Cazzeggiando per il web,,ho incontrato queste news..

GRECIA & EUROPA: DA TRAGEDIA A FARSA SOTTO IL SEGNO DI MAASTRICHT
di Luca Ciarrocca

La catena si spezza sull'anello debole, anche se quelli piu' forti sono di titanio. Quindi: con l'annuncio di oggi il problema greco e' risolto? No. Ci pensera' il mercato finanziario a smascherare l'ipocrisia dei nostri burocrati europei.


Luca Ciarrocca e' il direttore e fondatore di Wall Street Italia.

(WSI) - Che ci fosse la necessita' di un intervento "annunciato" per non far saltare Grecia ed euro era evidente da giorni - nonostante le smentite ufficiali - ma il mercato certamente si aspetta al piu' presto tutti i dettagli sulle modalita' del salvataggio: garanzie, prestiti, utilizzo o meno del Fmi, cifre sul tavolo. I dettagli saranno rivelati all'Econfin di lunedi', dicono a Bruxelles. Siamo scettici ma vedremo. Per adesso possiamo affermare che il piano di intervento per salvare la Grecia e' fiacco, debole, confuso, generico. Mentre la speculazione rimane all'attacco con potenti armi a disposizione.

Germania e Francia, maggiormente coinvolte per l'esposzione delle proprie banche ad Atene, hanno mantenuto la leadership assoluta durante i frenetici negoziati. E' evidente l'intento di Merkel e Sarkozy di voler dare l'impressione ai propri cittadini in casa che non sara' utilizzato denaro dei contribuenti per risolvere questa "tragedia greca". La piazza - il pubblico - sono caldi ovunque non per irrazionalita' o anarchismo ma per i morsi della crisi economica. I cittadini sono assolutamente insofferenti ormai per le tattiche globali di banche e banchieri, con questi salvataggi strumentali al mantenimento del potere (lo status quo e' messo a repentaglio da nuovi equilibri) con enormi quantita' di denaro pubblico sperperato ad uso e consumo di elite politiche, mentre l'economia personale di ciascuno, e di ogni famiglia europea, soffre ancora in modo vistoso per crisi e recessione.

Per questo motivo, dettagli monetari/tecnici sul piano di salvataggio di Atene non sono noti. La verita' e' che in Europa Bce e Unione Europea non sanno come affrontare e risolvere una situazione da "economia di guerra" identica a quella che l'America affronto' e risolse in drammatiche giornate nell'ottobre 2008, con il varo del piu' poderoso salvataggio finanziario della storia (altro che piano Marshall nel 1945) per evitare un collasso epocale. Eppure e' francamente inaccettabile che non si sappia nulla. Anche se si capisce il perche': l'Europa non sara' mai un'entita' politica ne' militare al pari di Stati Uniti e Cina, ma restando cosi' le cose e' destinata a rimanere soltanto un palcoscenico di facciata. Sembra che i ministri delle Finanze UE si siano accordati (unanimita' a 27, ne siamo proprio sicuri?) per non chiedere aiuti al Fondo Monetario Internazionale (protesterebbero i cittadini americani che ne sono i maggiori contribuenti). Ma allora, chi mettera' i soldi per risolvere la crisi dell'ouzo?

La Grecia e' stto attacco perche' ha un deficit al 13% del Pil GDP, ma che senso ha a questo punto il parametro del 3% fissato dal Trattato di Maastricht? Il debito pubblico greco e' al 125% del Pil (quello dell'Italia al 118%) mentre i parametri parlano di un limite massimo del 60%. Allora: rivediamo tutti i parametri oppure preferiamo salvare tutti i paesi "deboli" non responsabili e "viziati" da un finto benessere? Sara' impossibile avere dalla Grecia, e da altri P.I.I.G.S., il rientro nei parametri entro tempi rispettabili. Per questo l'euro vale oggi tanto quanto valgono i fondamentali del piu' debole degli anelli della catena, in questo momento la Grecia. La catena si spezza sull'anello debole anche se gli anelli piu' forti sono di titanio industruttibile. Quindi con l'annuncio odierno dalla UE il problema greco e' risolto? No. Crediamo ci pensera' il mercato finanziario a smascherare l'ipocrisia dei nostri burocrati europei, nelle settimane che verranno.
 
Economia PERCHE' IL COLLASSO DELLA GRECIA RISCHIA DI TRAVOLGERE CON L' ITALIA TUTTA EUROLANDIA ?

DI MORENO PASQUINELLI
sollevazione.blogspot.com

Sommario:

1. "PIIGS" & Spread
2. Credit default swap (Cds)
3. La minaccia di un nuovo crollo finanziario e il destino di Berlusconi

La Grecia, dopo tre settimane di mobilitazioni contadine, è stata ieri completamente paralizzata dallo sciopero generale dei dipendenti pubblici, riuscito più di quello del 13 dicembre scorso. Per sanare i conti pubblici il governo “socialista” di George Papandreu, insediatosi nell’ottobre scorso, ha approntato un piano di drastici tagli (ma il peggio deve ancora venire) alla spesa pubblica. Gridava un dimostrante: «Non sono stati gli operai che si son presi i soldi, ma i plutocrati. Che li diano indietro loro!». Un delegato sindacale aggiungeva: «E’ una guerra contro i lavoratori e noi risponderemo con la guerra, con una lotta continua, fino a quando il governo non ritirerà i suoi provvedimenti.» I segnali che giungono dalla Grecia confermano le tre tesi basilari su cui da almeno un anno e mezzo noi insistiamo: (1) la crisi che vive il capitalismo occidentale è una crisi epocale, storico-sistemica; (2) essa avrà affetti devastanti facendo saltare per primi gli anelli deboli della catena imperialistica (e la Grecia è uno di questi); (3) la crisi pone fine alla lunga catalessi del conflitto sociale e causerà asprissimi e prolungati scontri sociali.

PIIGS & Spread

Il Pil della Grecia pesa meno del 3% di quello di Eurolandia, eppure, non appena diffusasi la notizia di un possibile default ellenico, l’Euro è sceso in poche ore ai suoi minimi (quota 1,35 dollari al 8 febbraio), facendo così vacillare, assieme all’economia tedesca (primo paese esportatore) tutta l’Eurozona. Ha ragione il primo ministro Papandreu a denunciare che il gigantesco assalto speculativo al debito sovrano (pubblico) greco è un attacco all’Euro. Così si spiega come, malgrado il Trattato di Maastricht impedisca un “salvataggio ufficiale”, le teste d’uovo della BCE e della Commissione europea abbiano assicurato che “la Grecia non andrà in default”. Ma il prezzo di questo salvataggio lo indica Padoa Schioppa sul Corriere della Sera di oggi: «Eviteremo reazioni a catena, ma Atene dovrà accettare limitazioni di sovranità». In poche parole la Grecia sarà commissariata dalla Banca centrale di Francoforte e perderà anche la parvenza di Stato nazionale sovrano.

Tutti gli analisti convergono tuttavia nell’affermare che il problema non sarà risolto gettando il salvagente alla sola Grecia. L’attacco speculativo sta infatti prendendo di mira la serie di paesi che razzisticamente gli anglosassoni (sulla disastrata condizione del regno Unito diremo più avanti) chiamano PIIGS (maiali), che è l’acronimo che sta per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Se le misure d’emergenza delle autorità monetarie e politiche europee non sortissero alcun affetto duraturo, la crisi Greca potrebbe produrre un effetto domino dalla incalcolabile portata.

I segnali non sono confortanti. I grandi detentori mondiali di denaro, anzitutto i famigerati hedge fund, stanno sbarazzandosi in maniera massiccia dei titoli di stato dei PIGS (per adesso Italia è esclusa) in loro possesso obbligando i rispettivi governi ad alzarne i rendimenti. La Grecia, ad esempio, è riuscita sì a collocare l’ultima emissione dei propri titoli di stato, ma solo offrendo un rendimento annuale del 6,2%. Un tasso molto alto, che finisce per innescare il diabolico meccanismo per cui, pur di onorare i debiti pregressi e contenere il deficit delle finanze pubbliche, lo Stato finisce per indebitarsi sempre di più, avvicinando il rischio di un default.

C’è chi ricorda il 1992, quando, non una cordata di speculatori ma il solo George Soros, scatenò l’attacco contro la sterlina e la lira, innescando la reazione a catena della scommessa al ribasso sulle obbligazioni e i titoli di stato inglesi e italiani. Quello che sta accadendo in questi giorni sembra avere proporzioni ancora più ampie.

C’è un indice che i pescecani della finanza ritengono infallibile, il cosiddetto spread, il differenziale tra i rendimenti di obbligazioni simili (di norma decennali) emessi da paesi differenti. Il bond, il titolo considerato più virtuoso e che fa da parametro, è in Europa quello tedesco. Se il rendimento del bond non-tedesco è maggiore di quello di Berlino, allora vuol dire che gli operatori non si fidano e comprano meno (o vendono del tutto) il titolo non-tedesco. La conseguenza, come dimostra la Grecia, è che il governo deve promettere (e pagare) interessi più alti se vuole piazzare i suoi prestiti durante le aste. Il rendimento più alto che il creditore incassa è il premio per il rischio, il rischio appunto che il debitore non riesca a onorare il debito contratto.

Vediamoli dunque questi spread tra i i debiti dei PIIGS e quello tedesco. Quello greco è volato a ben 405 punti base, mentre il prezzo dei CDS (su cui torneremo più avanti) è oltre i 400 punti. Lo spread tra i titoli decennali tedeschi e quelli spagnoli è a quota 100, quello irlandese si è portato a 174 punti base, quello portoghese è a 155 (ma visto l’inquietante fallimento dell’asta dei bond portoghesi del 3 febbraio la tendenza è alla crescita). L’Italia si sta difendendo come può, lo spread coi bund e i BTp tedeschi è a quota 92.

Per adesso il “maiale italiano” non è investito dalla bufera speculativa. Più solidi sono, rispetto agli altri, i fondamentali economici, in primis la sua struttura industriale, che dimostra, anche grazie ai bassi salari e alla maggior flessibilità dei suoi distretti e all’atomizzazione delle imprese, una notevole capacità di tenuta. Anche i dati del rapporto deficit-Pil mostrano che l’Italia, tra i “maiali”, è quello meno a rischio: contro il 13% della Grecia e l’11,7% della Spagna, il Belpaese oppone il 5,2%. Per adesso, appunto, poiché se la bufera che investe Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna dovesse farsi più minacciosa, nessuno ha dubbi che l’Italia sarebbe anch’essa travolta. Il governo sarebbe a quel punto obbligato, onde evitare la fuga dai titoli di stato italiani, ad alzarne i rendimenti, e finanziano quest’aumento approntando piani draconiani tagli alla spesa pubblica, con le conseguenze sulla stabilità sociale e politica che ognuno può immaginare.

Che ci sia del “marcio in Danimarca”, ovvero che sia in atto un Risiko globale in cui grandi hedge found nonché grandi banche stiano speculando sulla pelle delle nazioni e dei popoli pur di arraffare grandi somme di profitti nel più breve lasso di tempo, è dimostrato dal fatto che mentre si grida al rischio default dei “maiali”, il Regno Unito, il “maialone”, stranamente, non è sotto attacco. Segno evidente che la City è il centro vero e proprio dell’offensiva di aggiotaggio. Il rapporto deficit-Pil è considerato, come si sente dire ogni giorno, l’indice “infallibile” per valutare lo stato di salute di un paese. Peccato che quello inglese sia già al 10,4%! Cioè allo stesso livello di guardia dei PIIGS.

Credit default swap

Per comprendere perché l’umanità è sull’orlo del precipizio, fino a che punto il capitalismo è una macchina scassata con alla sua guida degli avventurieri senza scrupoli, è bene soffermarsi un attimo sui Cds, Credit default swap, che altro non sono se non quei derivati ampiamente responsabili del crollo finanziario del settembre 2008.

Si tratta di contratti con cui un soggetto terzo assume il rischio, dietro lauto pagamento da parte dell’emittente, dell’eventuale insolvenza dell’emittente stesso. In pratica si tratta di polizze assicurative sui bond e sui titoli (ma anche su azioni). Se la quotazione dei Cds su un dato titolo sale, vuol dire che il premio della polizza è più caro, significa insomma che il mercato prezza un maggiore rischio d’insolvenza. Viceversa, se le quotazioni dei Cds scendono, il rischio di default diminuisce.
Esempio: Credito Italiano o la Cassa di Risparmio di Forlì comprano, perché venduti a tassi allettanti, obbligazioni e titoli emessi dalla Grecia, ma dato il rischio di default del paese si proteggono comprando Cds, che saranno pagati ove le obbligazioni non venissero rimborsate. Fatto sta che è il prezzo dei Cds la misura che “il mercato” considera molto precisa del rischio attribuito ad uno Stato o ad una società. Più Cds vengono comprati maggiore è il rischio dei titoli che essi coprono.

Il problema è che coi Cds si può fare anche ben altro, ovvero la pura speculazione, guadagni astronomici a breve. Afferma un analista: «Se vuoi posizionarti corto su un dato emittente (ovvero se vuoi scommettere su un suo peggioramento o al limite sul suo default, ndr), basta comprare Cds (i quali vengono scambiati al pari di tutti le altre diavolerie finanziarie, ndr). Se le condizioni del paese o della società peggioreranno, il prezzo dei Cds salirà e chi li avrà comprati per tempo, li venderà facendo lauti guadagni» (La Stampa del 10 febbraio).
Si può quindi comprare scommettendo su un rialzo dei Cds, fottendosene delle conseguenze sociali che poi affliggeranno la vittima. Quello greco è un caso clamoroso: i Cds sulla Grecia sono passati da 120 punti base in ottobre ai 419 di questi giorni. Così, mentre per gli analisti il rischio reale di default greco si aggira attorno al 2%, osservando l’impennata dei Cds si giunge al 29%. Ci sono insomma forze anonime e tremende che puntano al crollo di questo paese, nonché a trascinare l’Euro nella spirale, proprio allo scopo di intascare le cedole lucrando sulla crisi della moneta europea.

Afferma un trader della City londinese: «In questi giorni abbiamo visto molto attivi sul debito greco molti hedge fund ma anche grandi banche, americane ed europee» (La Stampa, idem), con l’apparente paradosso che le banche che vanno all’attacco della Grecia sono le stesse che gli hanno prestato i soldi solo pochi mesi addietro. Un modo per moltiplicare rapidamente i propri guadagni.

Un altro esempio di come agisca la speculazione l’abbiamo con la Spagna. I titoli di stato spagnoli a dieci anni, tra il primo febbraio e il 4 febbraio, sono passati da 99.79 a 98,99, con un guadagno per chi ha venduto di 80 centesimi per ogni singolo titolo. Una grande banca che avesse comprato 100 milioni di euro di titoli spagnoli, in soli tre giorni, vendendo gli stessi titoli avrebbe guadagnato 800mila euro!
Per dare un’idea delle dimensioni apocalittiche del traffico globale dei Cds basti pensare che secondo recentissime stime il totale dei CDS emessi è pari praticamente al PIL mondiale.

Come stanno le cose per i Cds sull’Italia? Essi sono passati dai circa 20 punti base del novembre 2007 agli attuali 185. Un balzo che attesta come i mercati finanziari considerano l’Italia per nulla estranea al pericolo di un collasso. Ma anche stavolta è il caso di tirare in ballo il Regno Unito. I Cds inglese è passato in pochi mesi dai 5 punti base ai 147, con un aumento forte dall’inizio dell’anno. E neanche Germania e USA se la passano molto bene, visto che i loro Cds sono a 60-70 punti base.

La minaccia di un altro crollo finanziario e il destino di Berlusconi

In un articolo su Il Sole 24 ore del 8 febbraio Vittorio Carlini ci svela come questi Cds, lungi dall’essersi ritirati dal mercato dopo il crollo del settembre 2008, hanno ripreso vigore rischiando di causare un’altra gigantesca bolla, precipitando il capitalismo mondiale nel caos.
Egli mette in evidenza come tali derivati sfuggano ad ogni controllo, un eufemismo per dire che sono concentrati nelle mani di grandi colossi finanziari privati; e che siano scambiati su “piattaforme” opache, cosiddette Over the counter, che è un eufemismo per non dire fuori da ogni controllo.
Infatti cosa si scopre? Che in barba al crollo del settembre 2008 «.. al 30 settembre 2009, negli Stati Uniti, il 96% dei contratti swap (in cui sono ricompresi i Cds) era intermediato da solo cinque banche: JpMorgan, Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley e Citigroup. Il dato, pubblicato dall'Office of the comptroller of the currency, è riferito ad un valore nominale di oltre 172 triliardi di dollari. Una cifra incredibile!»

Ecco chi sono i demiurghi che stanno dietro alle grandi manovre finanziarie che stanno squassando l’economia occidentale spingendo interi stati al collasso e interi popoli a subire cure da cavallo. Si tratta non della “mano invisibile del mercato”, bensì di grandi gruppi finanziari-bancari di aggiotaggio, anzitutto anglosassoni, che nella loro folle corsa speculativa si portano appresso tutto il resto della compagnia. Sono questi gruppi che lungi dall’aver cambiato musica dopo il crollo del 2008, hanno ripreso il gioco speculativo dei derivati in grande stile, avvicinando la possibilità di un nuovo e più devastante collasso.

Secondo una vulgata dura a morire, a fronte di questo “capitalismo parassitario” vi sarebbe un “capitalismo buono” o “sano”, che starebbe lottando per avere il sopravvento e sbarazzarsi delle mele marce. Obama, manco a dirlo, sarebbe il campione di questo capitalismo buono. In Italia è addirittura il Ministro Tremonti che ama vestire i panni del paladino del “capitalismo sano” di contro ai “cattivi banchieri”.

In verità l’intreccio indissolubile tra grandi aziende industriali, banche commerciali e banche d’affari, tra speculatori cattivi e “onesti capitani d’industria” è talmente inestricabile che ne viene fuori un’unico, immenso conglomerato capitalistico mondiale, al cui centro c’è Wall Street e il super-imperialismo USA. Un conglomerato certo attraversato dalla lotta tra cosche, dalla spietata battaglia per tenersi a galla. Ma quando tutto il sistema scricchiola esse rassomigliano ai Ladri di Pisa, che litigavano di giorno per rubare assieme di notte: come mostra il caso greco, queste cosche fanno causa comune, non si fanno scrupoli dall’assaltare la diligenza di qualche fondo sovrano. Per di più, il ricorso all’investimento speculativo, al Risiko finanziario, i banchieri e i traders lo fanno spesso solo su commissione. Per non parlare che spesso, proprietari di banche o di gruppi industriali, fanno capo alle stesse confraternite, se non alle medesime persone fisiche.

C’è chi si chiederà: ma con quale intelligenza questi mostri capitalistici portano tali attacchi ai PIIGS, col rischio di ottenere una crisi dell’Eurozona, non escluso l’uscita dall’Euro di diversi paesi? Ma è semplice! Per guadagnare quattrini, senza riguardo alcuno per le conseguenze che questa loro smania può provocare a livello politico e sociale, in questo o quel paese. En passant: il panico che provoca l’avanzata cinese non è che stemperi la pulsione predatoria dei conglomerati finanziari occidentali, anzi, la accentua.
Ci penseranno i governi e gli organismi politici e monetari sovranazionali a correre ai ripari, a trovare soluzioni, a mediare, o ad applicare politiche di austerità per far pagare alle masse dei salariati e ai settori più deboli della borghesia, nonché, come sempre, ai popoli diseredati del “terzo mondo”, i costi, enormi, delle loro scorribande.

Ci pensino i Papandreu, gli Zapatero o i Berlusconi a riscuotere il pizzo sociale, a sanare le casse degli stati nel frattempo razziate da Lorsignori. In fondo questi politicanti non sono che esattori, dei vampiri che quando è necessario debbono dissanguare i popoli per assicurare le indispensabili e periodiche trasfusioni senza le quali il capitalismo non potrebbe funzionare. Se non saranno guerre tra stati a far uscire il Capitale dalla crisi, che siano pure le guerre civili, l’attacco alle masse popolari.

Politiche di durissimi sacrifici attendono dunque anche gli italiani. Il cui risveglio dopo il sogno dell’opulenza e della crescita senza fine, sarà senz’altro doloroso. Se poi all’Italia dovesse accadere, a breve, qualcosa di simile a ciò che sta accadendo alla Grecia, il populismo berlusconiano, quello che meglio di tutti ha incarnato quel sogno, salterà come un birillo, un ramo secco che sarà travolto dalla piena. Il cavaliere si farà da parte o sarà costretto a digerire il piatto che da anni stanno preparando nelle retrocucine: un governo di unità nazionale d’emergenza. Un’Unione sacra, che per conto del regime plutocratico, scaricherà sulla povera gente i costi salatissimi per salvare il salvabile, ovvero per salvare con l’Euro tutto l’edificio di Eurolandia. Noi ribadiamo che siamo solo agli inizi di una crisi epocale, destinata a ferire a morte non solo qualche “maiale” ma tutta l’Unione europea.
Saranno gli eventi a fare spazio ad una soluzione rivoluzionaria, ad un’uscita non solo dalla crisi, ma ad una fuoriuscita dal capitalismo. la cui prima irrinunciabile misura sarà nient’altro che l’annullamento del debito pubblico, fatte salve le fasce sociali più deboli che dovessero avere in tasca qualche migliaio di Euro di titoli di stato.
 
" L' ASSE MERKEL - SARKOZY SALVA LA GRECIA " DI ALESSANDRO D' AMATO

Francia e Germania decidono di non decidere il come, per ora, ma il paese ellenico, in caso di bisogno, usufruirà dell’aiuto di Bruxelles, e non di quello dell’Fmi.

Tutto come previsto. Germania e Francia fanno ufficialmente della Grecia un loro protettorato, e l’Unione Europea si adegua al volere dell’Asse dei due grandi paesi. E se anche alla fine non va in scena la prevista conferenza stampa congiunta con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicholas Sarkozy, la storia è già scritta, come si capisce già dalle dichiarazioni precedenti l’inizio del Consiglio Europeo: “Non lasceremo cadere il paese ellenico”, dice la Merkel a Bruxelles al termine di un incontro prevertice insieme a Sarkozy, al premier greco George Papandreu, al presidente della Bce Jean Claude Trichet e il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuj.

Al quale dopo pochi minuti non resta che confermare: “Abbiamo trovato un accordo, adesso andiamo a presentarlo al Consiglio”, dice l’olandese, al quale evidentemente non sembra strano che l’accordo su un aiuto comunitario e comune venga preso in separata sede rispetto al resto del Consiglio. Ma tanta attenzione è comprensibile. i motivi per l’impegno franco-tedesco non sono soltanto politici: secondo i dati ufficiali, le banche francesi hanno crediti pubblici e privati in Grecia pari a un totale di 56 miliardi di euro. L’esposizione degli istituti di credito tedeschi è invece di 28 miliardi di euro.

EQUILIBRISMI - All’incontro, svoltosi, al Justus Lipsius, il palazzo del Consiglio Ue, hanno partecipato anche il primo ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero e il premier del Lussemburgo, presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker. Il consiglio vero e proprio dura un paio d’ore scarse, al termine delle quali Rompuj legge la dichiarazione comune dei leader europei, che è come al solito un capolavoro di diplomazia ed equilibrismo: “Tutti i membri dell’Eurozona devono condurre politiche nazionali equilibrate in linea con le regole concordate.

Essi hanno una responsabilità condivisa per la stabilità economica e finanziaria dell’area. In questo contesto noi sosteniamo pienamente gli sforzi del governo greco e il suo impegno a fare tutto ciò che è necessario, inclusa l’adozione di misure addizionali per assicurare che gli ambiziosi obiettivi definiti nel programma di stabilità per il 2010 per gli anni successivi siano realizzati. Facciamo appello al governo greco perché attui tutte quelle misure in un modo rigoroso e determinato per ridurre effettivamente il deficit pubblico del 4% nel 2010. Invitiamo il consiglio Ecofin ad adottare nella riunione del 16 febbraio le raccomandazioni alla Grecia fondate sulle proposte della commissione e le misure addizionali annunciate dalla Grecia.

La Commissione monitorerà da vicino l’attuazione delle raccomandazioni in collegamento con la Banca centrale europea e proporrà le necessarie misure addizionali basandosi sulla expertise del Fondo monetario. Una prima valutazione sarà fatta in marzo. Gli Stati membri dell’Eurozona decideranno una azione determinata e coordinata, se necessario, per salvaguardare la stabilità finanziaria nell’Eurozona nel suo complesso. Il governo greco non ha richiesto un sostegno finanziario”.

L’UE C’E’ - Dal burocratese, quindi, si evince che la decisione sull’aiuto economico è presa, e quindi all’Fmi non sarà chiesto di intervenire, anche se il Fondo verrà consultato; se la Grecia o qualsiaisi altro stato membro ne avrà bisogno, l’Europa ci sarà: quindi questo vale anche in caso di attacco a Portogallo, Spagna o persino Gran Bretagna, se dovesse servire. E con ciò, si chiudono anche le polemiche interne all’Eurogruppo sui rischi per gli altri paesi. L’impegno maggiore dovrà comunque venire dal paese ellenico: deve preparare un piano credibile, non in tre anni perché i miracoli non li fa nessuno e sarebbe un altro imbroglio se promettesse questo. Ma ha necessità di mettere in ordine le sue finanze pubbliche, fissare obiettivi di crescita e di produttività. Solo a questi patti l’Ue lancerà eventualmente la sua ciambella di salvataggio, ove fosse necessario.

Non è ancora chiaro se si tratterà di un vero e proprio piano di salvataggio, magari da applicare anche a possibili futuri casi di emergenza. Su questo le notizie sono contrastanti, anche perché c’è sempre da superare l’ostacolo rappresentato dalla clausola del ‘no bail out’ che vieta la concessione di aiuti finanziari a Paesi della zona euro. Un modo per aggirare il trattato potrebbe essere quello di prestiti bilaterali concertati con le istituzioni della Ue. Jean-Claude Juncker, insieme al presidente dell’Eurotower Jean-Claude Trichet, saranno chiamati a prendere le decisioni politiche da tradurre in azioni concrete dall’Eurogruppo e dall’Ecofin, che si riuniranno a Bruxelles lunedì e martedì.

IN GRECIA RESPIRANO - La decisione fa tirare un sospiro di sollievo alle autorità elleniche, soprattutto per l’effetto calmante sui nervosismi dei mercati finanziari: “Abbiamo bisogno del sostegno psicologico e politico dell’Europa”, afferma infatti il premier greco Giorgio Papandreou, in un’intervista al quotidiano Le Monde, dopo il vertice dei leader Ue a Bruxelles. “In questo momento – aggiunge – abbiamo bisogno che l’Ue dica: ‘Sì la Grecia è credibile, garantiamo che il suo piano è realista’”. E ancora: “Se le speculazioni andranno avanti questo non è un problema della Grecia ma della volontà collettiva europea di regolarle”. Papandreou sottolinea quindi di “non aver chiesto un sostegno finanziario”.

E nemmeno l’aiuto del Fondo monetario internazionale Fmi. “Giuridicamente – spiega – farlo sarebbe possibile ma non prevediamo questa soluzione”.Nel mondo della speculazione e degli hedge fund, scommettere sull’euro debole sarà quindi più difficile; il rischio bancarotta e l’effetto domino sugli altri paesi viene definitivamente scongiurato: non è difficile pensare che sarà un bene, nel breve periodo, per i mercati e per la valuta. Gli effetti politici, invece, si misureranno necessariamente sul medio-lungo termine. E non è detto che il bilancio finale sia per forza positivo. ( Fonte: OpenDNS)
 
Ciao Sailuzzo :) sono previsti dati particolari prima dell'apertura americana ?

PAESE ORA INDICATORE/EVENTO PERIODO DI RIFERIMENTO
STATI UNITI 14:30 Vendite al dettaglio Gennaio
STATI UNITI 15:55 Fiducia Michigan Febbraio
STATI UNITI 16:00 Scorte di Magazzino Dicembre
STATI UNITI 17:00 Scorte di petrolio Settimana Conclusasi il 5 Febbraio
 
PAESE ORA INDICATORE/EVENTO PERIODO DI RIFERIMENTO
STATI UNITI 14:30 Vendite al dettaglio Gennaio
STATI UNITI 15:55 Fiducia Michigan Febbraio
STATI UNITI 16:00 Scorte di Magazzino Dicembre
STATI UNITI 17:00 Scorte di petrolio Settimana Conclusasi il 5 Febbraio

Grazie, sei meglio di Blummi Berg la famosa modella ... :)
 
E LA GRECIA HA LA FACCIA TOSTA DI CRITICARE L' UE
di WSI-AGI

Il premier Papandreou: "C'e' stata una mancanza di coordinamento tra le varie istituzioni dell'Unione europea: la commissione, gli stati membri, la Bce. E ci sono anche state opinioni divergenti all'interno di questi istituzioni".


Il premier greco, George Papandreou, all'indomani del vertice Ue che si e' limitato a sostenere politicamente Atene senza entrare nel dettaglio degli aiuti, si lamenta di una mancanza di coordinamento tra le istituzioni europee. "C'e' stata - dice - una mancanza di coordinamento tra le varie istituzioni dell'Unione europea: la commissione, gli stati membri, la Bce. E ci sono anche state opinioni divergenti all'interno di questi istituzioni".
 
GRECIA: GLI AIUTI UE CREANO PRECEDENTE PERICOLOSO
di WSI

Lo sostiene Erik Nielsen, chief economist di Goldman Sachs, secondo cui e' tuttavia meglio cosi', perche' il piano di ristrutturazione non sarebbe riuscito. Ora anche Portogallo e Spagna avranno il diritto di pretendere un trattamento simile.


Nello stringere un accordo per correre in soccorso della Grecia, i leader dell'Unione Europea hanno cosi' creato un precedente storico, cui potranno rifarsi gli altri Paesi alle prese con un deficit di bilancio di dimensioni allarmanti, come il Portogallo.

Lo ha detto ai microfoni dell'emittente Cnbc Usa il chief economist per l'Europa di Goldman Sachs: "se fossi nei panni del ministro portoghese delle Finanze e avessi bisogno di un aiuto simile, avrei ottimi motivi per pretendere lo stesso trattamento".

Ora che i leader della Ue hanno trovato un accordo per aiutare la Grecia a ridurre il debito, faranno fatica a dire di no alle altre economie della zona euro che si trovano nella medesima difficile situazione.

I problemi con cui Atene e' alle prese sono piu' gravi di quelli degli altri Paesi e inoltre sono stati intensificati dal fatto che la Grecia non abbia detto tutta la verita' sullo stato dei propri conti. Nielsen ritiene che Atene non sara' in grado da sola di portare a compimento l'austero piano di ristrutturazione del debito, che prevede una riduzione del deficit pubblico dal 12.7% attuale al 3% entro la fine del 2012.

Prima che l'accordo venisse raggiunto, il presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet aveva dato la sua approvazione ufficiale al piano, definendolo la strada giusta da percorrere. Resta ancora da vedere se i finanziamenti dell'Ue saranno contingenti al piano originale o meno.

"Penso che richiederebbe una stretta e dei cambiamenti altrettanto radicali e, fatto ancora piu' importante, per implementare riforme di questo tipo bisogna avere un sistema costituzionale piu' solido di quello su cui possono invece contare i greci", ha osservato sempre Nielsen.

"Fissando un obietivo troppo ambizioso e in qualche modo irrealistico, corrono pertanto un rischio, ma ovviamente quando c'e' una crisi e' meglio avere ambizioni molto alte in modo da realizzare una riforma veramente completa".

In Grecia intanto i sindacati hanno organizzato una serie di scioperi e proteste conto il piano di ristrutturazione, che tra le altre misure prevede il congelamento degli stipendi per gli impiegati statali e un innalzamento dell'eta' pensionabile nazionale.

I bond del governo greco sono stati venduti a piene mani nel corso dell'ultima settimana, alimentando i timori di un contagio nella regione europea, con i governi di altri Paesi alle prese con deficit di bilancio superiori alla norma che hanno registrato un incremento del costi per raccogliere denaro tramite l'emissione di bond.

Il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz ha accusato pubblicamente gli speculatori per aver esacerbato la situazione, aggiungendo che la Grecia e' stata "vittima di un attacco sferrato dai mercati finanziari".

Nielsen pero' non concorda con l'opinione dell'economista e infatti ha dichiarato nell'intervista che non c'e' nessuna prova a dimostrazione che i movimenti dei mercati siano stati dettati da attivita' speculative. Tuttavia Nielsen ha riconosciuto che senza dubbio gli investitori a lungo termine hanno venduto i bond greci originando ulteriori pressioni sulle spalle dell'Unione Europea.
 

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