Pochi giorni orsono, la Cassazione ha dato la stura alla sua italica fantasia, formulando una sentenza di quelle che, ogni tanto, insinuano il dubbio che questi alti magistrati si divertano un sacco nella loro torre eburnea.
Questa volta, la Corte è stata incaricata di giudicare Giuseppe V. di Castrovillari, il quale, durante un banale litigio, ha apostrofato Leonardo B. dandogli del «barbagianni» e del «babbuino».
L'uomo, è stato assolto in primo grado, ma condannato in appello.
La corte suprema lo ha giudicato colpevole con la seguente motivazione. «Gli epiteti che evocano gli animali hanno un'obiettiva valenza denigratoria in quanto, assimilando un essere umano a un animale, ne negano qualsiasi dignità in un processo di reificazione e di assimilazione a una res comunemente ritenuta disgustosa o comunque di disumanizzazione».
Io mi chiedo se questi altissimi magistrati abbiano mai visto un barbagianni, almeno in un documentario di Piero Angela.
Sicuramente si interessano di faccende culturalmente più adeguate al loro lignaggio, ma mi permetto di dire che sbagliano.
Avessero visto un barbagianni non avrebbero mai condannato quell'uomo.
Rapace notturno di nobili fattezze, con le penne screziate di un ruggine iridescente, vola silenzioso nella notte da tempo immemore, aiutando l'uomo a difendere i granai da topi e arvicole. I rapaci notturni d'altronde sono uccelli di sangue blu: l'allocco era nello stemma dei Locatelli bergamaschi, mentre la civetta era il simbolo di Atena.
Il problema è che le sentenze della Cassazione fanno legge.
Ora dunque attenti a dire che «mia suocera è una cornacchia», che «quella è un'oca giuliva», che uno «si è abbuffato come un maiale» e che la punta «ha tirato un rigore da cani».
Avessi saputo della futura sentenza avrei querelato legioni di bambini quando mi dicevano che ci vedevo «come una talpa», invece di scazzottarmi e prenderle il più delle volte perché mi dovevo togliere gli occhiali.
Penso poi con orrore a Vittorio Sgarbi, quando sentirà il rumore cigolante della porta della cella chiudersi definitivamente alle sue spalle per avere proferito quel «Capra, capra, capra…».