Lele Mora e le serate di Arcore
«Abuso di potere e degrado»
Ma fuori dall'aula fa retromarcia: «Mai prostituzione, Berlusconi un amico di cui sono orgoglioso»
Il caso Ruby e quello che è successo attorno alle serate ad Arcore di Silvio Berlusconi è stato un caso di «dismisura, abuso di potere, degrado, tre parole che ho letto sui giornali e che condivido». Lo ha detto Lele Mora, leggendo un testo scritto, rendendo dichiarazioni spontanee al processo Ruby bis, in cui è imputato per induzione e favoreggiamento alla prostituzione, anche minorile. «Io non ne sono stato passivo concorrente», ha aggiunto l'ex talent scout, facendo una sorta di mea culpa (e la parola «non», scritta nel testo, in aula proprio non si è sentita). «È vero, ho partecipato alle feste di Silvio Berlusconi ad Arcore, è vero, ho accompagnato alle cene alcune ragazze, ed è anche vero che ho ricevuto un prestito da Berlusconi tramite Emilio Fede che avrebbe salvato la mia società. Ma non ho mai voluto condizionare le ragazze, non ho mai giudicato i loro comportamenti e non ho mai orientato le loro condotte con costrizione», ha detto Mora, che ha anche voluto sottolineare che rispetta e non contesta «l'attività di indagine della procura».
LA CITAZIONE - La frase letta da Lele Mora su «dismisura, abuso di potere e degrado» è una citazione da un articolo del giornalista di Repubblica Giuseppe D'Avanzo, morto nel luglio del 2011. Lo stesso cronista al quale Silvio Berlusconi si rivolse, a margine di un'udienza del processo Mediaset, chiamandolo «signor Stalin».
«CHIEDO SCUSA A TUTTI» - «Quando sono stato scarcerato pensavo alle tante polemiche che ho fatto contro i giornalisti e comunisti, con minacce cui mi vergogno», ha raccontato Mora. In particolare, Mora ha chiesto scusa al giornalista Corrado Formigli. «Voglio chiedere scusa a tutti. Il carcere ti obbliga a momenti di rilettura della vita e io voglio uscire da quella bufera infernale che mi ha tolto la luce».
CIBO AVARIATO - «Oggi non voglio più mangiare "cibo avariato" né offrirlo ai miei amici - ha aggiunto Mora - non voglio entrare nel merito dei fatti, non essendomi sottoposto all'esame lascio quindi ai miei difensori il compito di chiarire le mie ragioni» sulla base delle prove acquisite. «So che l'ignoranza della legge non perdona - ha proseguito - ma posso dire di non aver mai voluto condizionare la volontà di queste ragazze e credo di non averlo fatto. E non ho mai giudicato il loro comportamento - ha concluso - né inquadrato il loro comportamento come prostituzione».
RETROMARCIA - Fuori dal Palazzo di Giustizia, però, rispondendo alle domande di alcuni cronisti, Lele Mora ha fatto una sorta di retromarcia, con dichiarazioni più concilianti verso il Cavaliere. «Ad Arcore non c'è stato niente di male, l'amicizia non è una cosa che uno ti dà, ma si sceglie. Se ho scelto di avere un amico come Berlusconi che ancora credo sia tale e che rispetto, sono orgoglioso di andare a cena da lui se mi invita. Non è uno che fa prostituire la gente. Allora, io che lavoro ho fatto per 35 anni, il magnaccia?», ha detto Mora. Ai cronisti che lo incalzavano su quel riferimento fatto in aula al «degrado», Mora ha risposto: «Io forse ho sbagliato a non essere più attento ma non c'è mai stata prostituzione, ho detto quello che ha riportato un giornale».