commenti vari su tutto nessuno escluso

Roma, 2 mar. (Adnkronos) - E' un vero e proprio boom di protesti e sofferenze nelle aziende italiane, almeno una piccola impresa su due è costretta a rateizzare le retribuzioni ai propri collaboratori. Aumentano così a vista d'occhio le aziende del nostro Paese che da qualche mese stanno dilazionando il pagamento degli stipendi a causa della poca liquidità. Lo rileva un'analisi effettuata dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre.



Assegni bancari o postali, cambiali, vaglia o tratte: le imprese insomma, rileva l'analisi dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre, fanno sempre più fatica ad onorarli e così i protesti hanno subito un aumento molto consistente. Dall'inizio della crisi i titoli di credito che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti del 12,8%, mentre le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno fatto registrare un'impennata spaventosa: +165%. Alla fine del 2012 l'ammontare complessivo delle insolvenze ha superato i 95 miliardi di euro. Queste tendenze, secondo l'analisi, dimostrano che l'aumento dei protesti bancari ha sicuramente concorso - assieme al calo del fatturato e al 'blocco' dei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione - a 'mandare in rosso' i conti correnti di molti imprenditori, non consentendo a molti di questi la possibilità di restituire nei tempi concordati i prestiti ottenuti dalle banche. Ovviamente, fa notare la Cgia di Mestre, la causa principale di questa situazione è la crisi economica che ormai sprigiona i suoi effetti negativi da ben 5 anni, con conseguenze pressoché inimmaginabili sino a qualche tempo fa.

"Il disagio economico in cui versano le piccole imprese - afferma il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi - è noto a tutti, con risvolti molto preoccupanti soprattutto per i dipendenti di queste realtà aziendali che faticano, quando va bene, a ricevere lo stipendio con regolarità". "Purtroppo, - prosegue - sono aumentate a vista d'occhio le aziende che da qualche mese stanno dilazionando il pagamento degli stipendi a causa della poca liquidità. Stimiamo che almeno una piccola impresa su due sia costretta a rateizzare le retribuzioni ai propri collaboratori".

A corollario di questa situazione non va nemmeno dimenticato, sottolinea la Cgia, che, dall'inizio della crisi, i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra le imprese si sono allungati solamente in Italia, mentre in tutti i principali Paesi Ue hanno subito una drastica riduzione.

Tra il terzo trimestre 2007 e lo stesso periodo del 2012, l'aumento medio nazionale del numero delle imprese protestate è stato del 12,8%. In termini assoluti, il numero di imprese segnalate ha sfiorato, nel 2012, le 67.000 unità. Le regioni più interessate dalla variazione di crescita sono state l'Umbria (+46,4%), l'Abruzzo (+34%) e la Sardegna (+32,4%).

Il Sud appare indubbiamente l'area territoriale più in sofferenza: detiene infatti il triste primato del maggior numero di imprese protestate (quasi 29.000 nel terzo trimestre 2012), facendo altresì registrare il tasso di crescita più elevato di tale fenomeno (+19,8% nell'ultimo quinquennio).
 
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piu' guardo i politici di dx e sx negli spettacoli pomeridiani piu' mi convingo di avere fatto bene votare m5s.
oggi nella trasmissione di giletti l'arena tranne crocetta tutti facevano pieta' in particolare quella zoccola della biancofiore una ineducata e presuntuosa politicante di mer...
ciao a tutti ragazzi
 
-gli Eurobond (sono anni che Tremonti li chiedeva)dovrebbero rendere identici i tassi di indebitamento, poi ogni stato ovviamente risponde del suo debito.
-esercito unico, politica economica unica va bene.
Il difetto dell'UE è stato nelle formazione; si doveva partire, come per l'Italia unita, dai plebisciti con la formazione di un unico stato federale per chi accettava; la moneta doveva seguire l'unione non precederla.
La creazione dell'euro senza unione è stata una idozìa colossale; hanno fatto il tetto senza fare prima i muri e si meravigliano se il tetto gli è crollato sulla testa
 
-gli Eurobond (sono anni che Tremonti li chiedeva)dovrebbero rendere identici i tassi di indebitamento, poi ogni stato ovviamente risponde del suo debito.
-esercito unico, politica economica unica va bene.
Il difetto dell'UE è stato nelle formazione; si doveva partire, come per l'Italia unita, dai plebisciti con la formazione di un unico stato federale per chi accettava; la moneta doveva seguire l'unione non precederla.
La creazione dell'euro senza unione è stata una idozìa colossale; hanno fatto il tetto senza fare prima i muri e si meravigliano se il tetto gli è crollato sulla testa

hanno fatto il tetto senza fare le fondamenta non i muri :D

come fai a unificare il debito pubblico se non unifichi il sistema politico?

e come fai ad unificare il sistema politico italiano, tedesco e greco?

questa europa per ora sta su solo con la catena euro, come gli Usa per la societa' multirazziale e il dollaro sono due catene che vanno contro la natura umana

cosa pensate che succeda in Usa ed europa se crolla l'euro e il dollaro?
in europa si torna ai nazionalismi e in usa guerra civile
 
hanno fatto il tetto senza fare le fondamenta non i muri :D

come fai a unificare il debito pubblico se non unifichi il sistema politico?

e come fai ad unificare il sistema politico italiano, tedesco e greco?

questa europa per ora sta su solo con la catena euro, come gli Usa per la societa' multirazziale e il dollaro sono due catene che vanno contro la natura umana

cosa pensate che succeda in Usa ed europa se crolla l'euro e il dollaro?
in europa si torna ai nazionalismi e in usa guerra civile


Pensa: monti è felice circa i problemi causati da euro sicchè si diventa necessariamente + europa - fatto salvo che ha sbagliato i conti ed alla grande-
 
Stipendi d’oro dirigenti dello Stato italiano sono i meglio pagati al mondo media di 308 mila euro per i top manager




L’italia ha dimostrato d’essere stufa della vecchia politica, stufa di tirar fuori soldi per mantenere politica e soprattutto dirigenti incapaci e pronti solo a fare i propri interessi, non fossilizziamoci sui privilegi parlamentari in confronto sono briciole!

Ora ve li metto tutti, tappatevi in naso eh
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Nella pubblica amministrazione ci sono dirigenti che prendono stipendi d’oro, centinaia di migliaia di euro l’anno (e qualcuno più di mezzo milione). Il presidente Obama è un morto di fame a confronto e pure Napolitano, eppure questi personaggi sono stati messi a questi stipendi in quelle cariche proprio dalla politica
Forse sarebbe il caso che la mitica ‘spending review’ iniziasse da lì

Settantanovemilacentocinquantanove euro. E’ lo stipendio medio, al lordo delle tasse, dei 48.083 dirigenti pubblici italiani, che tutti insieme appassionatamente si aggiudicano un monte-retribuzioni pari a 3 miliardi e 806 milioni.

Gli alti papaveri dello Stato italiano (che secondo l’indagine dell’Ocse “Government at a glance 2011″ sono i meglio pagati al mondo, con una media di 308 mila euro per i top manager) riescono addirittura a doppiarlo.
In base all’incompleto elenco che il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha consegnato alla fine di febbraio al Parlamento, il capo della Polizia, Antonio Manganelli, è il dirigente pubblico meglio pagato d’Italia, con 621.253 euro e 75 centesimi l’anno.
A titolo di raffronto, Bernard Hogan-Howe, che non è un viandante ma il capo della Metropolitan Police di Londra, è fermo a quota 298 mila euro. Negli Stati Uniti, il capintesta dell’Fbi, Robert S. Mueller, ha uno stipendio base di 120 mila euro, che sale a 153 mila con le indennità. E in Spagna il direttore generale della Polizia non va oltre i 71 mila euro, meno dunque di un travet con i galloni di capo di seconda fascia e la scrivania a palazzo Chigi (73.783 euro).
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I dirigenti pubblici italiani, insomma, non si possono davvero lamentare dei loro stipendi. Ma non è questo il punto.
Più che a sforbiciarla, bisognerebbe riuscire ad agganciare la busta-paga di Manganelli alle statistiche sui reati commessi nel Paese e sui presunti responsabili assicurati alla giustizia. E su questo fronte siamo davvero indietro.
Nella pubblica amministrazione la meritocrazia rimane una bestemmia. Perché, al di là delle tante parole in libertà, i sindacati, che hanno nei travet (e nei pensionati) il loro zoccolo duro, continuano a non volerne sapere. E il 68,08 per cento dei dirigenti pubblici ha in tasca la tessera con il logo di Cgil, Cisl o Uil (contro una media nazionale del 33,7 per cento), sigle con le quali spesso si crea un rapporto incestuoso: solo di recente ai capi del personale delle amministrazioni è stato vietato di assumere incarichi sindacali e di giocare così due parti in commedia (leggendaria è la vicenda del dirigente-sindacalista di palazzo Chigi la cui firma appariva due volte in calce ai contratti: nella casella del datore di lavoro e in quella della controparte).
Il risultato è che a ogni passo avanti compiuto in direzione di un riconoscimento dei meriti individuali ne seguono a
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lmeno due indietro. Racconta Renato Brunetta, l’ex ministro della Funzione Pubblica che aveva introdotto sistemi di valutazione dei singoli dipendenti: «Patroni Griffi ha cercato di tornare al voto di merito attribuito agli uffici nel loro complesso. Tra l’altro, se fosse passata la sua linea, che subordinava ogni forma di mobilità alla concertazione con i sindacati, oggi Bondi avrebbe le mani legate
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».
Ci sono ditte che aspettano i pagamenti dallo stato e non arrivano! ma sempre lo stato trova i soldi per pagare….

Ci sono i dirigenti comunali che sono completamente fuori dalla grazia di dio.
A prescindere dalle dimensioni del Comune e dal numero dei suoi abitanti, gli stipendi dei dirigenti sono tutti pressochè uguali e tutti al massimo della retribuzione.
Qui si parla anche e soprattutto di dirigenti, presidenti e commissari di autorità indipendenti, di municipalizzate, di signorotti e burocrati con stipendi maturati in anni di privilegi e vacche grasse che adesso guai a chi glieli tocca.
Come nel caso del segretario generale del Comune di Lecce (95.520 abitanti) che si accaparra un reddito annuo di 205.108 euro e, al top, il direttore generale del Comune di Milano che sbanca con i suoi 289.000 euro tondi tondi.
Emolumenti da centinaia di migliaia di euro l’anno che sono schiaffi in faccia a chi tocca ogni giorno con mano il livello qualitativo medio dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Quando si tratta di onorare i debiti con i fornitori e pagare il dovuto per i beni e servizi ricevuti, la PA si prende tutto il tempo che vuole, quando invece deve pagare lo stipendio ai suoi alti papaveri non ci sono problemi QUESTO E’ UNO SCHIFO!
Appello a Grillo, guarda oltre la camera e troverai il vero spreco!
Ora vi inserisco tutti gli articoli più letti della settimana politica… buona lettura e smacchiamo il giaguaro
 
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CRISI ECONOMICA: L’ITALIA STA FALLENDO

Scritto il 4 marzo 2013 alle 19:45 da Paolo Cardenà
L’ITALIA E’ IN BANCAROTTA



di Paolo Cardenà-
L’anno scorso hanno chiuso i battenti quasi 380.000 mila imprese, oltre mille al giorno. Secondo quanto riportato di recente dalla CGIA di Mestre, almeno un’impresa su due, delle piccole e medie imprese rimaste, pagano a rate i propri collaboratori, o si indebitano per poterlo fare. Stanno anche accumulando debiti tributari crescenti, o ricorrono al credito esterno per poter sostenere il carico fiscale. La pressione fiscale, per le imprese, è del 75% o forse più. Mentre il livello in rapporto al Pil ha superato la soglia del 44%.

Dall’inizio della crisi, i titoli di credito (assegni bancari o postali, cambiali, tratte ecc. ecc.) che alla scadenza non hanno trovato copertura sono cresciuti quasi del 13%.
Sempre secondo quanto ci riferisce l’Associazione di Mestre, le sofferenze bancarie in capo alle aziende hanno subito un incremento del 165%.

A proposito di banche, abbiamo la banca più antica del mondo, il Monte Paschi, che è in bancarotta e negli ultimi quattro anni sono stati necessari ben due interventi statali per rianimarla e prolungarne l’agonia: il primo con i Tremonti Bond, il secondo con Monti Bond. Costo complessivo dell’operazione, oltre 4 miliardi di euro, pari all’intero gettito IMU sulla prima casa. Sarebbe curioso indagare approfonditamente anche sugli altri gruppi bancari, al fine di capire l’esatto stato di solvibilità e l’utilizzo che è stato fatto della montagna di derivati che hanno in pancia. Che siano stati utilizzati anche per abbellire i conti? Non lo sappiamo, ma se è vero che pensare male si commette peccato, è anche vero che talvolta ci si azzecca.

Pochi giorni fa, è emerso che nei bilanci dell’Inps c’è un buco di oltre 10 miliardi di euro, e sempre lo stesso ente, in base ai dati del 2011, fa sapere che in Italia le prestazioni pensionistiche inferiori ai 1000 euro, sono il 77% del totale, e oltre 2,4 milioni di pensionati, invece, ricevono un assegno inferiore a 500 euro mensili. Somme che, vista l’esiguità e il crescente costo della vita, condannano i percettori a vivere in condizioni di crescente indigenza e ovvia difficoltà, soprattutto in età avanzata.

I disoccupati sfiorano i 3 milioni. Il tasso disoccupazione è intorno al 12%, mentre quella giovanile è prossima al 40%, con picchi vicini al 50% al sud. Fuori del perimetro dei dati appena enunciati, c’e un numero considerevole di cassaintegrati in forza ad aziende che non avranno mai la possibilità di riprendersi da questa crisi, e presto diverranno disoccupati in pianta stabile proiettando il tasso di disoccupazione ben oltre il 15%.
A dimostrazione di quanto appena affermato a proposito del crescente stato di povertà, proprio pochi giorni fa, il sito Zerohedge, ha diffuso un’analisi secondo la quale il tasso di rischio di povertà italiano ha superato quello della Spagna. Non solo, ma in un’altra analisi diffusa dallo stesso sito, emerge che il tasso di disoccupazione giovanile ha superato quello del Portogallo attestandosi oltre il 38%, un livello analogo a quello della Grecia di appena 2 anni fa.

Nell’ultimo anno, nonostante la spremitura di tasse operata dal Governo Monti con il sostegno congiunto del Pd e del Pdl, il debito pubblico è aumentato di oltre 80 miliardi di euro superando la barriera dei 2000 miliardi, attestandosi a quasi il 128% del PIL. Ormai si viaggia speditamente verso i parametri greci.
Nello stesso periodo il PIL è crollato del 2,4%, e se dovessimo allungare l’orizzonte ai 5 anni precedenti, osserveremmo che la crescita nazionale si è contratta di oltre il 7% dall’inizio della crisi.
La produzione industriale è crollata a livelli che non si vedevano da decenni, così come sono crollati consumi precipitati sotto i livelli del 2001. Un numero considerevole di famiglie confermano che possono arrivare a fine mese solo intaccando i risparmi accumulati in una vita, o dalle generazioni passate.

Un numero sempre più significativo di comuni e regioni, sono in difficoltà finanziarie e sempre più prossimi alla bancarotta.
Le pubbliche amministrazioni statali devono alle imprese circa 70 miliardi di euro, che si sommano agli ulteriori 70 miliardi che devono pagare le autonomi locali, arrivando all’iperbolica cifra di 140 miliardi. Queste somme non rientrano nel perimetro del debito pubblico e, se così’ fosse, il rapporto debito/Pil schizzerebbe oltre il 140%; ammesso che ci siano investitori disponibili a comprare il debito pubblico per pagare i debiti delle Pa.

Le imprese italiane, negli ultimi sei anni, ossia dall’inizio della crisi, hanno perso oltre 500 miliardi di euro di fatturato. La cancelliera Angela Merkel, non più tardi di qualche settimana fa, ha affermato che con ogni probabilità, l’attuale crisi, si protrarrà per almenoaltro 5 anni. E arriviamo così a undici anni di crisi. Ci dicono che dobbiamo lavorare oltre 40 anni, e ci può anche stare. Ma in queste condizioni significa trascorrere oltre un quarto della vita lavorativa e professionale in profonda crisi. E non è affatto escluso che quelle che verranno in seguito non siano ancor più frequenti o meno profonde di quella attuale.
Il rischio è quello di convivere con recessioni economiche per buona parte della carriera professionale. Questo, è semplicemente impossibile.
Paghiamo una novantina di miliardi all’anno per interessi sul debito pubblico, che si autoalimenta e cresce per inerzia. Questo, nella sua connotazione attuale, e in un simile ambiente, è semplicemente impagabile.

Siamo all’ingovernabilità totale e, con ogni probabilità, passeranno ancora lunghi mesi prima di poter avere un esecutivo capace di governare. Per quanto qualificato possa essere, che un nuovo governo possa invertire questa tendenza, è solo un pia illusione che può albergare nelle menti che pericolosamente rifuggono dalla realtà dei fatti. Il processo è inarrestabile, e tenderà ad accelerare con il trascorrere dei mesi. Se tutto ciò non fosse sufficiente, si potrebbe andare avanti ancora per ore. Ma non cambierebbe affatto il risultato.
Ormai il punto di non ritorno è stato superato, da un pezzo. L’Italia è fallita, fatevene una ragione. Se per crederci attendete la conferma da parte del mondo politico, state pur certi che verrà annunciata solo dopo che vi avranno tolto tutto, anche la speranza.

Si sta cercando di mantenere l’apparente solvibilità dello Stato e del sistema bancario,rendendo insolventi un numero mostruosamente crescente di imprese e famiglie. Questo è solo un massacro alla devastazione che rischia di abbattere del tutto quel che rimane del sistema produttivo nazionale, compromettendo o rendendo più ardua ogni possibilità di risalita.
E’ indispensabile avere un piano B per garantirci, eventualmente, una via di fuga e uscire dai vincoli imposti da questa camera a gas chiamata eurozona. Occorre dichiarare il default e annunciare la ristrutturazione del debito tagliandone il capitale, gli interessi e riprogrammando le scadenze verso un sentiero più sostenibile.

Questo evento, per quanto traumatico possa essere, nel comune interesse di tutti, se concertato anche con istituzioni sovranazionali e creditori, limiterà gli effetti devastanti di un default incontrollato che non tarderà ad arrivare. Eviterà l’annientamento dell’apparato produttivo e del tessuto imprenditoriale, altrimenti perennemente al servizio del debito e di un apparato burocratico/amministrativo degno della peggiore Unione Sovietica, fino alla scomparsa. L’alternativa a questo saranno scontri sociali, rivolte, scomparsa di buona parte del tessuto produttivo, svendita di interi settori industriali, perdita dei diritti acquisiti, compressione dello stato sociale, povertà diffusa e bancarotta. Quella vera intendo, quella imposta dalle regole del mercato selvaggio.

maaaaa speriamo bene
 

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