Dai cretini ci guardi qualcuno

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Iddio, allah, é lo stesso

ma che qualcuno faccia qualcosa

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IL COMMENTO ■ SERGIO ROMANO su corriere del ticino, oggi
Il pastore-impresario e i regali a Bin Laden

In altri tempi e in altre circo­stanze avremmo liquidato la vicenda di Terry Jones, pastore evangelico in una cittadina della Florida, come uno dei tanti casi di anomalo funzio­namento del sistema religioso americano.

Insieme alle grandi confessioni sto­riche, gli Stati Uniti ospitano una straordinaria varietà di piccole Chiese rette da personaggi cari­smatici o intraprendenti che ven­dono la fede con le tecniche e gli in­gredienti del marketing moderno.

Può accadere, se il prodotto invec­chia e i clienti diminuiscono, che il pastore-impresario lanci un nuo­vo prodotto o un nuovo evento. Per Terry Jones lo stratagemma che avrebbe dovuto assicurargli una più larga congregazione, era un ro­go di copie del Corano sul prato della sua chiesa in occasione del nono anniversario degli attacchi terroristici contro le torri gemelle di New York.

Se la sua intenzione era quella di fare baccano e imbarazzare il go­verno, Jones vi è riuscito. Le au­torità federali non possono impe­dire la libera espressione di una convinzione religiosa, ma sape­vano che il semplice annuncio di un affronto blasfemo al sacro te­sto dell'Islam avrebbe suscitato la collera delle masse musulmane.

Il generale Petraeus, comandan­te delle forze americane in Afgha­nistan, ha ammonito che il rogo del Corano avrebbe reso ancora più rischiosa la vita dei suoi sol­dati.

Il presidente Barack Obama ha dichiarato che il gesto del pa­store Jones avrebbe permesso ad al Qaida di fare nuove reclute nel­le masse giovanili del mondo ara­bo musulmano. Il segretario di Stato Hillary Clinton ha ribadito gli stessi concetti. E il peggio, per fortuna, sembra essere stato evi­tato.


Terry Jones non avrebbe fatto tan­to baccano, tuttavia, se la sua sor­tita non fosse stata preceduta da un acceso dibattito sulla costruzio­ne a New York di un centro isla­mico nei pressi della zona in cui sorgevano le torri gemelle e da al­cune inchieste giornalistiche sullo stato d'animo delle comunità musulmane negli Stati Uniti nove anni dopo l'attentato. Il dibattito ha rivelato l'esistenza di una opposizione viscerale alla costruzione del centro islamico e di comunità musulmane che percepiscono intorno a sé un clima di diffidenze, sospetti, rancori.

Dopo l'11 settembre le comunità musulmane reagirono patriotticamente denunciando il terrorismo islamista e cercando di spiegare ai loro connazionali che l'Islam può essere mite e tollerante. Ma non sembrano avere avuto grande successo. Probabilmente il problema è stato ulteriormente complicato dall'uso che gli avversari di Obama stanno facendo del fattore religioso.

Vi sono sempre stati americani convinti che il presidente («colpevole» di avere frequentato una scuola musulmana a Giakarta negli anni dell'adolescenza) sia un criptomusulmano.

Negli ultimi tempi la percentuale (circa l'11%) sarebbe raddoppiata, se non addirittura triplicata.
Esiste anche un'America più aperta e tollerante. Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, non era contrario alla prospettiva di un centro islamico nel quartiere delle torri e molti altri esponenti della vita pubblica americana hanno sostenuto la proposta. Ma il vento, per il momento, soffia in altra direzione. Osama bin Laden, se è ancora vivo, assiste probabilmente compiaciuto a un fenomeno da cui la sua organizzazione può trarre grandi vantaggi soprattutto in Iraq e in Afghanistan.
 
Dai cretini ci guardi qualcuno...

Ma quello che ci dovrebbe guardare dai cretini, sarà mica lo stesso che ci ha donato Putin ?

Perché se è così, farei attenzione a non coltivare aspettative troppo elevate... ;)
 
L'INTERVISTA KHALED FOUAD ALLAM
Aiutiamo l'Islam «laico» a crescere

A nove anni dagli attentati terroristici contro le Torri Gemelle e il Pentagono



L'anniversario di un attentato non è una festa. Se poi si tratta di un 11 settembre (ricorrono 9 anni dal­l'evento) preceduto da minacce, ri­tirate ieri, di bruciare il Corano, le celebrazioni assumono contorni preoccupanti. Ne parliamo con Khaled Fouad Allam.

■ «Simbolicamente l'attentato alle Twin Towers ha segnato la grande questione dell'Islam sul piano delle relazioni inter­nazionali - spiega Allam - e dell'integra­zione del sistema mondiale. Con l'atten­tato scopriamo che l'Islam diventa un problema mondiale».
Un problema irrisolto...
«Gli anni successivi all'11 settembre 2001 sono stati segnati da una parte, sul pia­no verticale, dalle guerre, e sul piano oriz­zontale dall'integrazione dell'Islam al­l'interno delle popolazioni in Europa. Tutto questo è avvenuto secondo due op­posti movimenti. Da una parte il senti­mento che i musulmani sono malvisti e dall'altra una maggior radicalizzazione e il ripiegamento dell'Islam su sé stesso».
Mi pare che i due movimenti si ripeta­no anche oggi.
«La faccenda del pastore americano che voleva bruciare il Corano e la questione della lapidazione di Sakineh in Iran ci ri­mandano l'immagine di un Islam che non sappiamo governare e trattare».
Ma è governabile e trattabile?
«L'Islam non è nato dieci anni fa. È nato secoli fa, è stato una civiltà. Ma è vero che l'Islam contemporaneo si trova in una crisi abbastanza profonda».
Ce la descriva.
«Anche qui vedo un doppio movimen­to. Da una parte i musulmani sono divi­si tra coloro che pensano che l'Islam deb­ba avere un rapporto privilegiato con la politica e dunque ecco il radicalismo, il fondamentalismo che vuole la Sharia, e tra quanti invece pensano che l'Islam possa rendersi autonomo come hanno fatto le altre religioni e possa essere qual­cosa di privato e non di pubblico. Dall'al­tra parte, a rendere più complicata la que­stione della governabilità dell'Islam, è il problema dell'integrazione dei musul­mani. Crescono le popolazioni musul­mane che si sono installate definitiva­mente sul suolo europeo. Si tratta in par­te del frutto delle migrazioni mondiali e in parte di cittadini europei. Cittadini sui quali viene ancora gettato uno sguardo negativo. Ci vorranno molto tempo e molta capacità nel definire nuovi mec­canismi di integrazione».
Ci sono dei pensatori, come Tariq Ra­madan, che ritengono che in questa si­tuazione si configurerà una via europea all'Islam che potrebbe poi illuminare l'Islam sul piano mondiale.
«Bisognerebbe prima di tutto definire che cos'è l'Islam europeo. Toccherebbe ai mu­sulmani stessi dire, per esempio, che ci sono delle pratiche giuridiche incompa­tibili con la modernità e che anche se le togliamo l'islam non ne esce diminuito. C'è la necessità di una riforma condivi­sa da tutti. Ma questa riforma condivisa ancora non esiste. Ci sono molti pensa­tori isolati, non solo Tariq Ramadan, che già nel primo Novecento avevano pensa­to che fosse necessario un aggiornamen­to. Ma bisogna creare le condizioni per attuarlo e queste condizioni non ci sono».
Mentre parlava della crisi dell'Islam ac­cennava all'esistenza di quanti vorreb­bero una maggior separazione del­l'Islam dalla politica. Un Islam più «lai­co», diremmo con le categorie di pen­siero occidentali. Ma quanto sono rap­presentativi del mondo musulmano?
«La domanda torna sempre. Si dice che sono estremamente marginali e poco rappresentativi. Ed è vero che non è la presenza che va per la maggiore. Ma non lo è perché mancano le condizioni che permettano loro di esprimere questa presenza. In ogni caso non credo che si possa dire che l'Islam sia condannato ad essere intrinsecamente legato alla politica e alla Sharia. Noi non lo sappia­mo. È difficile dirlo. Spesso i movimen­ti sono marginali ma poi crescono per­ché c'è una società che li sa accogliere più avanti».
Di quali condizioni parla?
«Se i musulmani riescono a liberarsi dei meccanismi della paranoia e della pau­ra, probabilmente questo Islam «laico» crescerà di più. Ma bisogna aiutarlo at­traverso condizioni politiche che oggi non vedo assolutamente in Europa. Il ri­sultato è o il radicalismo, o il ripiegamen­to su sé stesso, o il silenzio. Attualmente vedo più silenzio che altro».
Parliamo della risposta dell'Occidente all'11 settembre. La campagna milita­re in Iraq si è chiusa, almeno ufficial­mente, alla fine di agosto...
«La situazione in Iraq è cambiata. La gen­te è un po' più libera e c'è comunque un tentativo di costruire una democrazia, anche se diversa dalla democrazia di ti­po occidentale, perché le realtà etnico­religiose sono la matrice stessa dell'iden­tità irachena. Il grande problema è che la democrazia non si improvvisa da un giorno all'altro. E così la questione del­l'Islam accompagnerà probabilmente tutta la storia del XXI secolo».
Come mai?
«Perché manca quella capacità, evocata da Obama nel suo discorso di quasi due anni fa al Cairo, di trattare la questione dell'Islam come tutte le altre e non come una questione eccezionale. Ci vorrebbe un linguaggio politico nuovo che per ora non vedo».
CARLO SILINI

Il mondo musulma­no contemporaneo sta vivendo una crisi abbastanza profonda
 
L'ANALISI ■ LINO TERLIZZI
Quelle esplosioni che hanno cambiato anche i mercati


■ BRIC, petrolio, oro, franco svizzero. Sono gli angoli di un ipotetico quadrato che si volesse creare per definire il cam­po economico creatosi a nove anni di di­stanza dai tragici attentati dell'11 settem­bre 2001. Quegli attentati, che hanno avu­to anzitutto un costo umano terribile, hanno avuto anche qualche riflesso eco­nomico. Non hanno determinato da so­li i processi economici , ma ne hanno ac­celerati alcuni.
La sigla BRIC, che sta per Brasile, Russia, India, Cina, si è ormai affermata e simbo­leggia il peso assunto da questi quattro grandi Paesi emergenti e da altri accan­to a loro. L'economia mondiale ha avuto sino agli anni Novanta sostanzialmente due grandi motori, gli Stati Uniti e l'Unio­ne europea, seguiti dal Giappone. In que­sto primo decennio degli anni Duemila è emerso un terzo grande motore, quel­lo del BRIC, trainato soprattutto dalla Ci­na. È possibile ipotizzare che il duro col­po subito dagli USA e poi soprattutto il lo­ro affaticamento nelle guerre in Afghani­stan ed in Iraq venute dopo gli attentati, abbiano da un lato fatto crescere una so­lidarietà politica nei loro confronti, ma abbiano dall'altro convinto i grandi Pae­si emergenti che non avrebbero avuto molti aiuti dagli USA stessi e che fosse giunto quindi il momento di accelerare lo sviluppo economico autonomo. Tan­to più che l'atteso effetto-volano delle commesse militari per l'economia USA non sembra esserci stato.
Il petrolio, secondo angolo, è riemerso con un incredibile aumento del suo prezzo. Un po' perché il teatro delle ope­razioni militari è tornato ad essere quel­lo dell'area dei produttori mediorienta­li, con le incertezze del caso. E poi, per­ché il BRIC e gli altri emergenti hanno fatto crescere enormemente la doman­da di energia. È un discorso che vale per i prezzi di molte materie prime, tanto che a livello mondiale è risorto un di­battito sui pericoli di inflazione, che ha messo in parte in ombra quello sui ri­schi di deflazione. Il vecchio oro nero è tornato centrale.
C'è anche però l'oro vero, giallo. La ri­salita della quotazioni dell'oro è stata clamorosa. La domanda industriale non giustifica da sola l'impennata, è eviden­te che l'oro è tornato ad essere per mol­ti investitori nel mondo un bene rifu­gio, un investimento di tipo finanziario. Questa tendenza è stata creata dalle ca­dute delle Borse nel 2001-2003 e nel 2007-2008, certo, ma anche dalle incer­tezze legate alla discesa delle econo­mie sviluppate e, pure, dagli attentati e dalle guerre conseguenti. Le Borse un po' si sono riprese, le economie vedo­no una seppur lenta ripresa. Attentati e conflitti purtroppo per ora rimangono. Sul piano valutario, il dollaro ha prose­guito la tendenza al ribasso. L'euro ha co­nosciuto dapprima una lunga fase di sta­bilità, mentre ora, sull'onda della crisi greca, sta a sua volta calando. Il franco svizzero, che già nel 2001 aveva registra­to un balzo, ora sta conoscendo una nuo­va stagione di rialzi. Il franco è tornato ad essere anch'esso un bene rifugio, qua­si in concorrenza con l'oro. Bene per la piazza finanziaria svizzera, un po' meno per l'export industriale elvetico, che sin qui ha tenuto in modo straordinario ma che nella prossima fase qualcosa rischia. Non sono certo i sanguinosi attentati ad aver fatto la fortuna del franco. La mone­ta elvetica sarebbe salita comunque, ma­gari però con tempi e modi diversi. An­che per le valute, lo scenario apertosi con gli attentati ha amplificato a dismisura le dinamiche esistenti
 

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