credo che sia giunto il momento o di andare via dall'italia oppure di andare a roma,

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Che ricordi....
La conosco ancora a memoria.
E secondo me è sempre bellissima.
Ora però me ne vado: devo tagliare i capelli al figlio che non vuole :D
Io lo lascerei anche fare... ma c'è il rischio che, preso da raptus, glieli tagli il padre, il che significherebbe una rapata totale, per rimediare ai danni paterni :D

:ciao:
con buona pace dell'autodeterminazione dei popoli e della libertà individuale :lol:
 
un 3d che dovrebbero stampare e appendere dietro la scrivania sindacalisti e loro scagnozzi politici

giusto per tenersi connessi con la realtà
 
...........Ma da carabiniere ha giurato fedeltà all’Italia.
«All’onestà. Quel giuramento s’è infranto quando ho visto scorrere in televisione le immagini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro trucidati dalla mafia a Palermo. Ritengo lo Stato responsabile della loro morte. Ho un ricordo nitido del generale Dalla Chiesa che ci parla a Udine, noi schierati in caserma alle 4 del mattino, lui che ci sprona, ci infonde fiducia, pronuncia un discorso terso come una giornata di primavera, uno di quei discorsi che ti schiudono l’orizzonte. Quella sera, vedendo il telegiornale, il mio orizzonte s’è chiuso per sempre».
Che Italia vorrebbe?
«Federalista. Da veneto voglio decidere il futuro mio e dei miei figli senza dover chiedere a Roma».
Che cos’aveva in mente, quando nel 1994 fondò la Life? «Proprio questo. Avevo creato il kit del missionario, andavo in giro a catechizzare i miei colleghi, 2.000 iscritti in breve tempo, una sede perfino a Conversano, provincia di Bari. In caso d’ispezione da parte di un qualsiasi organo dello Stato, ci avvisavamo l’un l’altro e 15 di noi accorrevamo in veste di assistenti fiscali del certificato».
Che significa?
«Testimoni muti.Non c’è niente che inquieti i burocrati più dell’essere sotto osservazione. Qualche errore lo commettono sempre. Così eravamo noi a fare il verbale a loro. Chiedevamo nome, cognome, grado e li denunciavamo alla stessa autorità da cui dipendevano. Siamo arrivati al punto che le Fiamme gialle si astenevano dalle verifiche per paura».
Pazzesco.
«Poi un giorno ci schierammo in difesa di un piccolo laboratorio artigianale a Torre di Mosto, nel Veneziano, un padre che produceva sapone con i figli. Arrivarono i finanzieri con i mitra e il colonnello ordinò: “Spazzatemi via questa marmaglia!”. Mi toccò denunciare il ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. Cominciò la persecuzione, 19 processi, accuse da ergastolo: associazione sovversiva con finalità di terrorismo, istigazione a disobbedire le leggi, associazione a delinquere, apologia di reato. Ma non m’interessava nulla di quello che lo Stato italiano faceva contro di me. Per me non esisteva più, era morto. Per mia madre no, poveretta, per lei esisteva ancora: perquisizioni in casa alle 6 del mattino, con i carabinieri in cerca di armi. Ed esisteva ancora anche per mio fratello Massimo, che non c’entrava nulla, ma fu tirato in ballo ingiustamente. Be’, ci crede? Sono stato interrogato dai magistrati una sola volta. E ho avuto un’unica condanna, per diffamazione a mezzo stampa. Ma allora che cosa dovrei dire io dei servizi usciti sul Gazzettino ? A commento di una mia presa di posizione, il giornalista scrisse: “Sentiamo adesso l’opinione di industriali veri”. Veri, capisce? Io ero la scimmia. I miei colleghi politicamente corretti avrebbero voluto rieducarmi».
Fu accusato di tramare contro lo Stato mediante la creazione della «Polisia nathionale veneta»
«Un’altra invenzione dei giornali. Non c’entravo niente. Semmai sono stati i poteri dello Stato a tramare contro di me. Volevano persino incolparmi del suicidio di un militante leghista di Bocca di Strada. La moglie, una bidella, fu portata in un ufficio della Guardia di finanza. Le fecero pressioni psicologiche affinché firmasse una dichiarazione in cui affermava d’aver sentito il marito accusarmi d’averlo minacciato,in quanto si sarebbe accorto che io avevo rubato i soldi dalla cassa della Lega ed ero andato in Jugoslavia a comprare le armi necessarie per la rivoluzione. S’immagina che fine avreifatto rinchiuso all’Ucciardone di Palermo? Ma quella piccola donna, sola, impaurita, resistette eroicamente e si rifiutò di mandarmi in galera».
E tutto questo lei come l’ha saputo?
«Anche nella burocrazia italica vi sono persone d’integrità adamantina, intelligenti, che tengono in piedi la baracca,schifate dall’andazzo generale. Impiegati dell’Agenzia delle entrate, funzionari dell’Inps, finanzieri. Solo che non sanno a chi riversare le loro angustie. Hanno deciso di fidarsi di un tizio che prende botte da tutti. E così sono venuto in possesso dei dossier confezionati su di me dai servizi segreti. Li ho affidati a un contadino, che li ha sepolti nella cantina dove tiene appesi i salami. A futura memoria».
Suggestivo. Ma un po’ vago.
«Un giorno mi telefona un maresciallo delle Fiamme gialle: “Sono originario di Frosinone, mio padre mi ha educato all’onestà. Dovrei parlarle”. Si chiama Oscar D’Agostino. Ha avuto il coraggio di ribellarsi. Abbiamo dovuto nominarlo presidente onorario della Life ed eleggerlo consigliere comunale a Santa Lucia di Piave per non farlo trasferire da Treviso a Massa Carrara, per sottrarlo alle grinfie dei suoi superiori, fra cui quel colonnello Mauro Petrassi, comandante del nucleo di polizia tributaria del Veneto, arrestato, condannato e degradato per corruzione, che a Lugano aveva un conto bancario da 4 milioni di euro. In un rapporto dei servizi segreti si legge che fra me e D’Agostino erano “sorti addirittura legami di amicizia personale”. Pensi, hanno inventato anche il reato di amicizia! E infatti oggi il maresciallo D’Agostino mi chiama fratello. Perché in guerra si diventa fratelli, sa?».
Il padre di un vostro iscritto, Lino Bedendo, 68 anni, commerciante di Rovigo, morì dopo un’atroce agonia:aveva bevuto acido solforico mentre le Fiamme gialle gli stavano sequestrando la contabilità degli ultimi tre anni. Ha senso suicidarsi per le tasse?
«Un umile riparatore di biciclette, un uomo libero. Andarono con i mitra a ribaltargli i cassetti della camera, cercavano i registri fra le mutande e le canottiere. Ho sempre detto e scritto che quando le leggi sono incomprensibili, inapplicabili e irrispettabili, sei costretto a difenderti, perché nel marasma fioriscono la concussione e la corruzione. Bedendo disse al figlio: “Paga l’Ici e manda via i briganti”. Il tenente della Finanza lo schernì: “Lei mi sembra agitato”, e ordinò ai suoi uomini: “Accompagnatelo a prendere un po’ d’aria”.L’artigiano replicò: “Mi portate fuori da casa mia? Guardi che se lei gratta la calcina di questi muri, vedrà sgorgare il mio sangue”. Poi scrisse su un foglio: “Sono libero”. Consegnò il biglietto all’ufficiale e, sotto i suoi occhi, bevve il bicchiere di veleno. I parenti mi telefonarono disperati, partii subito per Rovigo. Dall’auto telefonai a Renato Farina, che lavorava al Giornale . Un uomo sta morendo di fisco, gli dissi. E ci trovammo a recitargli insieme un’Ave Maria».
Terribile.
«Ho assorbito il dolore del mondo. Le ho sempre prese. Date, mai. Sa quanti samurai veneti ho visto morire? Una ventina nel solo 2010. Famiglie pulite, persone buone, perbene, che tiravano la vita con i denti, che non avevano lo yacht ormeggiato a Portofino. Chiedevano solo di poter lavorare in un Paese dove ci siano regole certe da rispettare. Era gente che voleva vivere al riparo della legge e non arrivare a sera col terrore d’averla violata senza nemmeno saperlo».
E invece?
«Appena apri una partita Iva sei già fuorilegge. Io vorrei che mi fosse concesso per un giorno di controllare se all’Agenzia delle Entrate tengono i registri in ordine, se rispettano tutte le virgole come prescritto dalle loro regole. E poi uno Stato non può sottrarre il 70% del reddito d’impresa. Ma lei lo sa che hanno inventato persino le tasse sulle perdite? Con l’Irap, introdotta da Visco, paghi il 200%, anche il 300%, perché sei tassato sul monte salari e sugli interessi passivi. Quindi se assumi personale o se fai investimenti ricorrendo a prestiti in banca, sei penalizzato. La Otlav versa 4-5 milioni l’anno di tasse. Nel 2009, a causa della crisi economica, per la prima volta ha avuto una perdita di 45.000 euro, sulla quale ho dovuto pagare al fisco 250.000 euro».
Giorgio Panto, prima di morire precipitando nella laguna di Venezia col suo elicottero, lasciò polemicamente la presidenza della Life sostenendo che molti di voi non volevano semplicemente pagarle, le tasse.
«Abbiamo sempre fatto obiezione fiscale, ma alla luce del sole. Dicevo agli iscritti: è inutile che lavoriate in nero, perché così avallate il sistema, fate esattamente quello che lo Stato si aspetta che facciate. Noi invece dobbiamo batterci affinché la tassazione sia portata a un livello accettabile. E poi chi evade sia sbattuto in galera».
E quale sarebbe un livello accettabile?
«Il 35%. È una media europea, e fra le più alte».
Gian Antonio Stella ha scritto sul Corriere della Sera : «Fabio Padovan, il fondatore della Life, ammette: “Certo che il Nor¬dest va forte anche perché evade. E allora?”».
«Ma evadere rispetto a quale legge? Europea? Francese? Tedesca? Austriaca? Se io pagassi il 50% di tasse, anziché il 70%, in Austria sarei considerato un benefattore. Apra una partita Iva e cominci a confrontarsi con costi e ricavi, poi ne riparliamo. Lo saprà Stella che Romano Prodi riuscì nell’impresa d’inventarsi una legge con effetto retroattivo che rende indetraibili i costi per l’acquisto dei terreni su cui ti costruisci la fabbrica? Per cui io mi sono trovato a pagare una montagna di tasse per questo nuovo stabilimento che avrei potuto benissimo aprire in Romania. Comunque l’anno scorso ho avuto una verifica fiscale e alla fine i funzionari delle imposte ci hanno definito un’azienda modello. Si sono complimentati per come teniamo la contabilità e mi hanno persino lasciato una dedica sul registro degli ospiti».
Nei due anni in cui è stato deputato della Lega non poteva metterci una pezza?
«Appena arrivato a Roma, stavo negli uffici della Lega fino alle 2 di notte a preparare emendamenti. Ci credevo. Pensavo di poter cambiare qualcosa. Finché un giorno non è andata in discussione a Montecitorio la legge per il finanziamento della Regione Siciliana. Eravamo 90 in aula. Passò con 150 voti a favore e 30 contrari. Il doppio dei presenti. I deputati degli altri partiti s’erano messi d’accordo: venivano in aula una settimana ciascuno, a rotazione, e votavano chi per due, chi per tre, chi per quattro. Io, fesso, scattai le foto dell’emiciclo semivuoto. Il presidente della Camera, che allora era un certo Giorgio Napolitano, mi richiamò all’ordine strepitando: “Onorevole collega! Onorevole collega lassù con la macchina fotografica!”. Feci scivolare la fotocamera nella borsetta della mia vicina di banco, Irene Pivetti, mentre i commessi si fiondavano come falchi verso il seggio per sequestrarmela. Ecco, lì ho capito che non è una democrazia. È solo la recita della democrazia. Dissi a Roberto Maroni: “Mi dimetto”. All’ultima riunione di partito, Umberto Bossi mi prese le mani fra le sue: “Sparerai contro di me. Tu non puoi fare politica, perché sei un idealista”. Però anni dopo, quando ho avviato con 300 volontari della Life l’autoriduzione fiscale e ci siamo messi per qualche tempo a versare le imposte secondo la media europea, pur consapevoli che poi lo Stato ci avrebbe tartassati applicando il 5% di interessi e le sanzioni, il Senatùr venne qui in Otlav a chiedermi: “Facciamo queste cose insieme”».
Oggi per chi vota?
«Ho votato un paio di volte per Silvio Berlusconi quando era sotto attacco dei magistrati».
Allora mi sa che le toccherà votarlo per tutta la vita.
«Quando c’era, votavo per il Psdi. Una volta ho votato per l’Ulivo, ma solo perché volevo che gli italiani provassero i comunisti, e infatti li hanno provati e si sono pentiti subito. L’ultima volta sono tornato alla Lega Nord».
Lei vagheggia un referendum per decidere se il Veneto debba diventare uno Stato sovrano federato all’Italia. Un’utopia, non crede?
«Nel 2000, candidato alle regionali, persi la mia sfida proprio su questo punto, perché il mio avversario Giancarlo Galan proclamava nei comizi: “Abbiamo già stanziato 4 miliardi di lire per indire il referendum sull’autonomia”. L’ha mai visto lei? Luca Zaia, il nuovo governatore, non poteva metterlo al primo punto nel suo programma elettorale? La volontà popolare no’ conta un casso,questa xe la verità».
Ma, scusi, ammettiamo che fosse stato indetto il referendum e che gli indipendentisti avessero vinto. Un minuto dopo lei che faceva?
«Facevo scorta di panini e soppressa, andavo in Consiglio regionale, sprangavo le porte, mettevo i materassi per terra e annunciavo: popolo veneto, da questo momento il numero di conto corrente su cui versare le tasse è questo. Dopodiché negoziavo con Roma su quanto darle. Ma lo decidevo io se doveva essere l’1% o il 5%. Non è Roma che mi fa i trasferimenti dei soldi miei. A quel punto venivano i carabinieri, buttavano giù le porte e ci portavano in carcere. Ma intanto c’era un popolo che aveva votato. Non esiste altra strada per uscire da questo pantano. Bisogna che chi è eletto rischi la prigione, anzi vada in prigione».
S’è dimenticato che Roma garantisce sicurezza, sanità, istru¬zione, trasporti, previdenza sociale?
«Bene, d’ora in poi non garantisce più nulla. Paghiamo tutto noi. Possiamo provare ad amministrarci da soli? Se già mando avanti una famiglia e un’azienda, magari riesco a farcela. Nel frattempo non è ammissibile che in ospedale mi fissino una visita specialistica dopo otto mesi e che i miei figli a scuola debbano portarsi la carta igienica da casa, come succede adesso».
Mi par di capire che il federalismo ormai alle viste non la entusiasmi.
«Per me non è niente. Magari mi sbagliassi! Non credo al federalismo calato dall’alto. Roma non ci darà mai niente. Dobbiamo prendercelo. Col prodotto interno lordo raggiunto dal Veneto, il giorno dopo l’indipendenza le buste paga aumenterebbero del 30% e le pensioni anche di più. Qui non abbiamo il petrolio: solo le braccia e le teste. Ognuno dei miei operai sul posto di lavoro è un piccolo imprenditore, fa innovazione continuamente, risolve, migliora, decide di saldare un ferro a T anziché a L, modificando il processo produttivo. Questo è l’unico federalismo in cui credo».

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Ultima modifica:
Un discorso che ancora oggi mi fa venire la pelle d'oca per come è bello e intenso e coinvolgente.

Mi è venuto in mente, prima, che mia mamma, quando metteva a letto me e le mie sorelle, come canzone della buonanotte, ci cantava proprio "We shall overcome".
:eek:


ecco come vengon fuori i disastri
 

Allegati

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sotto il profilo sindacale, quello che ne venne fuori

fu un periodo molto piu' equo, per i lavoratori


del coevo americano
 
anche sacco e vanzetti


si sganasciarono dal ridere


da quanto eran belli gli usa per gli operai
 

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