L’inflazione galoppante negli Stati Uniti ha solo marginalmente influenzato in negativo Wall Street, è stata quasi ignorata dalle obbligazioni ed ha avuto effetti rilevanti soltanto sul dollaro, in forte apprezzamento su euro.
Se la reazione ad un rincaro dei prezzi al consumo di parecchio più alto del previsto è stata così blanda sulle azioni, è perché prevale un atteggiamento di sfiducia sulla durata e sulla sostenibilità della ripresa economica in atto: nel medio-lungo periodo, l’incremento degli affitti, dei biglietti aerei e dei prezzi delle auto usate dovrebbe placarsi, ma allo stesso tempo, il trend di fondo del ciclo economico dovrebbe perdere vigore a causa dello strutturale problema della demografia. Probabilmente per questa ragione, i bond a lunga ed a lunghissima scadenza hanno quasi del tutto ignorato il dato sull’inflazione, anzi, subito dopo la pubblicazione, il rendimento del trentennale, scendeva. La curva dei tassi, rappresentata dal differenziale tra il decennale ed il biennale, si è solo di poco fatta più ripida, stamattina lo spread è di nuovo in calo a 114 punti base.
Prevale sopra ogni cosa la convinzione che la Federal Reserve non possa permettersi di chiamarsi fuori e continuerà di conseguenza a dare una mano: per il momento tollerando il surriscaldamento dell’inflazione, successivamente, continuando ad erogare sostegni ad un’economia che sta molto meglio di prima ma ha di fronte una lunghissima convalescenza. In questo contesto, anche le varianti del virus e lo scarso successo delle campagne vaccinali negli Stati più vicini a Trump sono elementi positivi in quanto sono dei freni alla crescita che allontanano il momento dell’uscita di scena della banca centrale.