«Al bando i Credit default swap
sul debito pubblico degli stati»
di Vittorio Carlini
«Non dobbiamo permettere che la speculazione approfitti delle difficoltà della Grecia. L'uso dei derivati deve essere limitato», commenta il cancelliere tedesco
Angela Merkel. «Credo che i derivati sul debito sovrano debbano essere rigidamente regolati, se non addirittura vietati», fa da eco il ministro delle finanze francese
Christine Lagarde. Due interventi che, dopo lungo disinteresse, eprimono la voglia dei governi di intervenire su un particolare aspetto della speculazione, quello dei Credit default swap, che in realtà da molto tempo rappresenta un campo minato della finanza.
Già, i Credit default swap (Cds). Ormai anche i sassi hanno ascoltato, da qualche parte, queste tre parole inglesi. Si tratta di un contratto che funziona nel seguente modo:
1) la
società A emette un'
obbligazione a favore di
B
2) B (creditore di A)
cede il
rischio di insolvenza di A ad un terzo soggetto
C. Allo stesso tempo B paga periodicamente un premio a C per l'assunzione del rischio.
3)
C, nel caso di fallimento di A,
deve dare a B la
somma corrispondente al
credito e si insinua nel passivo del fallimento di A.
Ebbene questo tipo di contratto non è trattenuto tra le parti interessate, ma viene a sua volta venduto e scambiato come derivato: inizia una vita autonoma con una sua quotazione. Se, per esempio, la "paura" sull'emittente cala anche la quotazione scende (il contratto viene venduto a un prezzo più basso); viceversa, se il rischio di insolvenza aumenta la quotazione (il premio) del Cds a sua volta sale. È quanto accaduto, per esempio, nel caso della Grecia. Si dirà: tutto normale, tutto a posto. Non completamente. I Cds sono scambiati su piattaforme
Over the counter, cioè non sottoposte ad un controllo accentrato. Di più: sono piuttosto opache, cioè le manipolazioni dei prezzi non sono così difficili. Ancora: in quanto derivati, chi opera con essi all'inizio si espone solo per un valore minimo del loro valore nominale. Così, gli intermediari finanziari, quando le notizie sul merito di credito di un emittente peggiorano, possono decidere di acquistare il derivato amplificandone il movimento al rialzo per, poi, rivenderlo al momento opportuno, portandosi a casa enormi guadagni. Quando quest'operazione coinvolge una singola azienda nessuno se ne accorge. Quando, invece, riguarda la stabilità finanziaria di uno stato come la Grecia, e in ultima istanza l'impalcatura dell'euro, tutti gridano "al lupo". I governi si svegliano e chiedono a gran voce una regolamentazione.
In quale direzione? Il fronte politico non va oltre a semplici mozioni di sentimento. Anche perché «l' intervento in questo settore - ammette la stessa Merkel- non è semplice».
La regolamentazione dei Cds
Il presidente del Financial stability forum (nonchè governatore di Bankitalia)
Mario Draghi offre un'indicazione un più articolata. «Questi mercati - dice Draghi - non si troveranno nelle stesse condizioni in cui erano prima dell'inizio della crisi». C'è un crescente disagio nei confronti di simili derivati. «Anche perché sono sempre più diffusi i cosiddetti Cds "nacked" (nudi), senza cioè il sottostante», che rappresentano quindi una pura "scommessa" finanziaria. Un'attività che «costituisce un problema sistemico - ha spiegato Draghi- e quindi richiede» l'intervento degli stati. In particolare, il presidente del Fsf ha affermato che «bisogna realizzare» per simili contratti «un'unica controparte centralizzata», piuttosto che trattarli su base bilaterale. Il passaggio ad una "clearing house", tuttavia, non vuol dire impedire la speculazione, bensì garantire il sistema dal fallimento dell'intermediario che ti ha venduto il Cds. Intervenire sulla speculazione, sempre ammesso che sia possibile, richiede misure ben più drastiche. E bisognerà capire se i governi avranno la forza, o la voglia, di spingersi a tanto.