Perché i prezzi del petrolio sono così alti? - notizia del 04/08/2004
I prezzi del petrolio sono aumentati quest’ anno di oltre il 35%, raggiungendo i livelli più alti dai primi anni ’80.
Nei paesi importatori, questi aumenti si ripercuotono sul costo dell’energia, con conseguente aumento dell’ inflazione, rallentamento della crescita economica, e, cosa non meno importante in questi giorni, influenza sull’ orientamento degli elettori.
I più importanti paesi esportatori si dividono tra quelli, come Arabia Saudita e Kuwait, favorevoli in linea di principio ad aumentare la produzione per raffreddare i prezzi, e quelli, come il Venezuela, che si oppongono ad ogni azione calmieratrice a favore dei maggiori consumatori, gli USA innanzitutto.
Le ragioni dell’ attuale livello dei prezzi si possono riassumere come segue:
# Aumento della domanda
L’ espansione economica mondiale ha generato il maggior incremento della domanda di petrolio degli ultimi 16 anni.
La straordinaria, rapida crescita dell’ economia cinese ha contribuito in maniera significativa all’ aumento della domanda di petrolio.
Il consumo di petrolio in Cina è già cresciuto del 20% rispetto all’ anno scorso, e c’è chi scommette che continuerà a crescere a questo ritmo per molto tempo ancora.
Ma anche nei più importanti paesi industrializzati la domanda ha superato le previsioni, soprattutto per quanto riguarda le qualità di petrolio adatte alla produzione di benzina, necessaria in sempre maggior quantità per alimentare gli assetati motori degli Sport Utility Vehicles (SUV), così popolari negli States, e sempre più diffusi in Europa.
# Basso livello delle scorte
Nel recente passato, allo scopo di raggiungere maggiori livelli di efficienza, le compagnie petrolifere hanno pensato bene di ridurre i livelli delle scorte.
Questo vuol dire che oggi il mercato ha ridotte capacità di assorbire eventuali interruzioni delle forniture.
Per conseguenza, avvenimenti come la guerra ed il terrorismo in Medio Oriente, le tensioni etniche in Nigeria e gli scioperi in Venezuela, hanno avuto un effetto sui prezzi maggiore rispetto a quello che gli stessi avvenimenti avrebbero provocato se i livelli delle scorte fossero stati più alti.
# La strategia dell’OPEC
I paesi aderenti all’ OPEC assicurano oggi non meno del 50% delle esportazioni mondiali di petrolio.
E’ comprensibile che il cartello cerchi di mantenere i prezzi sui livelli desiderati manovrando opportunamente i rubinetti dei loro pozzi.
In passato, l’ OPEC aveva seguito una strategia “difensiva”, aspettando che i prezzi iniziassero a scendere prima di ridurre la produzione.
Oggi la strategia è divenuta più aggressiva, e l’ annuncio di tagli alla produzione viene usato per prevenire ogni diminuzione dei prezzi.
In questo modo, tra l’ altro, si è riusciti ad impedire la temporanea flessione dei prezzi causata dalla diminuzione stagionale dei consumi, fenomeno di cui le compagnie petrolifere internazionali approfittavano per ricostituire le scorte a costi più convenienti.
Un ulteriore fattore, secondo molti analisti, è rappresentato dagli errori commessi nelle previsioni dei consumi. I paesi produttori, infatti, hanno programmato la produzione basandosi su stime che oggi si sono rivelate troppo prudenti, con il risultato che oggi, con la sola eccezione dell’ Arabia Saudita, tutti sono costretti ad estrarre al limite delle capacità, le risorse inutilizzate sono tendenti a zero, e questo introduce un ulteriore elemento di tensione sul mercato.
# Il comportamento degli speculatori
Il basso livello delle scorte mondiali, con l’ OPEC interessata a mantenerlo basso, ha esposto il mercato al rischio di improvvise impennate dei prezzi nell’ eventualità di interruzioni delle forniture.
Gli hedge funds e gli altri speculatori professionali non si sono lasciati sfuggire l’ opportunità, e, scommettendo sul trend rialzista, hanno contribuito ad amplificare le pressioni sul mercato.
# La violenza in Medio Oriente
I paesi maggiori consumatori di petrolio sono tutti fortemente dipendenti dal Medio Oriente per il loro fabbisogno.
Le recenti violenze in Iraq ed in Arabia Saudita hanno nuovamente fatto crescere il timore di interruzioni delle forniture.
L’ Iraq, in particolare, ha subito numerosi atti di sabotaggio agli oleodotti. La conseguente riduzione delle esportazioni è stata relativamente modesta, ma è stata sufficiente a far sorgere dubbi sulla reale possibilità che, in una prospettiva di più lungo periodo, l’ Iraq diventi un importante ed affidabile esportatore di petrolio.
Anche l’ Arabia Saudita è stata teatro di azioni terroristiche da parte di seguaci di Al-Qaeda. L’ impatto psicologico di tali azioni è stato tanto più forte, in quanto il paese è il maggior produttore mondiale di petrolio, e di gran lunga il più importante esportatore. Si capisce quale effetto dirompente avrebbe sugli equilibri del mercato mondiale un qualsiasi attacco alle infrastrutture petrolifere di quel paese.
# Altre tensioni politiche
Potenziali rischi per le esportazioni - con conseguente tensione sui prezzi internazionali – derivano dalla situazione politica di paesi come la Nigeria e l’ Argentina.
Né si può dimenticare il caso del colosso russo Yukos, coinvolto in una disputa, che sembra non debba aver fine, con il Governo russo a causa di accuse di evasione fiscale. La Società, che produce un quinto dei circa 8,5 milioni di barili estratti ogni giorno in Russia, rischia di chiudere per bancarotta. Il fatto che alla vicenda non siano estranee motivazioni di tipo politico, e che, anche per questo, non sia chiaro quanto concreta possa essere l’ eventualità dello smantellamento della Società, aumentando l’ incertezza, amplifica l’ effetto perturbativo sul mercato.
# Insufficiente capacità di raffinazione in USA
Un ruolo sull’ andamento dei prezzi del petrolio a livello mondiale è da attribuire anche alla situazione della benzina negli USA.
La legislazione a tutela dell’ ambiente impone alla benzina caratteristiche sempre più elevate, che, oltretutto, variano da stato a stato.
Il dover diversificare la produzione, per soddisfare le differenti regolamentazioni, provoca un aumento dei costi e rende ancor meno profittevole l’ attività di raffinazione, già di per sé poco remunerativa.
A questo si aggiungono i vincoli di tutela ambientale, che rendono difficoltoso (o troppo oneroso) l’ ottenimento dell’ autorizzazione ad insediare nuovi impianti.
Il risultato è che le raffinerie stentano a coprire una domanda crescente e, proprio in concomitanza con il picco estivo dei consumi, non possono contare su un adeguato livello delle scorte.
Fonte: BBC NEWS