LA FOLLIA DELL’EURO: I TEDESCHI SONO I PIU’ POVERI, MA A MORIRE SONO I GRECI
[FONT="]Due notizie mi hanno molto colpito nei giorni scorsi: i
tedeschi sono tra i cittadini più poveri d’Europa, e le
situazione sanitaria della Grecia ormai è prossima a quella di una nazione in guerra. Eppure, come ampiamente risaputo, i poveri tedeschi sono costretti da alcuni anni, attraverso i contorti meccanismi del
MES e dei precedenti fondi di salvataggio europei, ad essere i maggiori finanziatori dei piani di salvataggio di Portogallo, Grecia, Cipro, Spagna,
paesi economicamente disastrati dove gli abitanti sono però mediamente più ricchi di quelli “virtuosi”. Capite bene che quando in un sistema qualsiasi, economico, sociale, naturale che sia,
si vengono a creare simili disfunzioni e anomalie si vede che c’è qualcosa di folle e sbagliato alla base. Oppure i dati non raccontano esattamente la realtà dei fatti. O meglio ancora,
esiste oggi in Europa una miscela esplosiva chiamata moneta unica che partendo da un errore iniziale di costruzione sta facendo impazzire tutti i dati attualmente rilevati. La verità insomma è molto più complessa di come appare e il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. [/FONT]
[FONT="]Secondo uno
studio della BCE, la
ricchezza netta media (finanziaria e reale) delle famiglie (o meglio dei nuclei abitativi, di coloro che in altre parole vivono sotto lo stesso tetto) è così distribuita in ordine decrescente nell’eurozona:
Lussemburgo €710.100,
Cipro €670.900,
Spagna €291.400,
Italia €275.200,
Germania €195.200,
Olanda €170.200,
Finlandia €161.500,
Portogallo €152.900,
Grecia €147.800.
Tuttavia se prendiamo la mediana, ovvero il valore che divide esattamente a metà la distribuzione dei dati, vedremo che la differenza di ricchezza fra i tedeschi e il resto degli europei del sud si fa stranamente ancora più marcata: Cipro €266.900, Spagna €182.700, Italia €173.200, Grecia €101.900, Portogallo €75.200, Germania €51.400.
Ciò significa innanzitutto che in Germania (ma anche a Cipro, nazione di banchieri falliti)
c’è una piccola frazione di famiglie ricchissime che alza di parecchio la media,
mentre la maggioranza della popolazione non possiede nemmeno una casa di proprietà. E questa circostanza conferma in pratica ciò che abbiamo spesso ripetuto sull’
assurda e iniqua dinamica di funzionamento dell’eurozona: gli
straordinari surplus commerciali della Germania sono stati fatti soprattutto a spese dei lavoratori tedeschi a cui sono stati chiesti i maggiori sacrifici in termini salariali, mentre ad arricchirsi è stata sempre e soltanto una ristretta casta di banchieri e imprenditori tedeschi. [/FONT]
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Un fenomeno così evidente di disparità redistributiva è molto diffuso nelle nazioni che fondano la loro ricchezza interna principalmente sulle esportazioni (vedi la Cina) e su un atteggiamento aggressivamente “mercantilista”.
E dovrebbe fare riflettere quella parte di opinione pubblica di pseudo-sinistra (e anche del Movimento 5 Stelle) ancora così convinta sulla bontà del progetto eurista e delle magnifiche “virtù” del sistema tedesco.
In Germania, a differenza di ciò che avviene in Italia o in Spagna, oltre la metà delle famiglie non ha una casa di proprietà e vive magari con una serie di minijob da 400 euro al mese. Tuttavia è anche vero che lo stato tedesco può utilizzare parte della sua spesa pubblica per sostenere il reddito e pagare l’affitto alle famiglie più disagiate, perché non deve dilapidare una cospicua frazione delle sue uscite di bilancio per pagare gli interessi sul debito pubblico, come purtroppo accade in Spagna e Italia. Unendo questi due fattori, bassi salari e stato sociale forte, con la compressione dei prezzi interni, la Germania ha costruito negli anni buona parte del suo vantaggio competitivo nei confronti degli altri paesi europei (non solo della periferia, visto che anche il Belgio e l’Olanda hanno a più riprese denunciato la concorrenza scorretta operata dai “cugini” tedeschi), contraddicendo sfacciatamente il presunto “spirito di cooperazione” evocato solo a parole nei trattati europei.
[FONT="]Ma come fa giustamente notare l’analista tedesco
Wolfgang Munchau sul
Financial Times, lo studio della BCE conferma anche un’altra verità (che in Italia peraltro è già nota grazie all'eccellente lavoro di divulgazione dell’economista
Alberto Bagnai): fin dalla sua introduzione nel 1999
non è mai esistita una moneta unica nell’eurozona, perché l’euro tedesco è molto diverso da quello spagnolo o greco o italiano, a causa del diverso regime dei prezzi registrato nei rispettivi paesi. Malgrado la moneta unica abbia cancellato il tasso di cambio nominale, è rimasto sempre operativo nell’eurozona un
tasso di cambio reale, che ha avvantaggiato i paesi a
bassa inflazione come la Germania, a discapito di paesi a maggiore inflazione come Grecia, Spagna, Italia. Di conseguenza la ricchezza finanziaria in Germania non è paragonabile a quella spagnola o greca, perché con la stessa quantità di euro si possono comprare maggiori beni reali (soprattutto quelli prodotti internamente e non importati) in Germania rispetto a ciò che invece possono comprare spagnoli e greci. L’esempio della casa è molto significativo in questo senso: prima dello scoppio della bolla immobiliare i prezzi delle case in Germania sono stati sempre più bassi rispetto a quelli di analoghi cespiti in vendita in altri paesi. Ancora oggi, una casa a Monaco (la città più ricca della Germania) costa molto meno di una casa a Milano. [/FONT]
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[FONT="]Fin dall'inizio della sciagurata avventura dell’eurozona,
i salari e i prezzi al consumo sono rimasti sostanzialmente costanti in Germania, mentre crescevano altrove, soprattutto nell’Europa meridionale. Durante l’ultimo decennio, questo
differenziale persistente di inflazione ha portato ad un grande divario nei prezzi delle attività. Ecco perché un appartamento a Milano costa molto di più di uno a Monaco di Baviera, la città con i prezzi delle case più alti di tutta la Germania. L'indagine quindi mostra non i differenziali di ricchezza, ma i tassi di cambio reale tra le economie dell'eurozona, perché queste misurazioni non rappresentano tanto un indicatore affidabile del patrimonio netto, ma testimoniano invece la presenza di squilibri interni all’eurozona, che sono enormi e in continua crescita. Tuttavia siccome è difficile spiegare ad un tedesco (e anche ad un italiano medio imbevuto della solfa sinistrorsa delle “
virtù teutoniche” e dei “
vizi italici”, per la verità) cosa sia e come funziona il tasso di cambio reale, è molto probabile che questi numeri renderanno ancora più aspro e ostile il dibattito in Germania nei confronti dei piani di salvataggio europei. Rendendo sempre più verosimile quella profezia (speriamo auto-avverante) che dice che sarà proprio
la Germania ad uscire per prima dalla zona euro, grazie al duplice effetto della protesta popolare dal basso e dell’impossibilità per imprenditori e banchieri tedeschi di continuare a fare redditizi affari nella periferia sempre più allo sbando.[/FONT]
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[FONT="]La
propaganda che opera in modo opposto in paesi come Germania e Italia, facendo apparire i tedeschi più poveri degli spendaccioni meridionali e il sistema tedesco un modello virtuoso da imitare, è falsa in entrambi i casi, perché in termini reali la ricchezza patrimoniale della Germania è molto più elevata e il sistema tedesco fondato sulle esportazioni non può essere replicato contemporaneamente in tutti i paesi dell’eurozona, soprattutto in un periodo di recessione quando la domanda aggregata cala ovunque. Ma mentre la propaganda tedesca, animata anche dal nuovo e combattivo partito euroscettico “
Allianz fur Deutschland”, sta amplificando la distanza della Germania dai piani di autoconservazione della Commissione e dei burocrati di Bruxelles, il regime mediatico più che mai attivo oggi in Italia, fondato sull’asse inossidabile
PD-PDL-Monti-Rai-Mediaset-stampa, spinge per un
rafforzamento dei programmi deflazionistici e recessivi della tecnocrazia europea. Incentivando quella
corsa folle al ribasso messa in moto dall’euro che ha ormai creato uno
stato di emergenza permanente e innescato una
guerra fratricida interna fra i paesi dell’eurozona. E alla fine della fiera, sia il paese che vince la gara, tagliando prima e meglio degli altri, come la Germania, sia chi rimane indietro, dovrà per forza di cose fronteggiare una
situazione di insofferenza e malessere sociale che decreterà prima o dopo la fine di questo
scellerato esperimento sociologico-finanziario di asimmetria redistributiva della ricchezza sia interna che esterna ad ogni stato. [/FONT]
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[FONT="]In un'unione monetaria il
contenimento degli squilibri può infatti avvenire solo attraverso i movimenti reali dei prezzi e dei salari (verso l’alto nei paesi in surplus e verso il basso nei paesi in deficit), e siccome la
Germania non è intenzionata a modificare il suo
regime di bassa inflazione, non c’è alcuna possibilità nel lungo periodo di avere un’attenuazione o addirittura una soluzione definitiva della crisi attuale. Quindi è chiaro che la
conclusione più prevedibile del progetto eurista sarà il ritorno alle monete nazionali o qualche altra
strana alchimia di adozione di una doppia valuta. Di fronte allo
scempio umanitario che si sta consumando in Grecia, ormai da tempo si vocifera che nelle segrete stanze la banca centrale greca stia già operando in accordo con la BCE per introdurre la
nuova dracma che agirà come valuta parallela all’euro per consentire al governo di attuare
politiche fiscali finalmente espansive e alle aziende greche di ricevere un minimo di slancio con una
svalutazione della moneta nazionale rispetto all’euro. Il successo di una tale operazione dipende però da un
rigido controllo dei movimenti dei capitali per evitare una fuga caotica verso l’estero prima e dopo il passaggio alla nuova valuta e dalla
fiducia che gli operatori di mercato avranno sulla possibilità che lo stato e la banca centrale greca riusciranno a mantenere un tasso di cambio stabile nel tempo. Si tratta ovviamente di una soluzione temporanea di compromesso che riesce a mettere insieme le
istanze dei creditori, che vogliono avere il rimborso dei loro prestiti in euro, e quelle dei
debitori, che non possono più fare nuovi debiti con la vecchia valuta perché sono ormai tagliati fuori dai mercati internazionali dei capitali e sopravvivono solo grazie al supporto finanziario della trojka FMI, BCE, UE.[/FONT]
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[FONT="]E’ notizia di questi giorni che lo stato greco ha chiesto un aggiustamento dell’ultimo piano di salvataggio, con un
nuovo pacchetto di aiuti da €10 miliardi: €2,8 miliardi finiranno per coprire i deficit di parte corrente dello stato, mentre €7,2 miliardi serviranno per finanziare la ricapitalizzazione delle banche greche sempre più in crisi. In cambio di questi aiuti della trojka, il governo di Atene si impegna a licenziare altri
4.000 impiegati del settore pubblico entro il 2013 e
11.000 nel 2014. In totale i
licenziamenti complessivi saranno 180.000 entro il 2015, cosa che porterà il
tasso di disoccupazione ben oltre l’attuale livello record del
27,2%, con le ovvie ricadute sociali ed economiche che ciò comporta. Se facciamo un parallelo storico, vedremo che nel periodo che va dal 1999-2002
l’Argentina ha registrato una contrazione economica del 18% e un tasso di disoccupazione del 25%, mentre dal 2008 ad oggi in Grecia abbiamo assistito ad un calo cumulativo del reddito nazionale del 20% e ad una disoccupazione appunto del 27,2%, superando quindi in termini negativi la
peggiore crisi economica-finanziaria del dopoguerra. Considerando che il collasso a cui abbiamo assistito in Argentina ha provocato il disastro socio-umanitario più esteso mai avvenuto nella storia in assenza di guerra o di catastrofe naturale, non stupisce che anche oggi in Grecia continuino inesorabilmente ad aumentare i
tassi di mortalità e i
ricoveri in ospedale.[/FONT]
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[FONT="]Nonostante ci troviamo ormai al
sesto anno consecutivo di recessione, il governo di Atene abbia ricevuto complessivamente
€240 miliardi di aiuti, e sia stato effettuato un
taglio del 75% del debito pubblico in mano ai creditori privati, la Grecia non sembra neanche lontanamente vicina a ciò che possa assomigliare ad un’avvisaglia di uscita dalla crisi economica. Essendo ormai priva da anni della fiducia dai mercati dei capitali internazionali, la
dipendenza del governo di Atene dagli aiuti della trojka è ormai completa ed irreversibile, perché è rimasta l’unica fonte di finanziamento disponibile per lo stato greco, che a dispetto dei tagli massici alla spesa pubblica continua a patire un
incremento del debito a causa del calo dei consumi, delle scarse entrate fiscali e di una riduzione ancora più profonda del PIL nazionale. La
teoria economica irrazionale e sconclusionata secondo cui la deflazione salariale, favorita da un alto tasso di disoccupazione, porterà prima o dopo ad una ripresa dell’economia e degli investimenti, si scontra brutalmente con i dati reali che ci dicono invece che senza un
adeguato livello di domanda aggregata nessuna ripresa economica sarà mai possibile. Secondo le ultime rilevazioni di
Eurostat, la Grecia è in assoluto il paese europeo che dal 2008 al 2012 ha applicato il più drastico processo di
deflazione interna con un taglio dei salari nominali del -11,2%, contro il -1,4 della Lituania, il +0,8 dell’Irlanda, il +1,3% della Lettonia, il +7 dell’Estonia, il +8,3% della Spagna.[/FONT]
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[FONT="]Eppure, malgrado tutti questi
sacrifici ingiusti e ingiustificati richiesti ai lavoratori, nessun beneficio concreto è arrivato per l’economia greca in termini di competitività, anche perché come dimostra l’esperienza, si regista spesso una maggiore rigidità dei prezzi rispetto ai salari, con il conseguente aumento della quota profitti delle imprese focalizzate sulle esportazioni, il collasso della domanda interna e un turbolento inasprimento delle iniquità redistributive e delle tensioni sociali. Aggiungendo a questo quadro generale scoraggiante, la situazione di
doppia crisi di liquidità e di insolvenza del sistema bancario greco, si comprende perfettamente per quale motivo la Grecia non possa venir fuori presto dal pantano, rimanendo di fatto inchiodata alla speranza vana che si realizzi la profezia dei folli e demenziali sostenitori dell’"
austerità espansiva". Come si può vedere nel grafico sotto, la continua fuga di capitali, la mancanza di nuovi depositi, i fallimenti a catena dei debitori e la caduta del reddito nazionale, hanno portato ad un innalzamento della quota di
prestiti in sofferenza fra gli attivi delle banche greche dal 5% del 2007 al 15% attuale. Cosa che renderà in pratica ancora più indispensabili e decisivi i continui
piani di ricapitalizzazione con fondi pubblici e quindi indirettamente gli
interventi esterni della trojka.[/FONT]
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[FONT="]In un tale drammatico contesto,
l’introduzione di una moneta nazionale parallela in Grecia può essere sicuramente una buona soluzione tampone per arginare l’emorragia, ma lascia intatto il problema del
debito estero (pubblico e privato) accumulato fino ad oggi dal sistema paese, che rimarrebbe ancora denominato in euro. E siccome l’euro tedesco continuerà ad avere un potere di acquisto costantemente superiore all’euro greco, è molto probabile che la fuga dei capitali dalla Grecia continuerà imperterrita anche in presenza di garanzie e di rassicurazioni della banca centrale greca di mantenere un tasso di cambio e di inflazione stabile nel tempo. E si verrà a creare una necessità, come già accaduto a Cipro, di isolare il paese e controllare i movimenti dei capitali, avvalorando la tesi che in modo più o meno palese
ogni nazione stia lentamente ritornando per altra via ad una propria valuta nazionale: l’euro greco, spagnolo, italiano, portoghese e cipriota che sarà ancora troppo sovrastimato, e l’euro tedesco, olandese, finlandese che è invece abbondantemente sottostimato. [/FONT]
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[FONT="]Questo è ciò che accade quando si cerca di
unificare in modo innaturale e artefatto economie tradizionalmente diverse da ogni punto di vista: inflazione, produttività, incidenza delle esportazioni, dipendenza dalla domanda interna, regimi fiscali e assistenziali, mercato del lavoro. La natura prima o dopo si ribella e rimette a posto tutti gli squilibri creati artificialmente dagli uomini. E anche se per qualcuno, soprattutto per quegli strani individui che vivono immersi nell’idolatria e nel misticismo montati ad arte dell’euro, sarà difficile capire fino in fondo questi dettagli, chiediamo solo di avere ancora un po’ di pazienza in attesa che
la natura faccia per intero il suo corso. [/FONT]
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[FONT="]http://tempesta-perfetta.blogspot.it/2013/04/la-follia-delleuro-i-tedeschi-sono-i.html
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