Ellen Brown
Fonte: www.webofdebt.com
Link: http://www.webofdebt.com/articles/war-with-iran.php
13.11.07

Versione italiana:

Fonte: www.pianetaoscuro.com
Link

12.12.07

a cura di Sandro Pascucci - traduzione di JJULES per www.signoraggio.com

Note:

1 "U.S.: Iran Seeks Nuclear Weapons," http://news.yahoo.com (October 31, 2007).
2 Rob Kirby, "The Looming Fiat Currency Train Wreck," www.financialsense.com (January 16, 2006).
3 KRASSIMIR PETROV. IL PROGETTO DELLA BORSA PETROLIFERA IRANIANA
4 William Engdahl, "Why Iran's Oil Bourse Can't Break the Buck," Asia Times Online (March 10, 2006).
5 Julian Phillips, "Gold Positive: Iran Wants Yen from Japan Not the U.S. $ for Oil," www.goldseek.com (July 27, 2007).
6 "Compound Interest Week," www.lazymanandmoney.com; Fido Compound Investment Tool Kit, www.fido.asic.gov.au.
7 Rodney Shakespeare, The Modern Universal Paradigm (2007), pages 63-64.
8 Achin Vanaik, "Cancel Third World Debt," The Hindu (August 18, 2001), www.hindu.com.
9 Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), page 324.
10 See Ellen Brown, "Dollar Deception: How Banks Secretly Create Money," www.webofdebt.com/articles, July 3, 2007. See also Affidavit of Walker F. Todd, attorney for the Federal Reserve Banks of New York and Cleveland, http://freedom-school.com/affidavit_of_walker_todd_1-20-04.pdf (2004).
11 E. Brown, Web of Debt, op. cit.
12 Daniel Estulin, "Bilderberg 2007 – Towards a One World Government?", Nexus Magazine (August-September 2007).
13 Taylor & Francis Group, The Middle East and North Africa (2003), pages 405-07; "Iran's Exchange Rate Freeze,"www.farsinet.com (July 2003).
14 Kelly Campbell, "Is Iran Facing an Economic Crisis?", www.usip.org (May 2007).
15 "Iran Profile," www.austrade.gov.au (July 2007).
16 Kamran Dadkhah, "Reform of Exchange Market in Iran," www.economics.northeastern.edu/papers/documents/03-015.pdf (2003), page 4 ("Seigniorage"); Clifford Thies, "Radioactive Money," www.mises.org (March 2007).
17 "Economy of Iran," "Iran Banking," www.photius.com (2004).
18 Margrit Kennedy, Interest and Inflation-free Money (1995), discussed in Deidre Kent, "Margrit Kennedy Inspires New Zealand Groups to Establish Regional Money Systems," McKeever Institute of Economic Policy Analysis, www.mkeever.com (2002).
19 See E. Brown, Web of Debt, op. cit.
20 Tarek El Diwany, "Third World Debt," presentation at Cambridge University's "One World Week" in February 2002, citing UNDP Human Development Report (1997), page 93; "A Debate on Money," www.islamic-banking.com (July 2001).
 

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