xinian70
CROC Analista
Al via il summit Opec numero 164
Sauditi, iraniani e iracheni si confronteranno sui livelli produttivi, minacciati dall’espansione delle fonti alternative di petrolio, e sulla nomina del nuovo segretario generale del cartello.
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petrolio
Il meeting che sta per iniziare a Vienna tra i rappresentanti dei dodici membri dell’Opec, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, difficilmente sancirà una modifica dei livelli globali di produzione. Non che in questo 164esimo summit del cartello manchino i motivi per stringere un poco i rubinetti: l’espansione registrata nelle nazioni esterne all’Opec, unita al rallentamento dei consumi nei paesi occidentali, lascia infatti temere che la pressione dell’offerta finirà prima o poi per erodere le quotazioni.
Tuttavia un’eventuale riduzione del limite produttivo che l’Organizzazione si è autoimposta due anni fa, a 30 milioni di barili al giorno, dovrebbe essere sopportata soltanto da Arabia saudita, Emirati arabi e Kuwait, perché gli altri componenti dell’Organizzazione possono avere, al più, intenzioni opposte, per intuibili motivi. Gli incontri di oggi avranno però altri motivi d’interesse.
Ci sono quanto meno due forti punti di tensione, che vedono l’Iran in prima fila. Da un lato infatti Teheran, forte del graduale riavvicinamento all’Occidente, vuol recuperare il tempo e i clienti perduti e intende farlo a spese dell’Iraq, il vecchio nemico, accusato di aver occupato negli ultimi mesi una parte non trascurabile del tradizionale mercato iraniano. Dall’altro lato c’è lo scontro politico con l’Arabia saudita, che mal sopporta chi fa ombra alla sua leadership nel Medio Oriente.
Gli attori principali a Vienna saranno quindi il ministro iraniano Bijan Zanganeh, quello iracheno Abdul Kareem Luaibi e l’inossidabile saudita Ali al-Naimi. Almeno due elementi offriranno oggi il terreno giusto per i loro contrasti: i livelli di produzione, come è ovvio, e la nomina del nuovo segretario generale, carica ancora occupata dal libico Abdallah Salem el-Badri, ma in attesa di rinnovo. In effetti el-Badri ha già concluso nel dicembre scorso ben due mandati triennali da segretario, e sta ora terminando anche l’estensione di un altro anno, decisa nel 162esimo summit.
Se due sono i punti di attrito, due sono anche le sensazioni, divergenti, che emergono dal mercato. La prima, forse in procinto di divenire effimera, è la cauta soddisfazione per i prezzi. Il greggio infatti è sempre a livelli remunerativi, con il Brent che a Londra non scende sotto i 100 dollari al barile da almeno sette mesi. La seconda è invece la preoccupazione che il boom delle fonti alternative, dalle sabbie bituminose agli scisti rocciosi, sottragga sempre maggiori spazi e potere contrattuale al greggio dell’Opec.
Proprio questa considerazione dovrebbe alla fine spingere alla virtuale immobilità i delegati riuniti a Vienna. Una limitazione del tetto produttivo infatti finirebbe per anticipare il ridimensionamento del ruolo del cartello. Resta però un interrogativo: chi farà spazio alle intenzioni di Iran e Iraq, paesi assolutamente determinati a espandere in fretta sia la loro capacità produttiva, sia le esportazioni?
Sauditi, iraniani e iracheni si confronteranno sui livelli produttivi, minacciati dall’espansione delle fonti alternative di petrolio, e sulla nomina del nuovo segretario generale del cartello.
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Il meeting che sta per iniziare a Vienna tra i rappresentanti dei dodici membri dell’Opec, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, difficilmente sancirà una modifica dei livelli globali di produzione. Non che in questo 164esimo summit del cartello manchino i motivi per stringere un poco i rubinetti: l’espansione registrata nelle nazioni esterne all’Opec, unita al rallentamento dei consumi nei paesi occidentali, lascia infatti temere che la pressione dell’offerta finirà prima o poi per erodere le quotazioni.
Tuttavia un’eventuale riduzione del limite produttivo che l’Organizzazione si è autoimposta due anni fa, a 30 milioni di barili al giorno, dovrebbe essere sopportata soltanto da Arabia saudita, Emirati arabi e Kuwait, perché gli altri componenti dell’Organizzazione possono avere, al più, intenzioni opposte, per intuibili motivi. Gli incontri di oggi avranno però altri motivi d’interesse.
Ci sono quanto meno due forti punti di tensione, che vedono l’Iran in prima fila. Da un lato infatti Teheran, forte del graduale riavvicinamento all’Occidente, vuol recuperare il tempo e i clienti perduti e intende farlo a spese dell’Iraq, il vecchio nemico, accusato di aver occupato negli ultimi mesi una parte non trascurabile del tradizionale mercato iraniano. Dall’altro lato c’è lo scontro politico con l’Arabia saudita, che mal sopporta chi fa ombra alla sua leadership nel Medio Oriente.
Gli attori principali a Vienna saranno quindi il ministro iraniano Bijan Zanganeh, quello iracheno Abdul Kareem Luaibi e l’inossidabile saudita Ali al-Naimi. Almeno due elementi offriranno oggi il terreno giusto per i loro contrasti: i livelli di produzione, come è ovvio, e la nomina del nuovo segretario generale, carica ancora occupata dal libico Abdallah Salem el-Badri, ma in attesa di rinnovo. In effetti el-Badri ha già concluso nel dicembre scorso ben due mandati triennali da segretario, e sta ora terminando anche l’estensione di un altro anno, decisa nel 162esimo summit.
Se due sono i punti di attrito, due sono anche le sensazioni, divergenti, che emergono dal mercato. La prima, forse in procinto di divenire effimera, è la cauta soddisfazione per i prezzi. Il greggio infatti è sempre a livelli remunerativi, con il Brent che a Londra non scende sotto i 100 dollari al barile da almeno sette mesi. La seconda è invece la preoccupazione che il boom delle fonti alternative, dalle sabbie bituminose agli scisti rocciosi, sottragga sempre maggiori spazi e potere contrattuale al greggio dell’Opec.
Proprio questa considerazione dovrebbe alla fine spingere alla virtuale immobilità i delegati riuniti a Vienna. Una limitazione del tetto produttivo infatti finirebbe per anticipare il ridimensionamento del ruolo del cartello. Resta però un interrogativo: chi farà spazio alle intenzioni di Iran e Iraq, paesi assolutamente determinati a espandere in fretta sia la loro capacità produttiva, sia le esportazioni?