L’
occupazione ha un costo in termini di mezzi, di personale e di fondi
molto oneroso. Insomma, non è che si occupano e si tengono intere regioni solo per il fatto di aver piantato delle bandiere qua e là. Nel maggio 1945, al momento della resa della Germania, l’esercito americano aveva più di
1,6 milioni di uomini entro i confini del nemico sconfitto: avrebbe voluto ritirarli ma da un giorno all’altro dovette trasformarle in truppe di occupazione perché non poteva certo riarmare i Tedeschi poche settimane dopo la caduta di Hitler.
Lo sforzo in termini di personale dell’occupazione del territorio ucraino
non è sostenibile per la Federazione russa, nemmeno nell’ipotesi, molto improbabile, che gli Ucraini non si dedichino
alla lotta partigiana e alla guerriglia. Molto semplicemente, per realizzare i sogni di Putin la Russia dovrebbe accettare costi materiali, umani e finanziari insostenibili per un Paese la cui economia è paragonabile a quella della Spagna come PIL.
Diverso è il discorso se il Cremlino decidesse di annientare completamente il popolo ucraino, attuando una deportazione di massa dai territori occupati secondo l’antica scuola zarista e poi sovietica. Circassi, Ceceni, Tatari, Greci, Ugro-Finnici, Coreani, Ucraini, Ungheresi, Italiani della Crimea e Tedeschi del Volga sono solo alcuni dei gruppi etnici “trasferiti a forza” da una parte all’altra della Russia (e dell’URSS) negli ultimi due secoli.
Dice il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che è più facile tenere una città come Severodonetsk piuttosto che riprenderla una volta che Kiev lancerà la sua “controffensiva estiva”. La frase sembra così ovvia nella sua semplicità che nessuno si è posto il problema: ma i Russi, una volta...
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