tontolina
Forumer storico
Quel «concerto» in Piazza Affari sulle azioni Olivetti
di Giuseppe Oddo
http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=a...&chId=30&artType=Articolo&DocRulesView=Libero
Un «concerto» per tenere alto il prezzo della Olivetti-Telecom.
Potrebbe essere questo il filo sommerso degli eventi che, nell'estate 2001, portarono Pirelli e Benetton a corrispondere alla Bell ben 4 euro per azione per il controllo del gigante telefonico, mentre i corsi di Borsa erano all'incirca la metà. E il filo potrebbe condurre anche alla super-parcella da 50 milioni scoperta nei giorni scorsi nei conti di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti per una misteriosa consulenza riconducibile alla cessione della stessa Telecom. Non è un caso che l'attenzione dei magistrati stia gradualmente spostandosi sui fatti che contribuirono alla formazione di quel prezzo. Per il 23% della Olivetti custodito in Bell i nuovi proprietari di Telecom pagarono per l'esattezza 4,175 euro per azione, 7,2 miliardi in contanti. La transazione fece scalpore perché le Olivetti quotavano appena 2,25 euro. Il premio di maggioranza riconosciuto dall'acquirente al venditore fu per questo giudicato eccessivo da analisti e gestori di fondi, che cominciarono a vendere il titolo, facendone arretrare le quotazioni. Quasi cinque anni dopo, attorno all'inchiesta, affiora l'ipotesi che l'Unipol di Consorte e Sacchetti possa aver sostenuto l'Olivetti in Borsa durante quelle trattative, d'accordo con i principali soci della Bell.
A partire dal marzo 2001, le quotazioni del gruppo d'Ivrea avevano cominciato a perdere terreno anche a causa di un'inchiesta della Procura di Torino che aveva investito i vertici dell'azienda, tra cui l'allora presidente e amministratore delegato Roberto Colaninno e il finanziere Emilio Gnutti, consigliere di Olivetti e Telecom nonché responsabile della Hopa, la società cui faceva capo il 50% della Bell. Per evitare il crollo delle quotazioni, che avrebbe trascinato nel baratro la Hopa e "per li rami" l'intero gruppo Telecom, la Unipol (a sua volta azionista della Bell) avrebbe in sostanza predisposto intorno alla Olivetti una di rete di sicurezza, rastrellandone in Borsa all'incirca 40 milioni di titoli che sarebbero stati poi ricomperati dalla Bell, e in parte dalla Hopa, a 3,01 euro ciascuno.
Il 22 marzo il valore delle Olivetti era sceso sotto la soglia critica dei 2 euro, varcata la quale la Hopa avrebbe dovuto riconoscere alle banche creditrici nuove garanzie in titoli o in denaro. Un analogo smottamento dei corsi era avvenuto in giugno, pressapoco negli stessi giorni in cui i magistrati indagavano sulla fusione Seat-Tin.it e la Consob invitava il collegio sindacale della Telecom a preparare una relazione, in vista dell'assemblea degli azionisti convocata per il 12, che desse spiegazioni su una serie di operazioni che Colaninno aveva avuto contestate dal comitato per il controllo interno. E, in tutte e due le circostanze, una "mano" - forse quella dell'Unipol - aveva riportato le quotazioni sopra i 2 euro. Come dicevamo all'inizio, in sostanza, aleggia il sospetto di un "concerto" da parte di quanti parteciparono alla vendita del gruppo telefonico: concerto volto a tenere artificiosamente alti i corsi di Borsa della Olivetti, che richiama alla mente le spiccate vocazioni "musicali" manifestate nel corso delle Opa bancarie del 2005 da uno dei maggiori protagonisti dell'affare Telecom, "Chicco" Gnutti.
D'altro canto, il principale artefice del negoziato, concluso nella notte tra sabato 28 e domenica 29 luglio 2001 con il contratto di vendita alla Pirelli, era stato proprio lui, l'amministratore delegato della Hopa. E accanto a Gnutti aveva operato come advisor la JP Morgan Chase Manhattan, il colosso bancario Usa che nel 1999, prima di incorporare la JP Morgan, aveva avuto un ruolo chiave nel finanziare la scalata. La banca americana era stata presente in tutti i passaggi decisivi della vicenda Telecom: aveva organizzato e finanziato la Bell tra l'estate e l'autunno del 1998, divenendone socio; aveva convinto Colaninno a lanciare l'Opa sul 100% della Telecom; aveva finanziato nel 2000 l'Opa volontaria della Telecom sulla Seat; s'era fatta carico temporaneamente del 17% della stessa Seat; aveva garantito una quota dell'aumento di capitale della Olivetti nel 2001. E nel giugno dello stesso anno aveva concesso un finanziamento alla Hopa di oltre 350 milioni di euro, senza il quale la società guidata da Gnutti sarebbe potuta finire nei guai.
Nel giugno 2001, come abbiamo visto, il titolo Olivetti stava crollando e le banche italiane esposte verso la Hopa chiedevano il rientro dei crediti, che avvenne grazie al finanziamento della JP Morgan Chase. In cambio la banca americana ottenne in pegno le azioni Bell possedute dalla Hopa.
Non solo: nell'autunno 2000, insieme alla Goldman Sachs, la Chase Manhattan aveva collocato l'aumento di capitale e il prestito obbligazionario convertibile emessi dalla statunitense Corning per rilevare la Optical Technologies Usa, una controllata del gruppo Pirelli, dalla cui vendita Tronchetti Provera otterrà la liquidità necessaria per rilevare la Telecom.E sarà la stessa JP Morgan Chase a procedere alla vendita della Telecom nel 2001, prima attraverso contatti informali con la Pirelli, a partire dall'aprile-maggio, e poi con un incarico formale deliberato dall'assemblea della Bell nell'ultimo week end di luglio.
Questa ricostruzione cozza tuttavia con un'altra di segno contrario, secondo cui qualche settimana prima della conclusione dell'operazione era sceso in campo il finanziere Francesco Micheli con un mandato informale di vendita a 2-2,3 euro per azione conferitogli da Silvano Pontello, lo scomparso direttore generale dell'AntonVeneta, altro importante socio della Bell. Pontello, che aveva sostenuto Colaninno e Gnutti fin dal 1998, era già malato, s'era rivolto ai Benetton e ad altri nel tentativo di rafforzare l'azionariato della Bell, e nel contempo era incalzato da Banca d'Italia che gli chiedeva di ridurre il rischio verso il gruppo Olivetti-Telecom. Per questo aveva coinvolto Micheli, il quale, egli stesso interessato all'affare, aveva già contattato in modo informale il presidente della Mediaset, Fedele Confalonieri, e lo stesso Tronchetti Provera. Ognuno dei tre avrebbe dovuto rilevare un terzo della quota di controllo.
Senonché Micheli si fece da parte poco tempo dopo quando seppe che Tronchetti Provera e Benetton stavano per chiudere l'acquisizione direttamente con Gnutti e JP Morgan Chase al prezzo che sappiamo.
Il numero uno della Pirelli riteneva probabilmente che l'unico canale per acquistare Telecom e coagulare il consenso di tutti i soci della Bell fosse Gnutti in quanto maggiore azionista, attraverso la Hopa, della scatola lussemburghese.
In questo senso Gnutti disponeva di una potente arma negoziale per tenere alto il prezzo di vendita, anche se resta tuttora un mistero il perché un banchiere ultra-navigato come Pontello ritenesse accettabile un valore di vendita intorno ai 2 euro, ossia all'incirca pari a quello di Borsa, mentre poi l'operazione si concluse a una cifra pari al doppio.
La cascata di holding tramite cui la Bell controllava la maggioranza della Olivetti, e questa la maggioranza della Telecom, era stata congegnata in modo tale che nella società lussemburghese, che non era quotata, fosse racchiusa una quota di capitale Olivetti sufficiente a controllare il colosso telefonico, ma inferiore al 30%, il limite dell'Opa obbligatoria.
Chi avesse acquistato la partecipazione della Bell in Olivetti avrebbe così ottenuto il controllo di fatto della Telecom evitando un'Opa di dimensioni colossali e la Bell avrebbe potuto tenere tutto per sé il premio di maggioranza che altrimenti avrebbe dovuto condividere con gli altri azionisti della catena societaria. Questo potrebbe spiegare il perché di un prezzo così alto, anche se da 2 a 4,17 euro il passo resta comunque eccezionalmente grande.
C'è poi un'ultima questione che può aver indotto Tronchetti Provera a pagare quella cifra. Colaninno non aveva intenzione di lasciare la tolda di comando della Telecom. Il manager, oggi presidente e azionista della Piaggio, aveva cercato di opporsi in tutti i modi alla vendita. E con l'aiuto della Lehman Brothers, che lo aveva sostenuto dalla prima ora, aveva individuato nel Sanpaolo-Imi e in Banca di Roma gli istituti disposti a investire nella Olivetti-Telecom e a rafforzare la sua posizione.
Il progetto sembra fosse visto con favore anche dal governatore di Banca d'Italia Antonio Fazio, con il quale Cesare Geronzi, presidente di Banca di Roma, aveva stabilito all'epoca un ferreo rapporto di potere. Ciò è verosimile anche perché Fazio era stato tra i sostenitori della scalata del secolo. Bankitalia, così come il Tesoro, aveva infatti disertato l'assemblea indetta da Bernabè il 10 aprile 1999 che avrebbe dovuto pronunciarsi su alcune misure volte ad ostacolare l'Opa di Colaninno. Senza contare che il 28 luglio 2001, poco prima che Tronchetti desse il grande annuncio alla stampa, s'era fatta viva anche la spagnola Telefonica, con un importo secondo alcuni addirittura leggermente superiore a quello offerto da Tronchetti.
A quasi cinque anni dalla conclusione dell'operazione, la storia del prezzo pagato per Telecom resta dunque ancora oggi un rebus irrisolto, con vari protagonisti, diverse versioni e improvvisi vuoti di memoria. E con una parcella arci-miliardaria incassata, chissà perché, da Consorte e Sacchetti. JP Morgan Chase, una delle più grandi banche del mondo, nella veste di advisor del venditore, ricavò appena un terzo della somma percepita dai due ex manager dell'Unipol.
di Giuseppe Oddo
http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=a...&chId=30&artType=Articolo&DocRulesView=Libero
Un «concerto» per tenere alto il prezzo della Olivetti-Telecom.
Potrebbe essere questo il filo sommerso degli eventi che, nell'estate 2001, portarono Pirelli e Benetton a corrispondere alla Bell ben 4 euro per azione per il controllo del gigante telefonico, mentre i corsi di Borsa erano all'incirca la metà. E il filo potrebbe condurre anche alla super-parcella da 50 milioni scoperta nei giorni scorsi nei conti di Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti per una misteriosa consulenza riconducibile alla cessione della stessa Telecom. Non è un caso che l'attenzione dei magistrati stia gradualmente spostandosi sui fatti che contribuirono alla formazione di quel prezzo. Per il 23% della Olivetti custodito in Bell i nuovi proprietari di Telecom pagarono per l'esattezza 4,175 euro per azione, 7,2 miliardi in contanti. La transazione fece scalpore perché le Olivetti quotavano appena 2,25 euro. Il premio di maggioranza riconosciuto dall'acquirente al venditore fu per questo giudicato eccessivo da analisti e gestori di fondi, che cominciarono a vendere il titolo, facendone arretrare le quotazioni. Quasi cinque anni dopo, attorno all'inchiesta, affiora l'ipotesi che l'Unipol di Consorte e Sacchetti possa aver sostenuto l'Olivetti in Borsa durante quelle trattative, d'accordo con i principali soci della Bell.
A partire dal marzo 2001, le quotazioni del gruppo d'Ivrea avevano cominciato a perdere terreno anche a causa di un'inchiesta della Procura di Torino che aveva investito i vertici dell'azienda, tra cui l'allora presidente e amministratore delegato Roberto Colaninno e il finanziere Emilio Gnutti, consigliere di Olivetti e Telecom nonché responsabile della Hopa, la società cui faceva capo il 50% della Bell. Per evitare il crollo delle quotazioni, che avrebbe trascinato nel baratro la Hopa e "per li rami" l'intero gruppo Telecom, la Unipol (a sua volta azionista della Bell) avrebbe in sostanza predisposto intorno alla Olivetti una di rete di sicurezza, rastrellandone in Borsa all'incirca 40 milioni di titoli che sarebbero stati poi ricomperati dalla Bell, e in parte dalla Hopa, a 3,01 euro ciascuno.
Il 22 marzo il valore delle Olivetti era sceso sotto la soglia critica dei 2 euro, varcata la quale la Hopa avrebbe dovuto riconoscere alle banche creditrici nuove garanzie in titoli o in denaro. Un analogo smottamento dei corsi era avvenuto in giugno, pressapoco negli stessi giorni in cui i magistrati indagavano sulla fusione Seat-Tin.it e la Consob invitava il collegio sindacale della Telecom a preparare una relazione, in vista dell'assemblea degli azionisti convocata per il 12, che desse spiegazioni su una serie di operazioni che Colaninno aveva avuto contestate dal comitato per il controllo interno. E, in tutte e due le circostanze, una "mano" - forse quella dell'Unipol - aveva riportato le quotazioni sopra i 2 euro. Come dicevamo all'inizio, in sostanza, aleggia il sospetto di un "concerto" da parte di quanti parteciparono alla vendita del gruppo telefonico: concerto volto a tenere artificiosamente alti i corsi di Borsa della Olivetti, che richiama alla mente le spiccate vocazioni "musicali" manifestate nel corso delle Opa bancarie del 2005 da uno dei maggiori protagonisti dell'affare Telecom, "Chicco" Gnutti.
D'altro canto, il principale artefice del negoziato, concluso nella notte tra sabato 28 e domenica 29 luglio 2001 con il contratto di vendita alla Pirelli, era stato proprio lui, l'amministratore delegato della Hopa. E accanto a Gnutti aveva operato come advisor la JP Morgan Chase Manhattan, il colosso bancario Usa che nel 1999, prima di incorporare la JP Morgan, aveva avuto un ruolo chiave nel finanziare la scalata. La banca americana era stata presente in tutti i passaggi decisivi della vicenda Telecom: aveva organizzato e finanziato la Bell tra l'estate e l'autunno del 1998, divenendone socio; aveva convinto Colaninno a lanciare l'Opa sul 100% della Telecom; aveva finanziato nel 2000 l'Opa volontaria della Telecom sulla Seat; s'era fatta carico temporaneamente del 17% della stessa Seat; aveva garantito una quota dell'aumento di capitale della Olivetti nel 2001. E nel giugno dello stesso anno aveva concesso un finanziamento alla Hopa di oltre 350 milioni di euro, senza il quale la società guidata da Gnutti sarebbe potuta finire nei guai.
Nel giugno 2001, come abbiamo visto, il titolo Olivetti stava crollando e le banche italiane esposte verso la Hopa chiedevano il rientro dei crediti, che avvenne grazie al finanziamento della JP Morgan Chase. In cambio la banca americana ottenne in pegno le azioni Bell possedute dalla Hopa.
Non solo: nell'autunno 2000, insieme alla Goldman Sachs, la Chase Manhattan aveva collocato l'aumento di capitale e il prestito obbligazionario convertibile emessi dalla statunitense Corning per rilevare la Optical Technologies Usa, una controllata del gruppo Pirelli, dalla cui vendita Tronchetti Provera otterrà la liquidità necessaria per rilevare la Telecom.E sarà la stessa JP Morgan Chase a procedere alla vendita della Telecom nel 2001, prima attraverso contatti informali con la Pirelli, a partire dall'aprile-maggio, e poi con un incarico formale deliberato dall'assemblea della Bell nell'ultimo week end di luglio.
Questa ricostruzione cozza tuttavia con un'altra di segno contrario, secondo cui qualche settimana prima della conclusione dell'operazione era sceso in campo il finanziere Francesco Micheli con un mandato informale di vendita a 2-2,3 euro per azione conferitogli da Silvano Pontello, lo scomparso direttore generale dell'AntonVeneta, altro importante socio della Bell. Pontello, che aveva sostenuto Colaninno e Gnutti fin dal 1998, era già malato, s'era rivolto ai Benetton e ad altri nel tentativo di rafforzare l'azionariato della Bell, e nel contempo era incalzato da Banca d'Italia che gli chiedeva di ridurre il rischio verso il gruppo Olivetti-Telecom. Per questo aveva coinvolto Micheli, il quale, egli stesso interessato all'affare, aveva già contattato in modo informale il presidente della Mediaset, Fedele Confalonieri, e lo stesso Tronchetti Provera. Ognuno dei tre avrebbe dovuto rilevare un terzo della quota di controllo.
Senonché Micheli si fece da parte poco tempo dopo quando seppe che Tronchetti Provera e Benetton stavano per chiudere l'acquisizione direttamente con Gnutti e JP Morgan Chase al prezzo che sappiamo.
Il numero uno della Pirelli riteneva probabilmente che l'unico canale per acquistare Telecom e coagulare il consenso di tutti i soci della Bell fosse Gnutti in quanto maggiore azionista, attraverso la Hopa, della scatola lussemburghese.
In questo senso Gnutti disponeva di una potente arma negoziale per tenere alto il prezzo di vendita, anche se resta tuttora un mistero il perché un banchiere ultra-navigato come Pontello ritenesse accettabile un valore di vendita intorno ai 2 euro, ossia all'incirca pari a quello di Borsa, mentre poi l'operazione si concluse a una cifra pari al doppio.
La cascata di holding tramite cui la Bell controllava la maggioranza della Olivetti, e questa la maggioranza della Telecom, era stata congegnata in modo tale che nella società lussemburghese, che non era quotata, fosse racchiusa una quota di capitale Olivetti sufficiente a controllare il colosso telefonico, ma inferiore al 30%, il limite dell'Opa obbligatoria.
Chi avesse acquistato la partecipazione della Bell in Olivetti avrebbe così ottenuto il controllo di fatto della Telecom evitando un'Opa di dimensioni colossali e la Bell avrebbe potuto tenere tutto per sé il premio di maggioranza che altrimenti avrebbe dovuto condividere con gli altri azionisti della catena societaria. Questo potrebbe spiegare il perché di un prezzo così alto, anche se da 2 a 4,17 euro il passo resta comunque eccezionalmente grande.
C'è poi un'ultima questione che può aver indotto Tronchetti Provera a pagare quella cifra. Colaninno non aveva intenzione di lasciare la tolda di comando della Telecom. Il manager, oggi presidente e azionista della Piaggio, aveva cercato di opporsi in tutti i modi alla vendita. E con l'aiuto della Lehman Brothers, che lo aveva sostenuto dalla prima ora, aveva individuato nel Sanpaolo-Imi e in Banca di Roma gli istituti disposti a investire nella Olivetti-Telecom e a rafforzare la sua posizione.
Il progetto sembra fosse visto con favore anche dal governatore di Banca d'Italia Antonio Fazio, con il quale Cesare Geronzi, presidente di Banca di Roma, aveva stabilito all'epoca un ferreo rapporto di potere. Ciò è verosimile anche perché Fazio era stato tra i sostenitori della scalata del secolo. Bankitalia, così come il Tesoro, aveva infatti disertato l'assemblea indetta da Bernabè il 10 aprile 1999 che avrebbe dovuto pronunciarsi su alcune misure volte ad ostacolare l'Opa di Colaninno. Senza contare che il 28 luglio 2001, poco prima che Tronchetti desse il grande annuncio alla stampa, s'era fatta viva anche la spagnola Telefonica, con un importo secondo alcuni addirittura leggermente superiore a quello offerto da Tronchetti.
A quasi cinque anni dalla conclusione dell'operazione, la storia del prezzo pagato per Telecom resta dunque ancora oggi un rebus irrisolto, con vari protagonisti, diverse versioni e improvvisi vuoti di memoria. E con una parcella arci-miliardaria incassata, chissà perché, da Consorte e Sacchetti. JP Morgan Chase, una delle più grandi banche del mondo, nella veste di advisor del venditore, ricavò appena un terzo della somma percepita dai due ex manager dell'Unipol.